Dove va l’Italia?
L’Italia, un paese in decadenza anche sul piano sociale
In dicembre due fatti hanno scosso Lecco, una tranquilla città lombarda. Il primo ha riguardato la vicenda di un’infermiera che in ospedale ha ucciso diversi pazienti con un’iniezione di aria nelle vene. Il secondo ha visto protagonisti due giovani (uno di diciotto anni, l’altro minorenne) che durante una rapina ad un distributore hanno ucciso un benzinaio in procinto di andare in pensione. Nel frattempo, a Roma, veniva scoperto un ospizio nel quale anziani malati di Alzheimer e di arteriosclerosi venivano tenuti in uno stato di abbandono, legati al proprio letto, imbottiti di sedativi e "nutriti" con cibo scadente. Una struttura che "le famiglie sceglievano perché si risparmiava" e che i primi soccorritori hanno descritto come un vero e proprio lager.
La lista potrebbe continuare, ma ci fermiamo qui: gli avvenimenti appena descritti già offrono ampi spunti di riflessione e di denuncia. Sulla base del senso comune, si potrebbe dire: episodi simili ci sono sempre stati, di "pazzi" e di "folli" è stato sempre pieno il mondo e di questi fatti ne avremo anche in futuro poiché l’uomo è egoista, la natura umana è complessa, difficile da capire e da interpretare…
Noi pensiamo invece che questi episodi non parlino della natura umana in generale, fuori dal tempo e dallo spazio, bensì di noi, di come oggi viviamo, ci rapportiamo, amiamo, comunichiamo con gli altri e quindi con noi stessi. Questi fatti non sono prodotti dal caso, non sono il frutto della volontà del singolo individuo "malato" o "deviato" che commette azioni amorali, disgustose, violente in un contesto che, invece, è sano, equilibrato e virtuoso. Sono, al contrario, il prodotto di un malessere che pervade, penetra e determina nel più profondo la nostra vita di tutti i giorni e che deriva alla fin fine dal sistema sociale nel quale viviamo! Un sistema che non è soltanto uno specifico modo di produzione "economico", è anche un sistema che produce determinati rapporti sociali (e dunque umani) funzionali al meccanismo "economico" di base e con esso strettamente interagenti.
Si vive male.
I protagonisti di queste tristi e drammatiche vicende esprimono tutti, chi in un modo chi in un altro, un dato comune: si vive male! I lavoratori vivono isolati ed estranei gli uni agli altri, accumulando dentro di sé una profonda insoddisfazione per come quotidianamente portano avanti la propria esistenza. Questi episodi che esprimono un evidente malessere sociale oltre che umano sono solo la punta di un iceberg sotto il quale si cela un malessere ancora più profondo e generale. Un malessere che nasce sui luoghi di lavoro ma che non rimane confinato dietro i cancelli di una fabbrica o la porta di un ufficio e che pervade ormai tutti i rapporti sociali.
I due giovani di Lecco nonostante vivessero in un contesto familiare "normale e dignitoso", hanno pensato che per fare dei soldi "in modo facile" (sono loro parole) si poteva con "tranquillità" organizzare una rapina ad un distributore, tanto più gestito da "vecchi"… L’azione è stata ideata e organizzata "una sera al bar tra una birra e gli effetti di una canna" e ha portato alle conseguenze che sappiamo. E avrebbe aperto, con molta probabilità (se fosse passata liscia), altri "divertimenti", altro fumo, altri soldi da fare in modo "facile" -magari con lo spaccio-, in una catena senza fine che spesso, per tanti giovani, si ferma, purtroppo, dietro le porte di un carcere o di un obitorio.
Di chi è la "colpa" di ciò? Beh, è piuttosto facile vedere, se non ci vuol nascondere dietro il dito, che questi due ragazzi hanno dato seguito ad una spinta che caratterizza tutta quanta la società, quella di far denari nel modo più facile e veloce possibile, poco importa a spese di chi.
Prendiamo, poi, il caso dell’infermiera di Lecco: perché una donna, una lavoratrice, stufa di essere considerata "una donna invisibile" arriva al punto di uccidere dei malati per sentirsi "importante" ed "essere al centro dell’attenzione dei medici e dei colleghi in una situazione critica"? Se andiamo a leggere bene tra le righe, scopriamo che la vita di questa persona era "grigia", fatta di solitudine, di "zero confidenze e pochissime parole"…
Qual è il meccanismo che produce ansie incontenibili di arricchimento, vite grigie, esistenze prive di valori forti di riferimento, esseri umani acefali e cinici o sospinti ai margini (o dentro) della follia ? La nostra risposta, e non chiamateci ideologici, è che le radici di questo crescente malessere sociale siano fondamentalmente sociali e vadano ricondotte alla decadenza della forma capitalistica di organizzazione sociale. Una decadenza che non è solo economica ma anche morale.
