La barchetta socialdemocratica "post-stalinista" è naufragata;

la truppa superstite è approdata, sana e salva, sull'isola della borghesia

L’approdo (super-blindato) di Rifondazione in una maggioranza e in un governo dell’Unione ancora più spostati verso il centro (la centralità delle esigenze del mercato) dello stesso Prodi-1996 sta spingendo non pochi compagni alla disillusione e all’abbandono, ed altri ancora alla scissione. È anzitutto a loro che ci rivolgiamo con questo sintetico riesame dell’intera vicenda di Rifondazione, affinché attraverso un rigoroso bilancio di essa si riesca finalmente ad uscire dalle spire soffocanti del "riformismo" ed a ritrovare insieme la via di lotta del comunismo autentico. Ma, per quanto le nostre considerazioni possano suonare dure, ci rivolgiamo anche a quanti, organizzati e non, ritengono tuttora di dover restare in Rifondazione per vederla ancora una volta alla prova...

Fino a qualche anno fa (e neppure poi molti) le nostre diagnosi su Rifondazione Comunista suscitavano stupore e fastidio: ma che pretendono in più questi eterni critici e scontenti dell’Oci da un partito che non solo si richiama al comunismo, ed anzi lo vuole riattualizzare, ma si demarca nella pratica da tutto il resto dell’ambiente politico circostante, "sinistra" ufficiale compresa? Forse che esso non parla dei lavoratori ed agisce nei loro interessi, non solo a scala italiana ma internazionale?

Atto primo: recupero (al ribasso) del vecchio Pci

L’argomento godeva senz’altro di qualche illusorio punto d’appoggio. Rifondazione era nata sulla base di una sana reazione di base, e non solo di vertici, alla deriva ("inattesa", ma tutt’altro che occasionale e misteriosa per dei marxisti) del vecchio Pci, entrato armi e bagagli a pieno titolo nel salotto buono del capitalismo. Noi abbiamo risposto tempestivamente e correttamente, senza preconcetti "settari", a questa voglia di lotta per un’identità di classe, conducendo, nei limiti del nostro piccolo possibile, un lavoro di confronto indirizzato alla base del partito perché essa non andasse dispersa. Che cosa occorreva, però, per mettersi all’altezza delle aspettative? Una critica spietata dei motivi di fondo della deriva obbligata del Pci in quanto inscritta nel suo dna non solo non-comunista, ma, al di là di un mero riferimento nominale, anti-comunista (a partire dallo stalinismo per approdare, via post-stalinismo, al naturale sbocco tardo-socialdemocratico, cioè borghese tout court); una riappropriazione, quindi, dei fondamenti reali, teorici e politici, del comunismo autentico da "rifondare" sul serio.

Questa battaglia è costantemente mancata, sin dagli inizi, riducendosi ad un patetico richiamo al passato da replicare con le vecchie e spuntate armi del vecchio "glorioso" Pci, salvo aggiornamenti in peggio quanto agli stessi (retorici) richiami all’internazionalismo ed alla "trasformazione sociale della società". Ne derivava, per forza di cose, un partitino borghese radicale a tinte "operaiste" obbligato a ricucire concreti legami operativi con la "sinistra" tradizionale e, via via, con forze politiche (e, va da sé, economico-sociali) dichiaratamente borghesi classiche dello schieramento moderato per assicurare al proprio pubblico il "meno peggio" compatibile entro il sistema dominante del capitale. Salvo che questo "meno peggio", nelle condizioni attuali del capitalismo, è destinato a scendere sempre più in basso, e non c’è moderatismo che tenga quanto ai (necessari) appetiti della banda borghese. Per questo urge affermare e tradurre in fatti il principio che "un altro mondo è possibile", ed è, per l’appunto, il socialismo. Su questo punto Rifondazione ha anche giocato, per un po’, a parole, ma il bel gioco è durato decisamente poco. Il funambolo che s’era impadronito di questo motto per convogliare a sé i consensi (elettoralistici) del "movimento" ed épater i salotti buoni della borghesia intellettuale in cui bazzica oggi, ci ripete alla Pangloss che "viviamo nel migliore dei mondi possibili", Ferrari inclusa.

Con Garavini Rifondazione comunista aveva decisamente imboccata la via "vecchio Pci": affermazione parolaia dell’orizzonte comunista, ma pratica delle "larghe intese" togliattiane-berlingueriane con le varie forze "progressiste" in nome della "via democratica nazionale" al socialismo "italiano". Il tutto non senza una vivace agitazione di massa -anche questa secondo vecchia tradizione- a scala di classe. Che non si andasse molto lontano diventava subito evidente; di qui il cambio della guardia.

