Il nazionalismo ucraino
Un risveglio nazionale ucraino autonomo è cosa recente, dell’ottocento; in ogni caso, chi si batteva per una reale indipendenza, collocava pur sempre la propria rinascita nazionale nel quadro di una federazione slava. Qualsiasi richiesta d’indipendenza cozzò, però, contro l’irrigidimento grande-russo dello Zar e, più tardi, degli stessi governi democratici che dal febbraio al settembre del ’17 precedettero la rivoluzione bolscevica.
Fu il bolscevismo di Lenin a riconoscere all’Ucraina la pienezza dei suoi diritti nazionali quale entità propria in seno all’esperienza delle repubbliche sovietiche, oltre che a promuoverne la più viva espressione in campo culturale, economico e politico.
Lo stalinismo (e la controrivoluzione di cui esso allo stesso tempo era prodotto e agente) frenò e capovolse progressivamente questa impostazione. Abbandonata ogni prospettiva internazionalista, le dure esigenze della cosiddetta "costruzione del socialismo" in Russia, cioè di un moderno capitalismo a partire da pressoché zero ed in condizioni di accerchiamento internazionale, imponevano una stretta centralizzatrice da parte di Mosca, che, nelle intenzioni, non lasciava spazio ad alcun tipo di autonomia ma che, in Ucraina, non poté impedire un minimo sviluppo "proprio" (pur nel quadro di dipendenza e controllo russi) in ambito quantomeno culturale.
La macchina della "pianificazione sovietica" andava avanti senza far sconto ad alcuno (né classi né popoli) causando in questo modo una frattura dal profondo tra centro russo e soggetti fatti oggetto di tale compressione. Tale frattura fu ancora più evidente in Ucraina dove i rapporti della maggioranza della popolazione, composta soprattutto da contadini, erano molto più "orientati" verso Occidente, essendo totalmente assente nelle campagne quella tradizione comunitaria propria di alcune istituzioni contadine russe d’epoca zarista. Il cambiamento in senso "collettivistico" e statalistico provocò quindi ancora di più il risentimento e l’opposizione nei confronti della Russia.
Non aiutò, in questo senso, neanche la politica moscovita che tra il ’39 ed il ’45 promosse una serie di acquisizioni territoriali a favore dell’Ucraina. Ciò comportò in effetti l’inglobamento di importanti territori, ma anche dieci milioni circa di nuovi abitanti dalle diverse nazionalità, fatto questo che incrementò le rivendicazioni di carattere nazionale dell’elemento ucraino. Il nazionalismo ucraino si riaffacciò dunque sulla scena, non più nell’ottica di una indipendenza nell’ambito di una federazione slava, così come era stato nell’800, ma ora in veste anti-sovietica e con un occhio di "riguardo" a possibili alleati cui accodarsi a questo scopo, mancando una sua propria forza autonoma reale.
Il nazifascismo sfruttò la questione (reale) dell’indipendentismo ucraino per attaccare l’Urss. Stuoli di armate ucraine combatterono pro-Hitler nella seconda guerra mondiale. Molti furono gli ucraini che collaborarono con i tedeschi e numerosi i volontari arruolatisi nelle SS. In mancanza di una prospettiva proletaria internazionalista in grado di combattere, assieme, gli imperialismi in lotta e lo stalinismo, questa era la via obbligata per un nazionalismo portato avanti da deboli e svendute forze borghesi, sia pur con seguito di massa.
Sull’opposto versante, un’altra parte di queste stesse masse popolari combatté sul fronte del "socialismo sovietico", non mettendo da parte il proprio essere ucraine, ma subordinandolo alla preliminare sconfitta dell’hitlerismo, da cui (a ragione) si avvertiva che nulla di buono si sarebbe potuto cavar fuori.
Dopo la sconfitta del nazismo Stalin diede il via ad un deciso giro di vite nei confronti dei collaborazionisti. Molti di essi emigrarono, dando vita a numerose comunità estere (in Usa e in Canada) assai influenti sia politicamente che finanziariamente, le quali hanno costituito un importante fattore per l’attuale rivitalizzazione nazionalistica a tinte arancioni e stellestrisce.
La fine della seconda guerra mondiale non risolse l’annoso problema nazionale ucraino, bensì lo ripropose ingigantito nell’ambito, sempre più denso di contraddizioni, dell’Urss. L’azione dello stato in senso ultracentralista e "pianificatore" rispondeva alle esigenze della prima fase dello sviluppo capitalistico nell’area sovietica. Quella fase in cui si trattava appunto di raggruppare e concentrare gli scarsi mezzi a disposizione per impiantare le basi di un moderno industrialismo capitalistico nel paese. Un industrialismo che non solo poteva essere impulsato esclusivamente da una azione "dall’alto", ma che poteva essere salvaguardato dall’invadenza dell’ipersviluppato imperialismo occidentale solo ed esclusivamente da un (borghesissimo) guscio protettivo statale. Fu lo stalinismo che, dopo aver pugnalato alle spalle ogni prospettiva proletaria internazionalista, si fece interprete di tali esigenze.
Il "pulcino" ucraino, però, a un certo punto iniziò a premere contro il guscio vedendo in esso non tanto un fattore di protezione bensì un ostacolo alla sua crescita. Ed è stata proprio la spinta dei tanti "pulcini interni", nonché la concomitante pressione dei rapaci occidentali, a mandare in frantumi l’ex Unione Sovietica: lo stalinismo, una volta assolto il suo compito, poteva essere mandato in pensione senza troppi riguardi.
Con la polverizzazione dell’Unione Sovietica in mille frammenti nazional-borghesi "autonomi", hanno fatalmente rialzato la testa in Ucraina le tendenze indipendentiste, tanto poco indipendenti di fatto da dover scegliere tra queste due alternative: o stare, "sulle proprie gambe", con la Russia, o proiettarsi verso l’Occidente per svincolarsi da Mosca, e su gambe proprie ancor più flosce. In entrambi i casi, la direttiva di fondo è quella capitalistica, e l’unico soggetto a non poter scegliere nulla per sé è quello "popolare", non sfruttatore, proletariato e contadiname, sottomesso alle dure leggi dell’ipersfruttamento borghese.