Integriamo la forza dei lavoratori immigrati nell'organizzazione e nella lotta comune
Le misure annunciate dal governo Prodi in materia di immigrazione non sono di mera facciata. Conosciamo le condizioni in cui vivono gli immigrati e sappiamo che sono portati a considerare anche il più modesto risultato, quello che allevia anche di poco un vivere molto difficile.
I lavoratori immigrati, dopo cinque anni di centro-destra, confidano di poter migliorare -o comunque di non veder peggiorare- la propria condizione con il governo di centro-sinistra. Le loro aspettative si legano anche alla consapevolezza del ruolo -e della forza- che hanno iniziato a conquistarsi nella società occidentale: con la presenza in tutti i settori chiave della produzione, con la massiccia sindacalizzazione, con il percorso di organizzazione e di lotta degli stessi irregolari anche fuori dai sindacati, con la forza trasmessa dalle lotte degli immigrati nei paesi occidentali di più antica immigrazione come Inghilterra, Francia, Stati Uniti. In tal senso anche le aperture del governo Prodi sono state conquistate dai lavoratori immigrati e così essi non a torto le hanno percepite.
Il governo Prodi ovviamente non è "amico" dei lavoratori italiani e, a maggior ragione, non lo è degli immigrati. Come il centro-destra, esso ha l’occhio rivolto alle necessità del capitalismo imperialista italiano, laddove il binomio dialogo/repressione riassume i contenuti della politica imperialista verso le popolazioni dei paesi dominati, ivi compresa la quota immigrata entro i propri confini. Anche il governo Berlusconi, dopo aver messo al collo degli immigrati la tagliola della Bossi-Fini, fece non insignificanti aperture, come la sanatoria di 700.000 irregolari e la proposta Fini per il voto agli immigrati... La destra mette in primo piano il bastone e poi articola la sua politica di "dialogo"; il centro-"sinistra" dispensa tolleranza e sorrisi, ma, sia pur discretamente, non dismette il bastone. E’ diverso il cocktail di "premi" e repressione, anche molto diversi possono essere -e sono- i tempi e le modalità, ma unitaria è la sostanza di una politica dettata da necessità oggettive.
A cosa mirano le aperture del governo Prodi.
Il ministro Amato ha utilizzato le riunioni della Consulta Islamica (varata dal precedente governo) per mettere al centro della scena il dialogo tra lo Stato e la comunità degli immigrati (quelli musulmani innanzitutto, ma non solo), volto a elaborare su tutti i temi più scottanti un punto di vista e un sentire "italiani" dell’immigrazione e dell’Islam in Italia. Attraverso i rappresentanti (o sedicenti tali) ammessi alla Consulta, il governo si rivolge alla massa, alla quale offre alcuni miglioramenti della legislazione, puntando a coinvolgerla in un percorso di interlocuzione e fiducia verso le istituzioni. E’ la massa dei lavoratori immigrati che si vuole preventivamente imbrigliare e dividere. Dopo averla vista all’opera nelle banlieus francesi e nelle manifestazioni oceaniche degli immigrati irregolari statunitensi (vedi sul n. 66 di che fare), essa fa paura più di prima. A maggior ragione perché si è consapevoli che sono in crescita gli arrivi in un Occidente sempre più affamato di forza-lavoro immigrata. Il governo e il padronato hanno bisogno del consenso interno alle proprie politiche o comunque della disponibilità dei lavoratori a non attivarsi nella lotta, e la coesione sociale del fronte interno non può non riguardare anche i lavoratori immigrati, che del proletariato sono una componente sempre più cospicua. Inoltre, parte decisiva del tentativo prodiano è la politica che punta a qualificare una presenza diversa dell’Italia nel Mediterraneo e in tutto il Sud ed Est del mondo. L’imperialismo italiano, secondo antica tradizione, attraverso il ritiro dall’Iraq e la missione "di pace" in Libano, rilancia la sua "politica del dialogo" in direzione delle popolazioni del Medioriente, le chiama a vedere che l’Italia è loro amica e quindi ad accogliere a loro volta in amicizia le "missioni di pace" dell’Italia. Una tale politica internazionale presuppone sul fronte interno un’immagine del governo e dell’Italia non sfacciatamente ostile verso gli immigrati.
