Vertenza Fiat: un piano
di lotta generale!
La Fiat ha avviato il suo piano di tagli all’occupazione: 3.500 esuberi nei diversi stabilimenti, con ripercussioni ancor più pesanti sull’indotto, cassa integrazione a raffica, aumento dei carichi e dei ritmi di lavoro. Fim, Uilm, Fismic e Ugl con l’accordo separato firmato a luglio hanno avallato questa politica, presentandola come "indolore" (dato che prevede procedure per la mobilità) e comunque come il male minore.
Ma così non è. Questi tagli preannunciano un piano di "lacrime e sangue" che non si fermerà a questa iniziale riduzione dell’occupazione. È un film già visto: si parla di "contenute" riduzioni per un’uscita dalla crisi, poi… il mercato imporrà ulteriori sacrifici, quali che siano i futuri assetti della proprietà. La posta in gioco è l’occupazione, la sorte di interi stabilimenti, con ricadute a valanga anche fuori della fabbrica, sugli altri settori di lavoratori e su tutto il tessuto sociale.
La buona riuscita degli scioperi indetti dalla sola Fiom a livello di gruppo indicano che tra i lavoratori c’è disponibilità a reagire con la lotta. Si comprende che la difesa dell’occupazione alla Fiat non può essere affrontata come questione di un singolo stabilimento, ma con una mobilitazione più generale. Solo a queste condizioni si può rafforzare ed estendere l’iniziativa, far crescere sia la mobilitazione unitaria dei lavoratori del gruppo sia una vertenza oltre la Fiat che si colleghi alla battaglia contro il governo e sappia coinvolgere gli altri settori e la gente comune che inizia ad essere preoccupata per quanto si prospetta alla Fiat e nella società. Che cosa può rafforzare questa mobilitazione?
Si inizia a percepire che la crisi della Fiat non è un fatto a sé, ma è il frutto dell’acuita concorrenza del mercato globale. Nell’industria dell’auto mondiale i marchi rimasti sul mercato sono solo quelli dei paesi più forti. Può essere un semplice caso, o non è il mercato che richiede oggi un livello di concentrazione e centralizzazione dei capitali che poche aziende, di un pugno super-stati, possono sostenere? Allora, ben oltre gli "errori manageriali", sono i meccanismi del mercato globale i veri responsabili. Essi stritolano i più "piccoli" (del calibro, oramai, di Fiat e Daewoo…).
Ma anche i lavoratori delle imprese che "reggono" si trovano a dover fare direttamente i conti con i tagli occupazionali, con lo spostamento della produzione in paesi con più bassi salari, con l’attacco all’organizzazione sindacale e con un di più di sfruttamento. Una situazione internazionale in cui nessun lavoratore, di nessuna azienda, può sentirsi al sicuro.
La Fiom, che pure in questi anni non si è opposta fino in fondo ai continui arretramenti delle condizioni di vita e di lavoro, oggi deve prendere atto che la ripresa delle lotte è la condizione prima per non finire schiacciati e che la risposta va data su un terreno più generale. Proprio questo l’ha spinta (non senza contrasti all’interno) a non firmare l’intesa sugli esuberi e ad indire anche da sola scioperi del gruppo Fiat.
Per la Fiom, questo terreno è dato dal rilancio della Fiat grazie ad un "piano industriale" fatto di investimenti, ricerca e innovazione, nella prospettiva di rendere più forte l’azienda e l’intero sistema-paese. A buona parte dei lavoratori sembra la soluzione più realistica pur a prezzo di qualche "inevitabile" sacrificio. Ma affidare le proprie sorti al rilancio dell’azienda non permette di costruire quella forza necessaria per affrontare unitariamente i poteri forti nazionali e internazionali per difendere l’occupazione (che il mercato comunque attacca). La concorrenza tra aziende si trasformerebbe in concorrenza tra lavoratori, in una spirale che vede peggiorare continuamente le condizioni di vita e di lavoro di tutti.
L’unica possibilità per evitare che le crisi dei mercati vengano pagate dai lavoratori sta nel costruire concretamente una reale unità di lotta fra lavoratori dei diversi paesi. Solo a questa scala si possono imporre strumenti di difesa collettivi contro gli effetti della concorrenza internazionale, a difesa dell’occupazione, del salario, dell’organizzazione operaia. La lotta va data fin da subito con una proiezione internazionale che rompa con la concorrenza tra lavoratori, stringendo -a partire dal settore auto- concreti contatti con la classe operaia degli altri paesi. Iniziando a collegarsi con le lotte analoghe che si svolgono in Spagna, Gran Bretagna, Germania… Brasile, Turchia e in ogni dove.
Il piano che va rilanciato è un piano di lotta generale che sulla base della difesa intransigente degli interessi di classe deve puntare a unificare l’insieme dei lavoratori a scala nazionale e internazionale. È in questo quadro che la lotta nei posti di lavoro può essere potenziata e darsi una prospettiva di classe contro i meccanismi del mercato. Le potenzialità per rispondere all’offensiva in atto ci sono, come dimostrano le mobilitazioni di questi mesi e il movimento anti-globalizzazione che ha chiamato al protagonismo una nuova generazione. I temi imposti dallo scontro pongono sul tappeto la necessità della globalità e internazionalità della lotta contro i poteri unici mondiali. Solo un movimento che dimostri di sapersi battere sul serio, può riacquistare fiducia nelle proprie forze e conquistare chi oggi è indeciso e sfiduciato, ed anche i settori sociali non proletari che iniziano a sentire le conseguenze della crisi, facendo leva sul loro disagio sociale per raccoglierli in una battaglia contro il grande capitale e la finanza.