Stati Uniti

È negli Usa uno dei pilastri dell’opposizione mondiale alla politica dell’amministrazione Bush e del mondo degli affari che essa rappresenta.

Indice:


 

Il nemico per Bush

è anche in casa.

Le cose per la Casa Bianca e per Wall Street non filano lisce neanche entro le mura di casa propria.

Non ci riferiamo solo alle iniziative del coraggioso, pur se ancora minoritario, movimento no war statunitense. Anche sul versante delle "relazioni sindacali" non mancano le "gatte da pelare".

Indicativi, al proposito, la lotta dei lavoratori dei supermercati della California (vedi pagina 10) o il rilievo che i temi della condizione dei lavoratori sta assumendo nella campagna presidenziale in corso o, ancora, la consistente manifestazione delle donne di Washington del 25 aprile 2004 contro l’attacco governativo alla legislazione sull’aborto.

Non sarà tuttavia facile far saltare o anche solo rallentare il rullo compressore dei dittatori democratici installati alla Casa Bianca e nei piani alti di Wall Street. Non sarà facile perché esso non esprime semplicemente le manie di grandezza di alcuni "esaltati" o gli interessi del "clan texano dei petrolieri" e degli industriali del settore militare. Nel suo motore c’è ben altra tigre. Lo documenta un utile libretto pubblicato da Feltrinelli dal titolo I nuovi rivoluzionari. Il pensiero dei neoconservatori americani, a cura di J. Lobe e A. Oliveri. Esso raccoglie i testi dei "new-cons" (così vengono detti i neoconservatori) installati alla Casa Bianca e al Pentagono. Da questi scritti e dalla "lunga marcia" di oltre vent’anni (raccontata nell’introduzione) che ha portato la squadra di Bush e Rumsfeld alle leve del potere, emerge appunto che la politica del governo statunitense non mira tanto a far intascare soldi alle "imprese amiche". Anche questo naturalmente. Ma ciò è solo un sotto-prodotto di un obiettivo più grande, assunto e perseguito scientificamente: la difesa organica del capitalismo mondiale (anche nell’interesse dei capitalisti europei!) come sistema di sfruttamento internazionale del lavoro, soprattutto davanti alla minaccia sociale che le viene dall’odio montante tra gli sfruttati del Sud e dell’Est del mondo. In questa difesa, un ruolo centrale è assegnato alla macchina statale e militare statunitense. Alla forza. Lo aveva scritto già il New York Times ai tempi della guerra contro i popoli della "ex"-Jugoslavia: il mondo non può essere conquistato dalla MacDonald’s senza il pugno di ferro garantito da fabbriche belliche come la McDonnell-Douglas.

Un consenso difficile da ottenere

La "novità" degli ultimi mesi sta nel fatto che la politica dei "new-cons", davanti alla resistenza irachena e delle masse lavoratrici del Sud del mondo, ha difficoltà a trovare un sostegno sufficientemente compatto all’interno degli Stati Uniti. In quell’America fatta dalle persone che ogni giorno si svegliano con la paura di perdere il posto di lavoro o di non avere più la copertura sanitaria. L’America dei 48 milioni di persone che la copertura sanitaria l’hanno già persa. L’America che subisce le pene, non i profitti, di un’economia da lavori forzati. L’America dei 35 milioni di poveri, di cui un terzo bambini. L’America dei tanti lavoratori (sono quattro su cinque fra quelli il cui reddito è inferiore ai 20mila euro annui) che non hanno la copertura pensionistica...

"Io so dove sono le armi di distruzione di massa.

"La disoccupazione è un’arma di distruzione di massa.

"La povertà è un’arma di distruzione di massa.

"E quando il governo mente al popolo americano sulle ragioni di una guerra, anche questa è un’arma di distruzione di massa."

Da un comizio di Kucinich, uno dei candidati alla nomination democratica

(l’Unità, 5 marzo 2004)

Fino a qualche anno fa si diceva: ciò che è bene per la General Motors e le altre multinazionali, è bene anche per i lavoratori statunitensi. E nel XX secolo, in una certa misura, sul piano immediato, è stato così. Ora l’equazione è saltata. A conquistare la scena, anche entro i confini statunitensi, è il modello Wal-Mart (vedi riquadro). Ciò che è bene per le corporations, è male per gli sfruttati. Il bastone sui lavoratori del "Terzo Mondo" è la leva per picchiare anche sui lavoratori statunitensi. Anche lo strato superiore del mondo del lavoro dipendente è entrato nel mirino. Quello dei lavoratori dei supermercati della California, ad esempio. O quello dei tecnici e degli impiegati delle aziende informatiche e a tecnologia avanzata che stanno delocalizzando le loro attività verso l’India o la Cina.