In sintesi, il centro-sinistra, sviluppando gli spunti abbozzati dal precedente governo, mira anch’esso a prevenire ed evitare che i lavoratori immigrati unifichino le proprie forze sul terreno della lotta, che intraprendano la via dell’organizzazione a difesa dei propri diritti, che si facciano megafono nella metropoli imperialista del grido di ribellione delle popolazioni del Sud del mondo espropriate e aggredite dall’Occidente. Prodi e sodali promettono la cittadinanza a chi osserverà una "buona condotta", che significa innanzitutto prendere le distanze da ogni forma di mobilitazione ed organizzazione (sindacale e extra-sindacale), cioè dall’unica cosa che in questi anni ha permesso agli immigrati di difendersi in qualche modo dal razzismo e dai soprusi, oltre che di avvicinarli ai lavoratori italiani. E si serve anch’esso a tal fine di "autorevoli rappresentanti degli immigrati", tenuti in caldo per bacchettare ogni espressione proveniente dal mondo dell’immigrazione che sia ritenuta non in linea con "i valori dell’italianità" e per mettere alla pubblica gogna "gli estremisti" (ne sa qualcosa l’U.co.i.i.).
Non fidarsi del governo Prodi.
Il suo messaggio chiama gli immigrati ad abbandonare l’organizzazione e la lotta, ad avere fiducia nello Stato e nel governo italiani, a riconoscersi nella politica interna ed esterna dell’Italia: "se voi diverrete compartecipi dei problemi e degli obiettivi del paese che vi accoglie, noi risolveremo i vostri problemi con la necessaria gradualità". Un messaggio che divide e stratifica, perché, se la lotta unisce al di sopra delle differenze di lingua, di religione, di comunità, il governo differenzia e gradua le promesse: prima ai lavoratori dei paesi dell’Est di più antico ingresso in Europa, poi a bulgari e rumeni, poi a quelli di nazionalità non europea, in un’infinita scala di gradazioni gerarchiche per "affidabilità", mansioni, etc..
Ai lavoratori immigrati noi diciamo di non fidarsi. Il governo Prodi offre alcuni miglioramenti a condizione che si rinunci alla lotta, ma nella realtà i termini sono invertiti: è perché c’è stata l’organizzazione e la lotta che il governo Prodi si presenta non totalmente a mani vuote. E, d’altra parte, solo la lotta e l’organizzazione consentono di difendersi dallo sfruttamento e dalla repressione, che le proposte migliorative del governo certo non cancellano, perché è il governo stesso con la sua politica complessiva a concorrervi.
L’aspettativa dei lavoratori immigrati non è comunque passiva. In questi mesi essi non hanno dismesso l’iniziativa e la piazza (come riferiamo a parte). Noi diciamo ai lavoratori immigrati che è necessario continuare a difendersi nelle piazze, a rivendicare collettivamente i propri diritti contro i programmi e la politica del governo Prodi; che, se otterremo con la lotta e l’organizzazione condizioni di vita, di lavoro, di agibilità anche poco meno ricattatorie, esse andranno utilizzate, così difendendole, per dare più respiro e più forza all’iniziativa organizzata. Così si potrà contrastare nella massa degli immigrati la manovra politica del governo che mira a passivizzarla e a disperderne l’organizzazione. E ci si potrà rivolgere con rinnovata energia ai lavoratori italiani, tornando a chiedere la necessaria integrazione dei lavoratori immigrati nell’organizzazione e nella lotta comuni. La grande mobilitazione dei lavoratori irregolari statunitensi è un prezioso segnale di incoraggiamento in questa direzione, se finanche il sindacato statunitense Afl-Cio ha dovuto fare un passo verso i coordinamenti di lotta degli immigrati irregolari e iniziare ad assumerne le istanze.
Difenderci insieme, lavoratori italiani e immigrati.
L’opposizione di centro-destra fomenta l’insicurezza e la fobia aggressiva contro l’immigrazione "selvaggia" che sarebbe favorita dalle concessioni del centro-sinistra. Molti lavoratori italiani hanno condiviso in cuor loro questa preoccupazione: "si sta dando troppo agli immigrati; in questo modo verranno in gran numero e prenderanno sempre più spazio nella nostra società, togliendolo a noi; sta bene la tolleranza, ma occorrono regole".
I proletari italiani vivono la presenza dell’immigrazione come un reale elemento di concorrenza al ribasso sul lavoro e nell’accesso ai servizi sociali sempre più scarsi e per pochi; sul posto di fatica e nei quartieri vedono sommarsi la propria difficoltà quotidiana al disagio che deriva dalla precarietà sociale degli immigrati. E’ un fatto che attraverso il ricatto sui lavoratori irregolari, che in un cantiere lavorano a ritmi elevatissimi per un salario più che ridotto, i padroni costringono tutti a lavorare di più e pretendere meno. I lavoratori italiani vedono messe a rischio le tutele collettive conquistate con la lotta e aperta la strada alla concorrenza al ribasso. Sia i governi di centro-sinistra che di centro-destra si rivolgono al malcontento dei proletari italiani: lo alimentano per avere consenso alla propria azione repressiva; lo accarezzano quando fanno concessioni -condizionate- agli immigrati.
