Le posizioni europee sulla questione ucraina
La borghesia europea (o, per meglio dire, le varie frazioni, tra loro spesso collidenti, delle borghesie europee centrali, unificate solo sulla carta) ha assunto sul tema dell’Ucraina una posizione decisamente antirussa. Mosca: il nuovo (o vecchio) diavolo. Non è una novità, visti i precedenti jugoslavi. Un "antico" numero de Il Mondo ipotizzava un dopo-Tito all’insegna dell’"invasione sovietica" sino all’Adriatico, cui bisognava reagire. Gli invasori ci sono stati, ma sono stati altri: gli Usa, tanto per cambiare. I territori una volta soggetti alla dominazione sovietica sono stati "liberati" dall’Occidente. Grazie anche, ed in primis, all’Europa. Ma a favore di chi? L’Europa attuale si è dilatata, ma dilatando insieme il territorio di controllo e dominazione stellestrisce. L’ingresso in essa di una "democratizzata" Ucraina aggiunge un ulteriore tassello in tal senso.
Un’Europa borghese forte (soggetto per il quale non potremmo aver maggiore schifo) si curerebbe piuttosto di contrastare il rullo compressore statunitense e guarderebbe agli spazi ad Est da inserire in essa in accordo con una Russia che sta cercando spasmodicamente, ed a buon passo, di uscire dal tunnel delle proprie difficoltà e con una Cina che sta marcando a passi da gigante il proprio cammino autonomo, questo sì su gambe ben salde.
Da un punto di vista borghese la causa europea è indissociabile da un attacco allo strapotere Usa attraverso una serie di alleanze strategiche con i paesi (per usare la terminologia nazi-fascista) "proletari" (cioè non sufficientemente imperialisti). Mussolini ed Hitler, su questo piano, hanno posto il problema borghese di fondo, che la vittoria delle "democrazie" sul fascismo nel corso della seconda guerra mondiale ha sconfitto al momento, ma semplicemente per riproporlo ingigantito: la creazione di un direttorio reale in grado di centralizzare l’Europa attorno ad un’asse di ferro, una politica di sostegno ed alleanza (non occorre dire di che pasta!) coi paesi dominati dall’imperialismo anglo-britannico (si ricordi "la spada dell’Islam" sollevata da Mussolini e l’appello "anticolonialista" di Hitler ai popoli oppressi dall’Africa all’India). Il tassello mancante era costituito dai rapporti con l’Urss, che solo per breve periodo poterono essere intesi come "amichevoli", di non belligeranza o addirittura di cooperazione. La guerra all’Urss fu la trappola in cui caddero sia Hitler che Stalin a proprio danno e ad esclusivo vantaggio degli Usa, nemico dichiarato in un caso, "alleato" provvisorio e nemico di fatto nell’altro. Le correnti "nazionalrivoluzionarie", cioè fasciste attuali, lo hanno ben compreso e, per quanto al momento deboli, segnalano un problema ineludibile per un’Europa borghese che voglia pretendersi vera e forte.
Che succede invece? Si è visto in Jugoslavia come quest’Europa aggressiva ma pezzente si sia lanciata in avanscoperta per aprirsi nuovi spazi vitali a spese dell’ex sistema "sovietico" finendo per aprirli e consegnarli agli Usa. Lo stesso valga per l’"allargamento ad Est", compiuto in modo da tirarsi dentro nel baraccone "comune" dell’Unione Europea autentici cavalli di Troia pro-Usa. E non parliamo poi della nullità della "presa di distanze", qua e là, dalla politica neocoloniale Usa in Medio Oriente, Asia ed Africa.
Quella che, per questa fetida Europa potrebbe e dovrebbe essere (sempre borghesemente parlando) una risorsa fondamentale, la Russia, diventa così, secondo un copione dettato dagli Usa, un "pericoloso vicino", un nemico da normalizzare.
Su questa linea si muovono non solo le cancellerie che contano, ma la stessa "sinistra", come ben vediamo qui da noi. Dall’Unità al manifesto a Liberazione fu, a suo tempo, un coro unanime contro il "mostro" Milosevic, salvo a prender le distanze dalla guerra guerreggiata (dopo averla preparata). La campagna contro Russia e Cina, poi, non conosce soste ("diritti umani violati", "sistemi dittatoriali" pressoché zaristi o mandarineschi, "affamamento" sino al cannibalismo -anche questo s’è letto!). Il tutto in nome di presunti "valori alternativi europei" che hanno il doppio difetto di essere per loro natura imperialisti e non abbastanza imperialisticamente autonomi rispetto alla centrale Usa. Avendo da tempo rinunziato anche ad ogni sia pur minima parvenza di prospettiva comunista rivoluzionaria, internazionalista, costoro non sanno neppure comportarsi da euroborghesi conseguenti, e come "tra Bush e il terrorismo islamico" finiscono, confessi o meno, per "scegliere il male minore", cioè Bush, così hanno scelto a suo tempo Clinton come "male minore" rispetto a Milosevic e sceglieranno Bush in "alternativa" a Mosca e Pechino.
L’antidoto "pacifista", che ha trovato nelle masse lavoratrici una vasta e promettente eco come possibile primo inizio di demarcazione dalla politica imperialista planetaria, o saprà andare avanti contro questa strada per trovare la sua via di classe, comunista, o fatalmente sarà ridotto al silenzio e, prima o poi, alla mobilitazione bellicista. Duro a sentirselo dire e a digerirlo, ma così è, come c’insegna tutto un passato di esperienze smarrite della vilipesa lotta internazionale di classe.
Noi denunciano l’attuale campagna bellicista antirussa, anticinese, anti-islamica. Non perché siamo prorussi, procinesi, proislamici, ma in quanto ci rivolgiamo ai proletari di di Russia, Cina e mondo islamico per organizzare qui e di là un comune fronte di classe che imponga la nostra soluzione contro tutte le soluzioni borghesi.