Non vogliamo certo dire che quest’altra America è già organizzata (com’è nel suo interesse) dietro la consapevolezza che la "macchina da guerra" della Wal-Mart sul fronte interno e il gangsterismo di Rumsfeld su quello esterno sono l’uno la base e il complemento dell’altro. Per ora, non è così. Comincia però a vivere una delle premesse a ciò indispensabili: i lavoratori statunitensi si riconoscono sempre meno nel ruolo di poliziotto mondiale che i "new-cons" assegnano agli Stati Uniti e al popolo americano. Con grande preoccupazione per la classe dominante degli Usa. Che rileva come la politica di Bush non solo non fa scomparire i "banditi" in Medio Oriente, ma li riproduce a ritmo accelerato. Li fa nascere, orrore orrore, entro i propri confini. Per ora, uno dei cervelli della borghesia statunitense, S. Huntington, li individua e li addita soprattutto nei nuovi immigrati latinoamericani, colpevoli, a suo dire, di non essere disposti a ad assimilare l’"etica protestante del lavoro", non disposti cioè a fare gli schiavi pur di sopravvivere con un piatto di riso o di mais. Ma è chiaro il timore che le pretese di questi "ingrati" possano radicarsi anche nelle decine di milioni di "statunitensi doc" che lavorano come muli e sono trattati come cani...

L’alternativa Kerry

La possibile vittoria del democratico Kerry non segnerebbe alcuna svolta a favore dei lavoratori statunitensi. È vero che egli promette la "giustizia sociale", l’innalzamento dei salari minimi, la ricostruzione di un servizio sanitario per tutti, la riduzione della disoccupazione. Ma come si può arrivare a tanto se nello stesso tempo, come egli afferma, va difesa e migliorata la competitività e la potenza delle multinazionali statunitensi nel mondo? Il direttore esecutivo della General Electric, uno che se ne intende, ha confessato di recente che "per competere, bisogna spremere i limoni"... E continuare la "guerra infinita", che infatti Kerry si guarda bene dal mettere in discussione.

Disneyland

Negli Usa, un bambino su cinque è povero. In tutto, 12 milioni e mezzo.

Ad un bambino su dieci fra quelli iscritti nelle scuole Usa sono somministrate pillole antefaminiche. In tutto, 4 milioni.

Come mai tanti bambini tristi e depressi?

Un bambino senza voglia di vivere, di curiosare, di giocare, di stare con gli altri... Non è un contro-senso?

L’appoggio tributato a Kerry da alcuni settori del mondo degli affari non sta ad indicare (come affermano i dirigenti della coalizione di centro-sinistra in Italia) la disponibilità di quest’ultimo a ritornare al compromesso sociale dei tempi che furono. È il tentativo di sanare la debolezza e la grossolanità della politica dei "new-cons" nel rapporto con la classe lavoratrice statunitense in vista di un più feroce sviluppo della politica imperialistica. Almeno una parte dei salariati, dicono costoro, va conquistata alla politica di dominio degli Usa sul mondo e sul resto degli sfruttati statunitensi, che vanno divisi e gerarchizzati per censo e nazioni d’origine, anche a costo di far ricominciare a pagare qualcosa in termini fiscali ai ricchi e alle imprese; come in Iraq siamo costretti a recuperare l’alleanza con i generali e i borghesi di Saddam, così all’interno occorre prestare attenzione a ristabilire un’alleanza con alcuni settori del mondo del lavoro, a organizzare una nostra base militante popolare per meglio regalare una politica di terrore e sfruttamento a tutti gli altri...

Gli sforzi politici in tal senso non mancano neanche all’interno delle fila repubblicane. All’inizio dell’anno, l’amministrazione Bush ha lanciato un provvedimento che promette il permesso di soggiorno triennale agli immigrati clandestini (quasi dieci milioni di persone) che dimostreranno di avere un lavoro. Ed è un reaganiano convinto (il suo nome è McCain), il senatore repubblicano che, per uscire dall’empasse in cui si trova l’amministrazione Bush, vuole reintrodurre la leva militare obbligatoria, aumentare pesantemente la pressione fiscale (anche sui ricchi) per finanziare la politica imperialista e, su questa base, provare a ricomporre il "puzzle interno".

