Un momento di transizione.
In quale direzione?
Di misura, il governo Prodi ha preso il largo. Gli occhi della parte più attiva dei lavoratori italiani e immigrati vi guarda con speranza. Il governo Prodi non segna però alcuna svolta a sinistra. Per i diktat posti dai mercati internazionali e dai grandi poteri capitalistici italiani. Per la risposta "cedevole" data ad essi, se ce ne fosse stato bisogno, dai dirigenti del centro-sinistra, sia in politica interna che in politica estera. Il "cambio" avviene nella sostanziale continuità.
Non è vero che l’unica alternativa esistente a questo governo falsamente amico dei lavoratori è tornare nella brace di Berlusconi o, peggio, in quella del blocco reazionario di destra in formazione ben oltre Berlusconi. Dai quattro angoli del mondo altri lavoratori, altri sfruttati, altri giovani dall’incerto futuro ci dicono che un’altra via c’è. È quella della fiducia solo nella propria organizzazione di lotta, da costituire e dispiegare nei posti di lavoro e nella società.
Guardiamo alla lotta degli operai e dei contadini boliviani, allo sciopero per il primo maggio dei latinos e degli immigrati negli Stati Uniti, alla resistenza del popolo palestinese ed iracheno e delle masse diseredate del mondo islamico, agli scioperi (per quanto ancora isolati) degli operai alle dipendenze delle multinazionali nel Sud-Est asiatico, al movimento dei giovani e dei lavoratori contro la precarietà in Francia come anche alle lotte proletarie e popolari degli anni scorsi in Italia.
In queste lotte raramente si è riusciti a portare a casa il risultato immediato cercato o il risultato pieno. Esse stanno, però, rendendo possibile il risultato più importante a cui dobbiamo mirare come proletari: la rinascita del protagonismo dei lavoratori sulla scena politica, l’iniziale presa d’atto che gli scontri in corso nei singoli paesi sono i differenti (ma combinati) episodi di uno scontro di classe planetario che richiamano un’organizzazione politica e un programma internazionalisti all’altezza della sfida.