Due parole sui "risparmiatori"
La massa dei "risparmiatori" è senza dubbio costituita nella sua grande maggioranza dal ceto medio. Ma essa comprende anche una fascia di "popolo semplice", di pensionati e di lavoratori. Le proteste e le recriminazioni di questi "piccoli risparmiatori" sono in buona parte legittime. Costoro sono realmente soggetti tanto alle "truffe", quanto ai meccanismi "legali" con cui il grande capitale risucchia a sé il "risparmio diffuso". Detto questo aggiungiamo, però, almeno due considerazioni.
La prima. Quando le cose "filavano lisce" qui in casa nostra (e sottolineamo "qui in casa nostra, qui in Occidente"), quando ad esempio per lunghi anni le obbligazioni argentine pagavano regolarmente fior di interessi (10, 15, 18%), esse erano considerate un ottimo affare, e nessuno aveva da recriminare. Non è una questione morale. Il "piccolo risparmio" non ha scelto autonomamente di piazzarsi in Argentina o in qualche altro "paese emergente". Era (ed è) il mercato (ovvero i grandi pescecani che lo controllano) a indirizzare i piccoli investitori verso quei paesi.
L’operaio, il pensionato, il "cittadino comune" che si recava in banca non sapeva minimamente cosa significava sottoscrivere una obbligazione o un fondo comune nei "paesi emergenti", e non ci riferiamo alle clausole tecniche dei contratti, quanto al significato sociale dei prestiti convogliati verso queste nazioni. Pensava semplicemente d’aver trovato finalmente uno strumento per difendere e possibilmente, senza faticare, incrementare i suoi sudati risparmi. Oggi, dopo quanto è accaduto ed aver visto con i nostri occhi come un paese, l’Argentina, è stato fatto a pezzi e dopo aver visto come quella classe lavoratrice sia costretta alla miseria, dobbiamo riconoscere che quelle cedole, quei lauti interessi incassati qui, contenevano il lavoro, il dolore, il sacrificio, il sangue della classe lavoratrice di quel paese.
La Parmalat e il Sud del mondo
Dodicimila fornitori in Brasile rimasti all’asciutto,
undici cooperative vantano un credito di 2,3 milioni di reais solo nello
stato di Rio de Janeiro. In Brasile si stimano debiti per un miliardo i
Reais (moneta brasiliana). Il Brasile è il quinto produttore di latte
nel mondo e Parmalat ne era il secondo acquirente. In Brasile la
multinazionale italiana ha comprato il latte "con una politica dei
prezzi banditesca" sollevando le proteste dei contadini e degli
allevatori di quel paese. In Sud Africa ha imposto il lavoro domenicale nei
suoi stabilimenti. In Ecuador ha alzato il prezzo del latte due volte
nello stesso giorno (denunce tratte dal In Nicaragua l’azienda di Collecchio "rappresenta direttamente o indirettamente il 50% dell’economia nazionale" (il Sole 24 ore del 9 gennaio 2004): "Parmalat possiede il 98% del mercato al dettaglio locale ed esporta il 15% della produzione verso il Centro America e verso gli Usa". Si può immaginare a quale prezzo il latte venisse acquistato e poi a quanto rivenduto... |
La seconda considerazione riguarda le associazioni dei consumatori e il significato che ha la richiesta (sempre per capirci meglio, restiamo all’Argentina) di onorare fino in fondo il debito. Cosa significa: "l’Argentina onori, restituisca tutto il debito"? Vuol dire una sola cosa: chiedere coscientemente di ridurre ancor più in schiavitù il proletariato argentino. E laddove, come sta avvenendo, si va a rinegoziare il debito protraendolo nel tempo e modificandone gli interessi, ciò significa comunque voler continuare a tenere sotto tremenda pressione quel popolo, quella classe lavoratrice. A questo esito, a questo scempio, non possiamo come lavoratori partecipare. Significherebbe accettare anche qui in "casa nostra" un destino da schiavi: come può un popolo essere libero se partecipa all’oppressione di un altro popolo?
Analogamente, per venire ai risparmiatori Parmalat o Cirio, essi chiedono il rimborso del maltolto alle banche, e allo stato chiedono che sia fatta piena luce sugli "scandali" e che sia messo in piedi un meccanismo di regole efficienti per tutelare il "piccolo risparmio". Bene, ma se tutto ciò si concretizza nel richiedere una riforma "efficientista" allo stato ed al capitalismo, allora il risultato di tanto agitarsi potrà avere solo uno sbocco: diventare massa di manovra in mano ai "poteri forti" per imporre un maggior sfruttamento verso i lavoratori occidentali e (moltiplicato per mille) del Sud del mondo.
Per impedire che ciò possa avvenire è necessario che il mondo del lavoro scenda con decisione in campo e dica con nettezza che a pagare per i crac devono essere solo ed esclusivamente coloro che sulle manovre (legali o meno che siano) di "alta" borsa e "alta" finanza costruiscono e gestiscono immensi patrimoni. Che a pagare tutto siano banchieri e padroni, siano coloro che ingrassano sul sudore dei proletari.
Se noi lavoratori sapremo "dire la nostra" e riprendere in mano la bandiera della lotta contro il capitalismo ed il suo stato, allora il malcontento che in vari strati della società inizia serpeggiare contro l’arroganza dei "poteri forti" potrà essere utilmente canalizzato non contro di noi, ma a nostro favore.