Un problema non da poco

La preoccupazione da cui parte McCain sembra di dettaglio. In realtà è legata direttamente al cuore di uno degli antagonismi che sta spaccando l’America (e il mondo). Un sondaggio dell’ottobre 2003 della rivista militare Stripes&Stars, finanziata dal Pentagono, ha rivelato che la metà dei militari Usa di stanza in Iraq è depressa e vuol lasciare al più presto l’esercito. Non sono solo i quasi duemila marines che, arrivati in licenza negli Stati Uniti, hanno scelto di non tornare in Iraq. Ma i settantamila che ancora in Iraq ci sono, e che non prolungheranno la loro ferma... Quale destino li attende? Molti di loro si erano arruolati per trovare un posto di lavoro o per ricevere corsi di formazione che non potevano permettersi da civili oppure per guadagnare la somma sufficiente per pagarsi gli studi universitari. E ora? Ora che non c’è questo salvagente, rivelatosi in realtà una pietra al collo per la magnifica resistenza degli sfruttati iracheni e mediorientali, come potranno costruirsi un futuro negli States? Con quale lavoro? Davanti alle difficoltà che incontreranno più di prima, cosa faranno? Torneranno nelle forze armate da cui sono fuggiti? Per quale guerra?

Un’economia da lavori forzati

"Nel 1947, per guadagnare un reddito famigliare medio, un operaio doveva lavorare 62 settimane. Nel 1973 gli ci volevano 74 settimane. Nel 2001, 81. Così, nonostante il fatto che la produttività del lavoro sia complessivamente triplicata negli ultimi cinquant’anni (e quella industriale quintuplicata), l’operaio medio dovrebbe lavorare sei mesi in più per ricavare il reddito famigliare medio. E l’aumento del lavoro ha subìto un ritmo ancor più penalizzante negli anni novanta che nei decenni precedenti. Naturalmente non sono solo i singoli lavoratori a lavorare di più; una porzione crescente della popolazione adulta ha fatto il suo ingresso nella forza lavoro pagata, soprattutto donne, che non ottengono molto aiuto nei lavori domestici a compensare la crescente presenza in fabbrica. I paragoni internazionali confermano l’immagine degli Usa come un’economia da lavori forzati."

(Da un brano del libro After the New Economy di Doug Henwood pubblicato dal Corriere della Sera del 16 dicembre 2003).

In un recente articolo, B. Ehrenreich ha scritto: "Lasciamo stare se sia morale spedire la povera gente in paesi lontani a morire per ragioni sconosciute e per quattro soldi [la paga di un marine al fronte è di 16mila dollari annui, il salario di un dipendente della Wal-Mart; un sottotenente arriva a 26mila dollari, n.]. Voglio solo far notare l’anomalia storica rappresentata dallo stato militarista di Bush. Sin dall’introduzione degli eserciti di massa in Europa nel diciassettesimo secolo, i governi hanno generalmente compreso che sotto-pagare e calpestare le proprie truppe è rischioso e le può portare a puntare i fucili nella direzione opposta a quella indicata dagli ufficiali. I moderni welfare state, per quanto limitati, sono in non piccola parte il prodotto della guerra, cioè dei tentativi dei governi di ammansire i militari e la gente del popolo che li sostiene. (...) Anche Hitler ha costruito un welfare state che prevedeva l’aiuto alle donne disposte a produrre fresca carne di cannone per il suo stato di guerra permanente. Finora è stata questa la consegna: se vuoi che la classe operaia muoia per te, devi darle qualcosa in cambio" (in The Progressive, 30 marzo 2004).

E da ora in poi?

Cynthia chiede troppo.

Per il momento, una parte del mondo proletario statunitense sta rivolgendo le sue aspettative verso la vittoria democratica. Sono soprattutto quei lavoratori, il 10% della manodopera statunitense, iscritti ad un’organizzazione sindacale. Un’altra quota, che arriva al 70% tra i giovani, è ancora frantumata ed estranea all’arena della politica, anche solo a quella del voto. Piccole avanguardie sindacali stanno cercando di superare questo doppio binario morto. Ad esempio, con la continuazione degli incontri e della mobilitazione per la formazione del Labor Party (ce ne siamo occupati nel "che fare" n.xx). E con la ripresa, nel vivo delle battaglie sindacali che scuotono il paese, delle migliori tradizioni di lotta del movimento operaio statunitense: quella degli IWW.

