Dove va l’Italia?
La nostra solidarietà a Paolo Dorigo, detenuto nel carcere di Spoleto
La storia del movimento operaio offre una miriade di esempi di come la lotta contro gli effetti dello sfruttamento capitalistico e contro il capitalismo permetta di sovvertire e trasformare non solo il rapporto tra capitale e lavoro ma anche gli stessi protagonisti della lotta, i rapporti tra le stesse persone che vivono e lavorano assieme, prefigurando in qualche modo la liberazione definitiva dalla propria condizione di schiavitù.
Questo risvolto della lotta proletaria fu particolarmente evidente nei momenti più alti dell’esperienza rivoluzionaria. Ad esempio nel corso dell’assalto al cielo seguito alla prima guerra mondiale o, ancora prima, nell’attività dei gruppi proletari da cui, alla vigilia del 1848, emersero le forze che fondarono il primo partito comunista internazionalista, la Lega dei Comunisti. "Bisogna avere conosciuto -scrisse Marx nella Sacra Famiglia- lo studio, l’avidità di sapere, l’energia etica, l’impulso instancabile a svilupparsi degli ouvriers francesi e inglesi, per potersi fare un’immagine della nobiltà umana di questo movimento". Un altro "ritratto" ci viene fornito ancora da Marx nei Manoscritti: "Quando gli operai comunisti si riuniscono, essi hanno primariamente come scopo la dottrina, la propaganda, ecc. Ma con ciò si appropriano insieme di un nuovo bisogno, del bisogno della società, e ciò che sembra un mezzo, è diventato scopo. Questo movimento pratico può essere osservato nei suoi risultati più luminosi se si guarda ad una riunione di ouvriers socialisti francesi. Fumare, bere, mangiare, ecc. non sono più puri mezzi per stare uniti, mezzi di unione. A loro basta la società, l’unione, la conversazione che questa società ha a sua volta per scopo; la fratellanza degli uomini non è presso di loro una frase ma una verità, e la nobiltà dell’uomo si irradia verso di noi da quei volti induriti dal lavoro."
È quello che ci ha mostrato, in piccolo e ad un grado di intensità certamente inferiore, la recente lotta di Melfi. Facciamo parlare i protagonisti estrapolando alcuni passi contenuti nel libro: La primavera di Melfi delle Edizioni Punto Rosso–Liberazione.
"L’angoscia però svaniva subito nel momento in cui parlavo con gli altri operai nelle assemblee o tra i falò di notte, perché lì c’era anche la festa, la leggerezza, in mezzo alla campagna, alla nostra terra, vicino agli stabilimenti immersi nel silenzio, la passione e l’orgoglio di essere insieme per difendere la dignità e assicurare un futuro migliore alle nostre famiglie e alle future generazioni di operai del Sud. Momenti cruciali in cui si fondevano la determinazione e la volontà di andare avanti fino alla vittoria, perché tutti eravamo convinti che non si poteva più rientrare in fabbrica da sconfitti. Per la prima volta tutto era in discussione, noi stessi e il nostro futuro" (pagg. 10-11).
"La prima sensazione che provammo stando ai presidi fu bellissima, tra i lavoratori si era creato un bel dialogo, si discuteva di tutto senza paura, con determinazione si prendevano decisioni importanti, si informavano i compagni degli altri turni invitandoli ad unirsi a noi" (pag. 18).
"Il primo maggio fu festeggiato nella zona industriale di Melfi… la partecipazione fu altissima… e così quell’area industriale che per tanti anni mi era apparsa orribile e cupa con quei vialoni enormi su cui pure
passavano quotidianamente migliaia di persone ma che sembravano comunque vuoti e tetri, a tratti riempiti di operai che non vedevano l’ora di scappare via o di altri che loro malgrado dovevano entrare a lavorare, adesso mi apparivano assai più familiari. C’era gente che passeggiava, bambini che giocavano, gruppi di persone davanti ai falò… Per dirla tutta vedevo quei vialoni pieni di una vitalità che io stesso non avrei mai potuto immaginare" (pagg. 21-22).
"Questi ventuno giorni ci hanno ripagato per tutto quello che abbiamo dovuto subire. Se solo penso a quanto l’azienda si è impegnata per far sì che i lavoratori di un turno non conoscessero i compagni degli altri turni, e al fatto che invece nei presidi ho conosciuto tantissimi lavoratori con cui sono nati rapporti di amicizia e di stima, mi riempie di gioia oggi sentirmi chiamare per nome da compagni di altri turni che forse mai avrei potuto conoscere. Sento di uscire da questa esperienza enormemente arricchito sia sul piano umano che su quello sindacale, ho passato molte di quelle giornate a discutere con i lavoratori fino a perdere continuamente la voce ed oggi forse posso dire di conoscerli veramente" (pag. 25).
"Ricordo e lo ricorderò per sempre che un mio amico mentre venivamo caricati dalla polizia mi gridava: "Giovanni non mi lasciare!". Eravamo abbracciati tutti come se ci conoscessimo da sempre e non da pochi giorni. Un abbraccio di dignità" (pag. 41).
"Durante i ventuno giorni ci siamo ripresi la vita! Finalmente ci si interessa alle nostre condizioni di vita e sono stata persino chiamata dalla scuola di Venosa a raccontare ai ragazzi della scuola media la nostra esperienza. È stata una domenica particolare quella fuori dell’orario scolastico, i ragazzi sono venuti per parlare con noi!" (pag. 45).
Parafrasando Marinetti: la lotta di classe degli sfruttati, sola igiene per questo mondo inquinato.