Molti nel partito hanno creduto che Bertinotti potesse rappresentare una più decisa sterzata a sinistra rispetto a questa linea, che cominciava a mostrare tutte le sue falle. Il "radicalismo" bertinottiano, viceversa, non ha impedito che Rifondazione arrivasse, per la stessa strada, all’accordo col primo governo Prodi cui prodigare un generoso "appoggio esterno", salvo che, ad un certo punto, di fronte alla marea di provvedimenti decisamente antiproletari di questo governo (li abbiamo sommariamente ricordati nel precedente supplemento "elettorale" al nostro giornale) e, poi, con D’Alema, alla vergogna criminale della guerra NATO alla Jugoslavia, Bertinotti è stato in qualche modo costretto a ritirare la fiducia al governo "amico". Di qui la scissione del PDC’I, conseguente sino alla morte con la politica del "minor danno" possibile nei confronti del berlusconismo (per dei neo-"riformisti" si tratta sempre di scegliere tra due "alternative" borghesi… in nome, si capisce, del "comunismo").

Atto secondo: con il "movimento dei movimenti"

Questa mossa aveva persino galvanizzato, al momento, la base sana di Rifondazione in cerca di una propria, autentica alternativa di classe, ma anche in questo caso, senza rimettere in causa i fondamenti della linea "riformista" del partito, non si poteva andare lontano: il "realismo" cossuttiano, sconfessato ed emarginato per un istante, era destinato a dettar legge allo stesso Prc, che non a caso si ritrova oggi al punto di partenza di allora, assieme ai "fratelli divisi", e stavolta "senza se e senza ma". Con una propria base sempre più deproletarizzata e spompata, tutta presa dalle buone regole del realismo parlamentaristico.

Sull’onda della rottura parlamentare con Prodi, per un breve periodo Bertinotti ed i suoi hanno tirato bordate parolaie contro il vecchio riformismo socialdemocratico oramai destinato ad inglorioso tramonto ed hanno messo in scena l’alternativa rappresentata dal "movimento dei movimenti", depositaria di un "altro mondo possibile". I tre milioni, o quel che sia, in piazza a Roma contro la guerra all’Iraq ed i forum sociali mondiali ne davano cauzione.

Per noi è perfettamente vera la prima affermazione sull’impossibilità pratica di una riedizione aggiornata del vecchio riformismo socialdemocratico, tant’è che, oggi, RC riconosce l’inattualità di esso… sottoscrivendo un blocco borghese di cui le forze socialdemocratiche (a cominciare dalla propria) non rappresentano che un piumaggio ornamentale per coprire la sostanza di una politica pienamente e spietatamente capitalista, la cui unica ambizione è quella di correggere le "storture ad personam" del berlusconismo per affermare al meglio le leggi impersonali di un moderno ed ultrarapace capitalismo. Come ci si è arrivati partendo dalle precedenti sparate contro le socialdemocrazie? Ad esse noi non abbiamo mai prestato fede, per le ragioni già spiegate; Bertinotti ci ha creduto meno di tutti. Ci hanno creduto molti proletari ed "alternativisti" facendosi docilmente accompagnare lungo la china in nome di una presunta fermezza del Prc; e questo grazie anche, ci sia permesso di notarlo, all’azione delle minoranze interne di "estrema sinistra", presentatesi come garanti nel partito dell’assicurazione… anti-sinistri.