La situazione non consente comunque di "accontentarsi" di ciò che passa il convento. Il fatto che il desiderio di un lavoro sicuro e decente, la preoccupazione principale dei proletari statunitensi, stia incocciando con le "pretese" di un apparato economico e militare mondiale, obbliga i lavoratori statunitensi a mettere il naso fuori della porta di casa ed a chiamare in causa il capitalismo come sistema sociale e non la sua semplice gestione "neo-cons".

Il 25 aprile a Whashington almeno mezzo milione di persone ha preso parte alla marcia delle donne per il (triste) diritto a non morire d’aborto, la salute riproduttiva e la giustizia per le donne. Una partecipazione molto composita in cui spiccava la presenza delle giovani e delle immigrate ispaniche. Attivisti, organizzazioni, associazioni e gente comune si sono mossi, praticamente, da tutto il paese. Un contingente di manifestanti (sponsorizzato da Answer) ha preso parte alla marcia abbinando ai temi della piattaforma anche quelli contro la guerra in Iraq e la crociata contro gli immigrati.

Cynthia Hernandez, 27 anni, madre single di due bambini, una delle lavoratrici protagoniste dello sciopero nei supermercati californiani (ne parliamo nella pagina a fianco) ha dichiarato: "Tutto ciò che voglio è solo un’assicurazione sanitaria che mi permetta, se ce n’è bisogno, di curare mia figlia. Chiedo troppo?" (Business Week, 12 febbraio). Per coloro che spendono milioni per il minimo particolare della propria pelle, sì: Cynthia chiede troppo. Ma Cynthia, per non sottomettersi alla loro arroganza, non potrà non chiedere "qualcosa di troppo" anche in altri campi, anche sulla guerra...

L’aiuto più grande che al momento possiamo dare alla nostra America, all’America proletaria multinazionale che suda e subisce, all’America della gioventù sana che punta il dito contro i crimini del proprio imperialismo, il sostegno più grande che possiamo dare a questa America affinché essa trovi se stessa e la forza di costruire una propria politica distinta da quella di Kerry, è quello di raccontarne la condizione e le lotte, di cercare noi per primi di rompere il nostro fronte interno, di denunciare e sconfiggere le manovre di chi, i capitalisti europei, si demarca dal militarismo di Bush per rivendicare per sé una più favorevole spartizione dello stesso bottino.


Dal "credo" dei "neo-conservatori"

"Il destino degli Stati Uniti

è sorvegliare il mondo."

"Questo [il nuovo intervento militare contro l’Iraq] suscita opposizione sia a destra che a sinistra, sul piano interno e internazionale. I critici si chiedono: perché mai l’America dovrebbe assumersi il compito ingrato di sorvegliare il mondo?

Per rispondere a questa domanda, cominciamo con il chiederci: il mondo ha bisogno di un poliziotto?"

Sì, risponde l’autore del documento, perché le "forze del male", i "banditi", gli "stati canaglia" non lo lasciano in pace. Ossia perché (traduciamo nella nostra lingua) gli sfruttati e i popoli di colore non sono disposti ad essere ridotti peggio che schiavi, e perché anche in Occidente la gerarchia sociale fondato sulla torchiatura del lavoro salariato non manca di incrinature.

"Chi resta dunque a fare da poliziotto mondiale? Il Belgio? La Bolivia? Il Burkina Faso? Il Bangladesh? La risposta è abbastanza ovvia. È il paese con l’economia più dinamica, la più fervente devozione alla libertà e le forze armate più poderose. Nel XIX secolo la Gran Bretagna ha combattuto contro i ‘nemici dell’umanità’, mantenendo i mari aperti al libero commercio. L’unica nazione capace al giorno d’oggi di giocare un ruolo equivalente sono gli Stati Uniti. Gli alleati saranno necessari, ma l’America è, come ha detto Madeleine Albright, la «nazione indispensabile» [a proposito delle differenze tra la politica di Bush e quella della clintoniana e dalemiana Albright!, n.].