Chiediamoci: a cosa serve il legame tra ingresso e lavoro? Anche il governo Prodi bolla come irregolare l’ingresso di un immigrato che non abbia il lavoro e la chiamata di un padrone. Ma questo legame è una grossa finzione, perché non è possibile far arrivare tanti immigrati precisi e disciplinati per quanti sono i posti di lavoro ad attenderli, né fermare gli arrivi eccedenti. Nella realtà il legame tra ingresso e lavoro si traduce nella irregolarità forzata per un gran numero di immigrati e serve a consegnare ai padroni e alle famiglie occidentali una fila di lavoratori e lavoratrici in condizioni di ricattabilità estrema.
A scanso di equivoci, noi non raccontiamo bubbole che "immigrazione è bello" e con la "libertà migrante" tutto andrebbe a posto. Nell’immigrazione di centinaia di milioni di lavoratori non c’è nulla di libero, trattandosi di un aspetto del complessivo disastro sociale del capitalismo, che, entro la cornice del capitalismo, non conosce né regole (se non quelle antisociali e distruttive della concorrenza e del mercato) né soluzioni, ma solo costanti aggravamenti. I padroni lo sanno, ma le loro politiche mirano a salvaguardare i profitti e a null’altro. Noi schifiamo quanti propongono inesistenti soluzioni "progressiste" per imbellettare questo marcio sistema e lottiamo per favorire le uniche soluzioni ai problemi reali dell’umanità lavoratrice che, piaccia o no, presuppongono l’abbattimento -via rivoluzione- del capitalismo.
Chi lavora è in regola. Irregolari sono parassiti e sfruttatori.
Per questo chiamiamo i lavoratori italiani a lottare contro ogni "politica migratoria", rigorosa o finto-aperturista, perché tutte producono discriminazione e clandestinità. Li chiamiamo a schierarsi contro ogni politica di respingimento dei lavoratori immigrati e contro le espulsioni, perché l’immigrazione di massa è il diretto prodotto della fame, della miseria e della distruzione che le politiche economiche e militari dell’Occidente (con l’Italia in prima fila) portano in vaste aree del Sud e dell’Est del mondo. Sono queste condizioni che costringono milioni di uomini e di donne ad abbandonare la loro terra e i loro affetti affrontando viaggi che spesso comportano il rischio della vita.
Un’altra dannosa finzione dice che dobbiamo "aiutarli in casa loro". Vogliamo veramente "aiutarli in casa loro"? Cominciamo allora a tagliare le unghie ai poteri forti occidentali, cioè ai "nostri" padroni e governi, che lucrano i propri profitti sui disastri da essi stessi causati nei paesi dove origina l’immigrazione; e cominciamo intanto a imporre il ritiro vero di tutte le nostre truppe dall’Afghanistan, dal Libano, dai Balcani, etc.!
Intanto milioni di uomini e donne del Sud e dell’Est del mondo decidono di emigrare, scelgono di rifiutare la fatalità e di mettersi a rischio per poter affermare il proprio sacrosanto diritto a vivere meglio. E quando questi uomini e queste donne li ritroviamo al nostro fianco a lavorare senza i permessi imposti dalle regole dello Stato, non dobbiamo avere esitazioni a gridare che chi vive del proprio lavoro è in regola e a pretendere che ad essi siano riconosciuti tutti i nostri diritti. Irregolari sono per noi i parassiti e gli sfruttatori, quelli che non si sudano quello che mangiano, ma mangiano -e di super-lusso- sul lavoro degli altri.
Occorre iniziare a prendere atto che nessuna legislazione (dura o morbida che sia) potrà mai impedire a chi ha fame e vede la sua terra devastata di giungere qui con ogni mezzo. I padroni lo sanno e si industriano per poter sfruttare al massimo gli immigrati, colpendo tutto il mondo del lavoro. Noi pure dobbiamo saperlo per poterci difendere insieme, per poter trasformare la realtà dell’immigrazione da fattore di debolezza e concorrenza in fattore di forza e di compattezza, da disastro sociale giocato dal capitalismo contro il proletariato in coagulo di energie e di programma della lotta proletaria per la nostra alternativa di sistema. Lo si potrà fare iniziando a intraprendere il percorso della lotta e dell’organizzazione sindacale e politica comune tra lavoratori italiani e immigrati, rivendicando per essi pari dignità e pari diritti, opponendoci alle leggi che espongono gli immigrati al ricatto per abbassare le tutele generali, denunciando ogni crimine o sopruso contro i lavoratori immigrati come diretto contro ciascun lavoratore italiano e contro noi tutti, riprendendo la denuncia e la lotta contro le missioni militari del "nostro" governo contro i popoli del Sud del mondo (anche se abilmente mascherate, come nel caso del Libano, come "missioni di pace").