Scheda |
Ogni anno, in Italia, 140.000 coppie chiedono di ricorrere alla fecondazione assistita per curare la sterilità (TRA). Il parlamento ha di recente approvato una legge che regola l’accesso a tali pratiche. Essa rappresenta un nuovo e pesante attacco alla condizione delle donne, alla 194 e alle conquiste delle lotte degli anni passati, che può essere compreso pienamente se viene considerato come parte dell’attacco quotidiano sferrato alle condizioni di vita e di lavoro delle donne e dei proletari. Nel caso specifico è un attacco volto a mettere sotto il controllo dello stato e a subordinare al mercato la più "naturale" delle esperienze umane: la procreazione. È basato su tre punti fondamentali.
Primo: il riconoscimento dell’embrione come soggetto autonomo titolare di diritti. È il primo passo per mettere in discussione la legge 194, e sancire la scissione/contrapposizione fra madre e nascituro. Lo stato assume il potere di "tutelare" i diritti del nascituro senza tener conto dei diritti e della volontà della madre e anche contro di essi. In nome dei diritti dell’embrione, che le tecniche attualmente in uso lederebbero, le donne che vogliono ricorrere alla TRA devono sottoporsi a trattamenti fortemente invasivi e umilianti, con grave danno per la salute fisica e psichica.
Secondo: l’esclusione dall’accesso alla TRA di ogni soggetto estraneo alla coppia. Si ribadisce così il rafforzamento dell’istituto familiare. In pari tempo, col taglio drastico delle spese sociali, si delega sempre più ai singoli la funzione di cura delle nuove generazioni, che dovrebbe essere prettamente sociale.
Terzo: l’esclusione dalla sanità pubblica delle pratiche più avanzate e la conseguente esclusione delle proletarie dall’accesso alla procreazione assistita, mentre si salvaguardano gli interessi miliardari dei privati che la gestiscono.
Questa legge va respinta con la mobilitazione di massa delle donne e di tutti i lavoratori. Per rendere la lotta veramente efficace, è necessario estendere la mobilitazione e la lotta alle cause della sterilità, che vanno ben al di là delle disfunzioni fisiologiche, come conferma il continuo aumento degli aborti "spontanei". Da un lato c’è l’instabilità del lavoro e delle condizioni di vita. Che, tra l’altro, costringe le donne a rinviare per anni la maternità, facendola coincidere con l’età biologicamente meno fertile (con l’annesso l’uso prolungato di pratiche contraccettive niente affatto innocue). Dall’altro c’è l’instabilità affettiva, la difficoltà di creare rapporti umani e di coppia forti, all’interno dei quali poter "concepire" la cura di una nuova vita. Lo smantellamento implacabile di quel che resta dello stato sociale, l’insostenibilità del doppio ruolo di lavoratrice e madre, porta spesso a rinunciare alla maternità. D’altra parte i costi, le difficoltà di ogni tipo e le lentezze burocratiche ostacolano e scoraggiano il ricorso all’adozione.
Le donne del resto, anche quando riescono ad avere dei figli, devono ben presto accorgersi che questa parte della vita sarà vissuta nella più completa solitudine. È questo il segno dominante dell’attacco quotidiano del capitalismo: l’assalto a ogni possibilità di concepirsi non come individui deboli e soli, ma come classe, come collettività che ha problemi comuni, che insieme può battersi per liberarsi da tutte le oppressioni.
Così, anche quando i figli arrivano e la vita sembra tranquilla e normale, la cronaca dei delitti "in famiglia" di madri che uccidono i loro figli e se stesse, offre in vista i sintomi estremi di un peggioramento complessivo della vita delle donne, cui si offrono lavori precari e stressanti, disprezzo e umiliazioni crescenti, un’immagine spregevole di sé come oggetto di pornografia e di pubblico sollazzo, e in aggiunta un lavoro domestico da vivere in solitudine. Un cocktail cui le donne reagiscono con una lotta quotidiana fatta di rinunce, sacrifici, e gesti disperati di autodistruzione. È quindi contro il modo in cui è impostata ora l’intera vita della donna e con l’obiettivo di rendere alla maternità il carattere di esperienza sociale, che bisogna iniziare a mobilitarsi.
Una prima reazione s’è avuta con la manifestazione del 6 giugno a Roma. È è necessario darvi seguito chiamando le donne a un nuovo protagonismo, alla mobilitazione nei posti di lavoro, nei quartieri, nelle scuole, fra le immigrate. Mostrando come un’unica politica lega questa legge ai tagli alla spesa sociale, alle difficili prospettive di lavoro, ai mercificati rapporti con l’altro sesso. Per rispondervi con un’unica lotta contro il governo e contro il sistema capitalista.