Per noi è altrettanto vero che l’emergere di "movimenti sociali alternativi" a scala mondiale (si badi bene!) rappresentava e rappresenta il segno, combinato e diseguale, di un’istanza antagonista di classe che tende a ricollegare i fili del proletariato dagli Usa all’Europa ai paesi arretrati e controllati-dominati per un’unitaria battaglia emancipatrice. Giusto, quindi, richiamarsi a questi movimenti per dare ad essi una prospettiva, teorica e pratica, politica, di partito comunista, internazionalista, rivoluzionario. Ma ciò rappresenta l’esatto contrario della retorica bertinottiana relativa al "movimento dei movimenti". Per Bertinotti si trattava di esaltare (a parole, e costa poco!) l’"autonomia" dei movimenti per spezzarne la potenziale unità antagonista, per dissiparli in mille rivoli "autonomi", cioè separati, non comunicanti politicamente, organizzativamente tra loro, per contrapporli per principio all’orizzonte del partito di cui sopra. L’istanza "mondialista" (per noi: internazionalista) è andata così, via via, "corporativizzandosi" e riducendosi ad ambiti ben definiti (Italia, Europa… quale Italia?, quale Europa? Facile ad intendersi). A questo punto, poi, la pretesa "autonomia" dei movimenti rispetto alle forze politiche tradizionali si è ridotta alla subordinazione di fatto dei movimenti stessi a queste ultime attraverso il trucco della loro rappresentanza istituzionale, assicurata proprio da quei "garanti" in grado di "interloquire" con essi. E così l’"altro mondo possibile" diventa quello del… nuovo governo Prodi, coi Mastella, gli Scalfaro, i bombardatori dalemiani (con cui si era giurato di non stare mai più assieme…) e compagnia cantante, dietro i quali stanno coloro che realmente contano, gli stati maggiori dell’industria, delle banche, dell’affarismo e dello stato (magistratura, esercito, polizia…). I "disobbedienti" diventano obbedienti rappresentati nelle istituzioni (a meno che non si tratti di coloro che affettano superate velleità di lotta antagonista a scala nazionale e, peggio, internazionale, come nel caso del patetico Ferrando, escluso in quanto tale dal novero dei "carusi" parlamentari del Prc, ma tuttora fermo nella sua trincea in attesa di recuperare la Maddalena pentita).

Sulla Rivista del Manifesto c’è stato chi si è accorto a tempo del gioco dei bussolotti bertinottiano in nome del "movimentismo" contrapposto al partito, vedi Magri, ma persino un Ingrao. Solo che questi ultimi non si sono accorti che per Bertinotti non si trattava di escludere una politica di partito a pro dello "spontaneismo", ma di piegare e spezzare la forza potenziale dei movimenti per riportarla nell’alveo della peggiore politica di partito borghese tenuta ben ferma dal Prc. E, per fare questo, Bertinotti, il cantore dell’"autonomia di tutti e ciascuno" purché dentro "il movimento", non si è peritato di chiudere la dissidenza interna entro le gabbie di una ben oliata macchina burocratica, con tanto di "commissariamenti" ed esclusioni. Altro che superamento della vecchia forma partito a pro dei "cento fiori"!

Atto terzo: "ghandismo" proletario

L’ultimo exploit "teorico" di Bertinotti è stato, sinora, quello della riscoperta del "pacifismo" quale alfa ed omega dell’azione… alternativa. Ovvero: l’affermazione della democrazia "pacifica" che l’imperialismo può permettersi in casa propria sfruttando "pacificamente" i propri proletari ed esportando altrove la propria violenza aperta. Se qui da noi abbiamo la democrazia, vediamo di non turbarla neppure con chiacchiere di "progetti comunisti". Se altrove si lotta e si muore sui campi di battaglia, prendiamo le distanze da chi lotta e muore per sé, per la propria causa. Costoro sono per definizione "terroristi" (e, riandando indietro al passato, diamo pure un colpo di spugna alle lotte in armi un tempo esaltate… a distanza, da Cuba al Vietnam, per arrivare oggi all’Islam o all’America Latina, all’Africa, all’Asia). Istruzioni per l’uso: la protesta sociale all’interno del nostro paese deve d’ora in poi evitare qualsiasi tipo di "sovversivismo", e va considerato sovversivo persino fischiare la destra in piazza –cosa che poi costringe il presidente della Camera "di tutti" a porgere le scuse all’"avversario politico"- e, non sia mai!, bruciare bandiere imperialiste od esprimere pubblico sostegno ai "terroristi" che ci orbano di nostri eroici ragazzi. È solo un principio di puzza; il resto verrà dopo. Perché anche il carattere "pacifico" dello sfruttamento di classe all’interno del nostro paese ha i giorni contati. L’"esportazione mondiale della democrazia" (che non è una trovata di Bush, ma una legge oggettiva dell’imperialismo) è sin qui assicurata dai "professionisti" in armi, già presenti, all’insegna del tricolore, in varie parti del mondo, ma domani ci coinvolgerà in massa se non sapremo tagliare le ali al presente "migliore dei mondi possibile"!