"Sfortunatamente il lavoro di un poliziotto non finisce mai. Anche quando ci saremo liberati del signor Hussein, altre tirannie, come la Corea del Nord e l’Iran, continueranno a minacciare la pace mondiale. Affrontarle tutte è un grosso impegno, ma come Kipling [lo scrittore inneggiante alla missione dell’imperialismo nei continenti di colore, n.] ha consigliato all’America, «per niente di meno osereste abbassarvi.»"

 

(M. Boot sul Financial Times, 17 febbraio 2003)


"Ciò che Bush e il Pentagono

stanno facendo ai nostri soldati mi disgusta."

Quanto sia profonda la frattura che sta spaccando il "popolo americano" lo mostra l’intervista che riportiamo (1). A parlare sono due ufficiali delle forze armate Usa inviati in Iraq. Pur "orgogliosi di servire le forze armate degli Usa", sono costretti ad ammettere cose che "solo un anno fa" avrebbero suscitato la loro derisione: "qui in Iraq non stiamo servendo nessuna giusta causa..."

Ma sentiamole queste cose dalla voce stessa di O1 e a O2, i nomi che si sono dati i due ufficiali perché, da cittadini di una democrazia in cui è garantita la libertà di parola e di critica, hanno avuto paura di rivelare la loro identità...

O2 - "La situazione in Iraq è un completo macello e le cose possono solo peggiorare. Gli attacchi [contro di noi, n.] nell’ultimo mese sono stati meticolosamente progettati ed eseguiti. Abbiamo visto un livello di preparazione che la catena di comando non si aspettava."

O1 - "Noi abbiamo provato a riferire che non si tratta di membri del partito Ba’ath o sostenitori di Saddam. Alcuni dei più preparati guerriglieri sono sciiti o curdi. Ci ritroveremo davvero nei guai se anche i curdi decidessero di unirsi agli sciiti per combatterci. (...) Gli iracheni ti dicono che non si sentono più liberi, c’è rabbia dappertutto, più di metà del paese è disoccupato, c’è un’enorme mancanza di acqua potabile, e i bambini stanno morendo ogni giorno per l’acqua contaminata, quando non per le cluster bomb. Il popolo vede che non abbiamo portato né la liberazione né la democrazia. (...) Mettiamoci nei loro panni per un momento. Ogni americano dovrebbe chiedersi cosa farebbe se fosse al loro posto. Vi garantisco che non si metterebbe seduto senza far nulla [davanti a questa situazione, n.] Vorrebbero combattere in ogni modo possibile."

O2 "Proprio così! Io divento matto quando essi uccidono o ingiuriano uno dei miei uomini, ma devo esaminare perché ci sono gli attacchi [contro di noi, n.]. Ho chiesto a più iracheni cosa deve accadere per far cessare gli attacchi. Tutti mi hanno risposto che gli Usa devono mantenere la promessa fatta e lasciare che il popolo iracheno possa governare il paese. La maggior parte degli iracheni pensa che gli Stati Uniti sarebbero dovuti arrivare, cacciare Saddam e tornarsene a casa. Noi sappiamo che questo non potrà accadere tanto presto. Noi dovremo rimanere là per almeno un altro anno. Non credo che Bush e i suoi amici rinuncino tanto facilmente al petrolio e ai contratti in Iraq."

O1 - "Siamo noi a pagare per questa politica di Bush attenta solo al petrolio e ai profittii. Non vedrete certo i figli dei senatori laggiù in Iraq. Non vedrete il figlio o la figlia di nessun membro della Halliburton, della Bechtel, della Kbr. Tutto quello che si preoccupano di fare è ‘fare soldi’ e spedire truppe per difendere i loro convogli e le loro proprietà. Gli iracheni odiano i sorveglianti della Halliburton o della Bechtel ancor più dei soldati statunitensi."

O2 - "Sono orgoglioso di servire il mio paese, di essere un soldato statunitense. Ecco perché per me è così duro dire queste cose dei miei governanti. Odio fare questo, ma ciò che il Pentagono e Bush stanno facendo ai nostri soldati mi disgusta. Sono disgustato anche quando penso ai tanti iracheni che ho visto morire o mutilare. Ho visto centinaia di bambini privi di membra o morti per dissenteria e diarrea a causa dell’acqua contaminata. (...) Non posso dormire talvolta, sento quei bambini gridare nei miei incubi."

