Da Il capitale di Karl Marx
La legge generale
dell’accumulazione capitalistica
Caduta del saggio del profitto e accelerazione dell’accumulazione sono semplicemente diverse espressioni di uno stesso processo, ambedue esprimendo lo sviluppo delle forze produttive. L’accumulazione accelera la caduta del saggio del profitto, in quanto determina la concentrazione del lavoro su scala più ampia e una composizione organica superiore del capitale. D’altra parte la diminuzione del saggio del profitto accelera, a sua volta, la concentrazione di capitale e la sua centralizzazione mediante l’e-spropriazione di piccoli capitalisti, degli ultimi produttori diretti sopravvissuti, presso i quali vi è ancora qualcosa da espropriare. (...) D’altro lato in quanto il saggio di valorizzazione del capitale complessivo è lo stimolo della produzione capitalistica (come la valorizzazione del capitale ne costituisce l’unico scopo) la sua caduta rallenta la formazione di nuovi capitali indipendenti e appare come una minaccia per lo sviluppo del processo capitalistico di produzione; favorisce così la sovrapproduzione, la speculazione, le crisi, un eccesso di capitale contemporaneamente ad un eccesso di popolazione. (...)
[Inoltre] Poiché il capitale non ha come fine il soddisfacimento dei bisogni ma la produzione del profitto, e poiché può realizzare questo fine solo utilizzando dei metodi che regolano la massa dei prodotti secondo la scala della produzione e non inversamente, si deve necessariamente venire a creare un continuo conflitto fra le dimensioni limitate del consumo su basi capitalistiche ed una produzione che tende continuamente a superare questo limite che le è assegnato. (...)
Non vengono prodotti troppi mezzi di sussistenza in rapporto alla popolazione esistente. Al contrario, se ne producono troppo pochi per poter soddisfare in modo conveniente ed umano la massa della popolazione.
Non vengono prodotti troppi mezzi di produzione, per poter occupare la parte di popolazione capace di lavorare. Al contrario. (...) Vengono periodicamente prodotti troppi mezzi di lavoro e di sussistenza, affinché possano essere impiegati come mezzi di sfruttamento degli operai ad un determinato saggio di profitto. Vengono prodotte troppe merci, affinché il valore ed il plusvalore che esse contengono possano essere realizzati e riconvertiti in nuovo capitale, e nei rapporti di distribuzione e consumo inerenti alla produzione capitalistica, ossia affinché questo processo possa compiersi senza che si verifichino continue esplosioni. Non viene prodotta troppa ricchezza. Ma periodicamente viene prodotta troppa ricchezza nelle sue forme capitalistiche, che hanno un carattere antitetico. Il limite del modo di produzione capitalistico si manifesta nei fatti seguenti.
1. Lo sviluppo della forza produttiva del lavoro, determinando la caduta del saggio del profitto, genera una legge che, ad un dato momento, si oppone inconciliabilmente al suo ulteriore sviluppo e deve quindi di continuo essere superata per mezzo di crisi.
2. L’estensione o la riduzione della produzione non viene decisa in base al rapporto fra la produzione ed i bisogni sociali, i bisogni di un’umanità socialmente sviluppata, ma in base all’appropriazione del lavoro non pagato ed al rapporto tra questo lavoro non pagato ed il lavoro oggettivato in generale o, per usare un’espressione capitalistica, in base al profitto ed al rapporto tra questo profitto ed il capitale impiegato, vale a dire in base al livello del saggio del profitto. Essa incontra quindi dei limiti ad un certo grado di sviluppo, che sembrerebbe viceversa assai inadeguato sotto l’altro punto di vista. Si arresta non quando i bisogni sono soddisfatti, ma quando la produzione e la realizzazione del profitto impongono questo arresto.
Quando il saggio di profitto diminuisce, il capitale da un lato raddoppia i suoi sforzi, ed ogni singolo capitalista, impiegando metodi migliori ecc. , cerca di ridurre il valore individuale della sua merce particolare al di sotto del valore medio sociale, realizzando così, a dato prezzo di mercato, un sovraprofitto, d’altro lato, si verifica una ripresa della speculazione che si esprime in appassionati tentativi di nuovi metodi di produzione, di nuovi investimenti di capitali, nuove avventure, al fine di assicurare in qualsiasi modo un extra-profitto, indipendente dal profitto medio generale. (...)
Lo sviluppo delle forze produttive del lavoro sociale costituisce la missione storica e la ragione d’essere del capitale: è appunto mediante tale sviluppo che inconsciamente esso crea le condizioni materiali di una forma più elevata di produzione. Quello che inquieta Ricardo è che il saggio di profitto, forza motrice della produzione capitalistica, condizione e stimolo al tempo stesso dell’accumulazione, sia compromesso dallo sviluppo stesso della produzione. Ed il rapporto quantitativo è tutto qui. Ma vi è in realtà alla base del problema qualcosa di più profondo che egli appena sospetta. Viene qui dimostrato in termini puramente economici, cioè dal punto di vista della produzione capitalistica stessa, che quest’ultima è limitata e relativa: che essa non costituisce un modo di produzione assoluto ma semplicemente storico, corrispondente ad una certa, limitata epoca di sviluppo delle condizioni materiali di produzione.
Dal Il capitale, vol. III, tomo I, capitolo quindicesimo "Sviluppo delle contraddizioni intrinseche della legge", pp. 292-321, Editori Riuniti, VIII edizione, II ristampa, Roma, 1980