Atto finale: l’abiura anche nominale del comunismo

Ma c’è un’ultima cosa che resta da fare, e Bertinotti -preceduto in volata stavolta da un censurato Cossutta, dalla Rossanda e, fuori dal nostro paese, da tutte le varie congreghe fu-"comuniste", compresa una buona quota di "trotzkisti"- l’ha già preannunciata: mettere definitivamente una pietra sopra la stessa referenza verbale al comunismo. Troppe brutte cose si sono viste in nome di questa bestia! Non parliamo più di esso (e neppure di proletariato, concetto obsoleto –come s’è detto espressamente-), parliamo, semmai, di "democrazia", "progresso", "società" ed "esseri umani". Gli estensori del Libro nero del comunismo non speravano, probabilmente, che si potesse sfondare in tal modo nell’area della "sinistra radicale"! L’esperienza degli orrori dello stalinismo storico in tutte le sue sfumature serve, nella fattispecie, per sotterrare gli stessi Lenin e Marx, cioè le prime vittime dello stalinismo (compresa la sua estrema coda rifondarola degli esordi). Crimine si aggiunge a crimine. È, per così dire, come se la riforma protestante, in odio alle malefatte del "cristianesimo" pontificio tradizionale, avesse proposto di sputare su Cristo anziché pretendere (usiamo il termine esatto) di riscattarne l’insegnamento. Non rifondazione e neppure "eresia", a seconda dei punti di vista, ma pura e semplice apostasia. Ne prendiamo atto e preferiamo la cosa al tributo formale ad un marchio di fabbrica che non spetta a gente del genere: sarà un intralcio di meno per la riemergenza del comunismo autentico (anche se è scontato che altri si darà da fare per rinnovare il vecchio trucco nominalista). Lasciamo ai buontemponi il divertimento di rivolgersi agli apostati col consiglio di non rinunciare al vecchio logo per non tagliarsi fette di mercato proletario. Per farne che? Per portarlo più comodamente all’ammasso. Se n’è accorto persino un don Vitaliano, e chissà che non gli arrivi la scomunica…

Corollario: agitare il tutto in salsa europea

Su queste basi Bertinotti si accinge anche a porsi alla testa della cosiddetta "sinistra europea", accolita di vecchi arnesi di derivazione o stalinista o socialdemocratica in fregola di riciclaggio. La fretta e la facilità con cui tutta questa melmosa burocrazia si accinge a sollevare la bandiera del "progressismo democratico" previo l’abbandono di ogni riferimento, fosse pur solo verbale, alle ragioni del socialismo marxista è indicatrice degli scopi di inquadramento preventivo dell’antagonismo sociale per sottrarlo al suo naturale, cioè storico, sbocco rivoluzionario. Il proletariato, produttore della ricchezza sociale complessiva mondiale; il proletariato che, in quanto tale, ha il diritto ed il dovere di sovvertire l’attuale ordinamento della società, va ridotto al rango di "strati sfavoriti", "diseredati", cui promettere -elargirla sarà cosa diversa!- una qualche forma di "compensazione", sempre che sia disposto a stare perennemente alla catena. Continuare a parlare di comunismo, sia pure per burla, può rappresentare un pericolo, visti i tempi che si preparano. C’è il rischio che qualcuno prenda la parola sul serio e tenda a dare ad essa un seguito reale. Di qui la necessità di un’azione a tappeto contro l’"idea" stessa del comunismo. Su ciò Bertinotti e soci hanno (dal loro punto di vista) perfettamente ragione, ed a noi non resta che incoraggiarli perché vadano sino in fondo. Noi cercheremo di mantenerci su quella opposta e di farci transitare il maggior numero possibile di militanti proletari.

Due o tre cose che restano da fare per i comunisti

Ci rendiamo conto che le nostre sono parole grosse, destinate a suscitare scandalo tra quanti hanno sin qui mostrato di sapersi battere ed hanno consegnato la "rappresentanza" di questa loro volontà e capacità a Rifondazione, e proprio in nome di tale rivendicata "rappresentanza" si sono persino acconciati al confronto elettorale. D’altra parte, il nuovo governo Prodi non ha ancora avviato la sua (precaria) esistenza e "nulla" prova che esso sarà quello che profetizziamo, tanto più in ragione degli oppiacei sparsi a piene mani da Rifondazione tra la propria base. Il risveglio, però, sarà brusco per tutti, e noi confidiamo nel (ri)emergere di vecchie e nuove leve antagoniste destinate a mettere in crisi il castello di carte costruito per contenerle al suo interno. Esso coinvolgerà anche molti di coloro che tuttora giurano o comunque conservano qualche illusione su Rifondazione, ma in nessun caso potrà passare per un "riaggiustamento" di questo partito, come fu nel caso del primo governo Prodi. Non escludiamo per principio che il PRC non possa (o debba) ricollocarsi all’opposizione. Ma, anche in tal caso, non si tratterebbe che di una parentesi sulla via delle "più larghe intese democratiche", senza nulla recuperare, neppure verbalmente, della vecchia solfa parolaia sul "comunismo rifondabile"… in socialdemocrazia radicale.