O1 - "Quello che voglio dire all’America è: ‘Non lasciate che i vostri uomini e le vostre donne continuino ad uccidere senza senso’. Se noi stessimo uccidendo per il nostro paese, per una giusta causa, potremmo essere orgogliosi."

O2 - "Odio gli uomini del potere che hanno messo in discussione il mio senso del dovere e dell’onore. (...) Voglio mantenere la mia mente sana e non svegliarmi con gli incubi sui bambini morti. (...) Finora [gennaio 2004, n.] abbiamo dovuto ritirare dall’Iraq almeno 5mila militari per problemi mentali. Io stesso ho incubi notturni e non riesco a dormire bene. Non riesco a dimenticare alcune delle cose che ho visto."

O1 - "Sono andato in Iraq per portare la democrazia e la libertà, e ora che sono nel mio paese, che suppongo essere democratico, mi spaventa mettere il mio nome sotto questa intervista..."

O1 "Conosco parecchi militari i cui familiari stanno partecipando alle proteste contro la guerra."

O2 "Sarebbe una beffa essere andato in Iraq per aiutarli a costruire una libera democrazia, mentre essi [gli uomini del potere, n.] mettono in prigione la mia famiglia per proteggere la loro democrazia. Penso che non siano molti i militari e i loro famigliari che in questo momento sostengono la guerra. Non ricordo altri momenti in cui così tanta gente con le famiglie dei militari ha manifestato opposizione alla guerra. I famigliari di alcuni dei miei uomini partecipano a tutte le proteste e sono molto attivi con vari gruppi anti-war. (...) Avrei riso in faccia a chi, un anno fa, mi avrebbe detto che sarebbe accaduto tutto questo..."

(1) Da un’intervista pubblicata su Free Thought in Media a due ufficiali statunitensi di stanza in Iraq e nel gennaio 2004 in licenza negli Usa


 

Bella gente

d’America

A differenza di un certo europeismo di "estrema sinistra" (o di estrema destra, che si assomigliano tra loro assai più di quanto non si creda ed essi stessi non credano), noi non siamo mai stati, non siamo e non saremo mai anti-americani. Poiché sappiamo bene che sono esistite ed esistono due Americhe. Che accanto, e contro l’America, o meglio: gli Stati Uniti, della Casa Bianca, del Pentagono, di Wall Street e del Congresso ce n’è un’altra che con grande fatica, poiché si tratta di lottare contro il potere dittatoriale più forte del mondo (della intera storia mondiale), rema contro questa guerra e fa tutto ciò che può per denunciare gli orrori e le vergogne di cui lo stato a stellestrisce sta macchiandosi.

È probabile che le abbiate già sentite, ma vogliamo riportare egualmente due di queste voci che vengono dalla bella gente d’America. Perché merita risentirle.

Michael Berg, padre di Nick Berg,

il giovane decapitato in Iraq

"Mio figlio è morto per i peccati di Bush e di Rumsfeld. L’amministrazione ha provocato tutto questo", ha dichiarato alla radio della Pennsylvania Kyw-Am, criticando –ci vuole coraggio- il proprio governo non solo per la guerra all’Iraq ma anche per le "misure anti-terrorismo" varate dopo l’11 settembre (il "Patriot Act" è pari a un "colpo di Stato"), e concludendo così: "Questa non è la stessa America in cui sono cresciuto io."

Michael Moore, il cineasta di

Bowling for Colombine e di Fahrenheit 9/11

"Per prima cosa dobbiamo piantarla di usare un linguaggio orwelliano e chiamare le cose con il loro proprio nome. Quelli [i vigilantes, i gorilla, i killer assoldati dalle compagnie private al soldo del Pentagono e degli alleati –n.] non sono degli ‘appaltatori’. Non stanno laggiù per riparare un tetto o asfaltare strade. Sono dei mercenari, dei soldati di ventura. E sono lì per i soldi (...). Così la Halliburton non è una ‘impresa’ che sta facendo affari in Iraq. Si tratta di profittatori di guerra che stanno frodando milioni di dollari dalle tasche degli americani comuni (...). E gli iracheni che si sono sollevati non sono ‘rivoltosi’ o ‘terroristi’ o ‘il nemico’. Sono la rivoluzione, i combattenti, ed il loro numero crescerà –e vinceranno. Ti è chiaro, signor Bush?"

È ora che bei tipi del genere si facciano avanti anche qui da noi!