Dove va l’Italia?
L’imperialismo italiano torna in Libia
e utilizza la ex-colonia come un enorme CPT.
Luglio 2003. Pisanu firma una prima intesa con la Libia, da lui definita"un accordo di collaborazione alla pari, di polizia, per la sorveglianza congiunta delle frontiere" (2 luglio 2003). Secondo un modello già sperimentato dal centrosinistra in Albania alla fine degli anni ’90, si appaltano alla Libia il pattugliamento delle coste, la costruzione e la gestione dei centri di permanenza temporanea, e tutte le operazioni di polizia finalizzate alla repressione di uomini, donne e bambini che emigrano verso le coste italiane per sfuggire alla fame e alle guerre. L’accordo prevede che l’Italia, dal canto suo, si occuperà dell’addestramento della polizia libica e fornirà l’equipaggiamento e i mezzi economici e militari. C’è però un ostacolo: l’embargo economico e militare, in vigore dal 1986, che vieta di fornire al governo di Tripoli armi, jeep, elicotteri, aerei e altri mezzi. Il governo italiano avvia quindi un’azione di pressing su Bruxelles affinché si revochino le sanzioni.
Agosto 2004. L’UE decide l’abolizione dell’embargo. La decisione sarà ratificata solo l’11 ottobre, ma alla fine di settembre Pisanu e il suo omologo libico Naser al Mabruk hanno già definito i termini dell’accordo:
"Il piano concordato oggi prevede l’invio in Libia, da parte dell’Italia, di una serie di strumenti che con l’embargo erano vietati: motovedette di guardia costiera per il contrasto in alto mare, elicotteri ed aerei per pattugliare a lunga distanza e per il controllo delle frontiere, radar ed attrezzature tecnologiche per la comunicazione ed il controllo dei confini, visori notturni portatili ed altri supporti tecnici. (…) In partenza anche personale delle forze dell’ordine che avrà il compito di addestrare i colleghi libici e, in un primo momento, di costituire pattuglie miste per il controllo dei confini" (La Gazzetta del Mezzogiorno, 27settembre 2004).
"Il governo, inoltre, aiuterà la Libia a costruire centri di accoglienza per gli immigrati, fornendo unità abitative e strutture logistiche. Le «cittadelle» di prima accoglienza nel Paese nordafricano saranno autonomamente gestite dalla Libia: «La sovranità sarà scrupolosamente rispettata»." (La Gazzetta del Mezzogiorno, 28 settembre 2004).
Il senso di questi accordi è chiaro: l’Italia intende spostare a sud la propria frontiera, utilizzando la Libia come una sorta di stato-filtro e di grande CPT. L’ex "stato-canaglia", grande nemico dell’Occidente, trova più consono ai suoi interessi borghesi prendere le distanze dalla resistenza dei popoli musulmani, calarsi nel ruolo di cane da guardia contro di essa e far fruttare, in cambio, le relazioni economiche con l’altra sponda del Mediterraneo possibili con la vendita degli idrocarburi.
Il 7 ottobre scorso, all’inaugurazione del gasdotto Greenstream finanziato dall’Eni, che garantirà all’Italia il 10% del fabbisogno interno di metano, Berlusconi ha tessuto le lodi di Gheddafi, "grande amico mio e dell’Italia, leader della libertà", e ha invitato a "guardare al futuro di pace e benessere" (Il Tempo, 8 ottobre 2004). Libertà, pace e benessere per loro, naturalmente, per le borghesie europee e, in subordine, araba; per gli sfruttati musulmani, per gli immigrati del Sud del mondo, questa "pace" e questo "benessere" della borghesia significano, invece, disoccupazione, miseria, guerre, brutale repressione e deportazioni nei nuovi lager italo-libici. Per gli sfruttati della Libia, poi, è il ritorno della vecchia potenza colonialista, dell’antico carnefice. Che bel remake!