Per quanto, al momento, la base elettorale del Prc sia (sia stata) posizionata su un terreno di fiducia al governo Prodi, del cui orientamento "popolare" (non andiamo più in là!) Bertinotti e soci dovrebbero essere i garanti, una parte di militanti ha già revocato tale fiducia tanto al primo che ai secondi. Si tratta da un lato di protagonisti di lotte vere (operaie e non solo: si pensi alla recente mobilitazione anti-Tav) che non si sentono più "rappresentati" ed hanno preso il largo, in più di un caso nella disillusione senza sbocchi concreti. Dall’altro lato c’è un nucleo di militanti di partito, con connessioni più o meno tangibili con quelle lotte, che hanno imboccato la strada della scissione dal Prc, come nel caso della maggioranza della frazione di "Progetto comunista", per rimettere in piedi un nuovo partito volto a "rifondare l’opposizione dei lavoratori".

Noi siamo naturalmente interessati a discutere con la diaspora dal Prc, che non si fermerà qui né a questa forma immediata. Ma dobbiamo francamente dire subito che nutriamo scarsa fiducia nel "Progetto Comunista-Rifondare l’opposizione dei lavoratori" che, intanto, prende corpo. Per vari motivi. In primo luogo il carattere tardivo ed inconseguente della battaglia di frazione condotta nel vecchio Prc, per troppo lungo tempo giocata a ritagliarsi uno spazio "istituzionale" all’interno di esso al di là di tante dichiarazioni di principio in camera charitatis colle quali non sempre dissentivamo nella loro astrattezza "ideale". In secondo luogo l’idea che, venuto meno il vecchio contenitore "di massa", si tratti ora di sostituirne qui ed ora uno di ricambio. Il neonato Pc-ROL si è già messo alla caccia di "adesioni simpatizzanti" e "militanti" per far mucchio. Noi siamo convinti, col vecchio Bordiga, che prima di schierare supposti eserciti di massa e relativi caporali, sarebbe bene definirsi inequivocamente sul terreno della teoria e dei programmi, e su queste basi ricostruire un tessuto militante da vera organizzazione comunista non più catalizzata, come Rifondazione lo è stata fin dalla sua nascita, sul terreno istituzionale e parlamentare. Il che non significa, beninteso, astrarsi dalla "massa" e dalle sue lotte, ma dare ad essi un punto di riferimento non scivoloso. La lezione sul perché della deriva rifondarola va metabolizzata sino in fondo, perché non si tratta di supposti "tradimenti" da parte di Bertinotti e compagnia cantante o da parte di cosiddetti "guru" alla Ferrando scoperti tali a tempo quasi scaduto, bensì di un esito obbligato sin dall’inizio in assenza, anzi: nel ripudio conclamato, dei principi fondanti stessi del comunismo di sempre, da Marx ed Engels alla Terza Internazionale di Lenin alla battaglia del "comunismo di sinistra" internazionale da rivendicare e riattualizzare dalla a alla zeta. Un compito, attualmente, per forza di cose di assoluta minoranza, per quanto –è chiaro- con proiezione di massa e nella rivendicazione di un legame di massa (per quanto non immediatamente traducibile in effetti ponderali tangibili) con ogni e qualsiasi fenomeno di lotta potenzialmente antagonista.

Vediamo nero per le scorciatoie movimentiste, volontariste e, alla fin fine, immediatiste con cui anche il nuovo PC-ROL, per quel che possiamo giudicare, si presenta sulla scena. Pronti a confrontarci sempre con esso e con chiunque si appresti a reagire, come che sia, alla deriva affermando (giustamente) che "da decenni la crisi dell’umanità coincide con la crisi della direzione politica del proletariato, cioè con l’assenza di un partito rivoluzionario" che miri all’"abbattimento rivoluzionario di questo sistema sociale e la costruzione di un’alternativa di potere e di società". Staremo a vedere, non per fare le pulci, ma per contribuire a mettere in moto il motore. Tanto più in quanto consapevoli che la soluzione del problema della "crisi di direzione" non avverrà attraverso il riposizionamento delle sole, più o meno autentiche, "avanguardie" politiche presenti, ma con la sicura rimessa in campo di energie di masse a tutt’oggi sconosciute e non intercettate od immediatamente intercettabili alle quali dare (già oggi) una sicura risposta preventiva.