Non vogliamo con ciò dire, però, che i singoli atti dei singoli individui siano totalmente e meccanicamente determinati da un contesto sociale privo di antagonismi, sicché nulla possa essere opposto alle pressioni "invincibili" delle forze sociali dominanti. Al contrario, richiamiamo di continuo, in particolare i più giovani, al rifiuto attivo dell’omologazione, a non subire passivamente (ed è possibile) la pressione esterna delle abitudini correnti, a reagire a ciò che li fa star male e a risalire dal proprio disagio alle cause di esso per lottare contro queste cause.
Per ogni fenomeno patologico è determinante la responsabilità del sistema sociale, ma non può esserci da parte di chi contesta questo sistema sociale alcuna forma di di giustificazione (sul piano teorico positivistica e sul piano morale pietistica) dei comportamenti individuali prodotti dalle patologie sociali. Per noi il richiamo alla responsabilità sociale e alla responsabilità individuale e collettiva nell’azione di contrasto stanno insieme.
Una socialità malata
Insomma, che non si viva bene è esperienza ormai comune, non solo sul terreno strettamente economico e produttivo ma anche su quello sociale, culturale e dei valori.
La società nella quale noi tutti viviamo si scompone e si ricompone di continuo in un vortice frenetico e spasmodico che travolge tutto e tutti e non risparmia alcun aspetto della vita dell’uomo. Grazie a ciò l’essere umano, nelle aree metropolitane più sviluppate ma non solo, se da un lato è messo immediatamente in relazione simultanea ed immediata con tanti altri uomini e con una realtà sempre più vasta, dall’altro è portato nello stesso tempo all’individualismo e a "pensare per sé e per proprio conto". Questa situazione non ha fatto che approfondire quel senso di non appartenenza, di estraneità, di separazione, di isolamento, di indifferenza e insofferenza verso l’altro e, al fondo, verso se stesso che oggi sempre più vediamo dominare nella maggior parte delle relazioni sociali e umane.
In questo arretramento e imbarbarimento dei rapporti umani ha avuto ed ha un peso notevole la momentanea eclisse della prospettiva comunista dall’orizzonte del cambiamento sociale e della lotta politica. Una delle conseguenze di tutto ciò è stata anche il venir meno di tutti quegli organismi proletari vivi che il movimento operaio internazionale si riuscì a dare nel passato (soprattutto nel periodo rivoluzionario dei primi anni venti del secolo scorso) e che sono stati fondamentali non solo come luoghi di organizzazione e di lotta ma anche come ambiti sociali sani e veri dove si potevano avere e intessere rapporti di umana cooperazione e solidarietà. Oggi tutto questo, purtroppo, non c’è più e gli effetti sono sotto i nostri occhi! Gli spazi sociali dove sviluppare rapporti umani veri sono quasi inesistenti. La "socialità" che oggi viviamo è ancora più di ieri legata e funzionale alle leggi del mercato, del profitto e del consumo.
Questa situazione di scollamento e decadenza sociale è percepita anche dalla borghesia italiana che sta cercando di correre ai ripari riproponendo i suoi classici valori di "dio, patria, famiglia". Per anni essa ha tratto profitto da questo degrado del tessuto sociale e soprattutto di quello proletario per farvi attecchire meglio il vangelo dell’individualismo e della sudditanza alle leggi del mercato. Oggi però i grandi capitalisti italiani hanno bisogno di un corpo sociale coeso e irregimentato per partecipare alla guerra economica e alle spedizioni militari che sono richieste dalla tutela del business nel mercato mondiale. È quindi per essi necessario che almeno una significativa fetta di lavoratori venga aggregata a sostegno materiale e psicologico delle aziende e dell’Italia nelle sue politiche di "pace" e di guerra. A tal fine può essere utile anche la campagna perbenista e reazionaria che sta prendendo il volo. Una campagna che può fare breccia nel nostro campo e che trova carburante anche in quel senso di fallimento e di impotenza che sempre più spesso, grazie soprattutto all’isolamento individuale in cui si è rinchiusi, finisce per dominare e fiaccare le nostre vite.
Potremo ricacciare indietro questa ondata limacciosa solo iniziando a ricostruire momenti ed organismi vivi di lotta e discussione, organismi in cui noi proletari collettivamente riprendiamo a lavorare insieme e a lottare insieme, ragionando e organizzandoci su tutte le questioni, su quelle "grandi" come su quelle "piccole". Ciò è possibile, è alla nostra portata, contrariamente al messaggio che ci viene quotidianamente lanciato di impotenza e chiusura. Su un piccolo esempio ma significativo di questo tipo ragioniamo nella pagina accanto. Nella mobilitazione contro il padrone, i lavoratori hanno iniziato a "riscoprire" alcuni di quei valori (l’unità, la solidarietà e un modo veramente diverso, fraterno ed umano di relazionarsi gli uni con gli altri) di cui tanto oggi si soffre la mancanza e che sono decisivi per la riscossa odierna e futura di tutti gli oppressi e gli sfruttati.