Karl Marx

sulla fabbrica capitalistica

In primo luogo è evidente che l’operaio, durante tutto il tempo della sua vita [sotto il capitalismo], non è altro che forza lavoro e perciò che tutto il suo tempo disponibile è, per natura e per diritto, tempo di lavoro, e dunque appartiene all’autovalorizzazione del capitale. Tempo per un’educazione da esseri umani, per lo sviluppo intellettuale, per l’adempimento di funzioni sociali, per rapporti socievoli, per il libero gioco delle energie vitali fisiche e mentali, perfino il tempo festivo domenicale: fronzoli puri e semplici!

Ma il capitale, nel suo smisurato e cieco impulso, nella sua voracità da lupo mannaro di plusvalore, scavalca non soltanto i limiti massimi morali della giornata lavorativa, ma anche quelli puramente fisici. Usurpa il tempo necessario per la crescita, lo sviluppo e la sana conservazione del corpo. Ruba il tempo che è indispensabile per consumare aria libera e luce solare. Lesina sul tempo dei pasti e lo incorpora, dove è possibile, nel processo produttivo stesso, cosicché al lavoratore viene dato il cibo come a un puro e semplice mezzo di produzione, come si dà carbone alla caldaia a vapore, come sego ed olio alle macchine. Riduce il sonno sano che serve a raccogliere, rinnovare, rinfrescare le energie vitali, a tante ore di torpore quante ne rende indispensabili il riavviamento di un organismo assolutamente esaurito.

Qui non è la normale conservazione della forza-lavoro a determinare il limite della giornata lavorativa, ma, viceversa, è il massimo possibile dispendio giornaliero di forza-lavoro, per quanto morbosamente coatto e penoso, a determinare il tempo di riposo dell’operaio. Il capitale non si preoccupa della durata della vita della forza-lavoro. Quel che gli interessa è unicamente e soltanto il massimo di forza-lavoro che può essere resa liquida in una giornata lavorativa. Esso ottiene questo scopo abbreviando la durata della forza-lavoro, come un agricoltore avido ottiene aumentati proventi dal suolo rapinandone la fertilità.

Karl Marx, Il capitale, volume I, capitolo VIII

 

Nei loro sforzi per riportare la giornata di lavoro alla sua primitiva, ragionevole durata, oppure, là dove non possono strappare una fissazione della giornata di lavoro normale, nei loro sforzi per porre un freno all’eccesso di lavoro mediante un aumento dei salari e mediante un aumento che non sia soltanto proporzionale all’eccesso di lavoro spremuto, ma gli sia superiore, gli operai adempiono solamente un dovere verso se stessi e verso la loro razza. Essi non fanno altro che porre dei limiti all’appropriazione tirannica, abusiva del capitale. Il tempo è lo spazio dello sviluppo umano. Un uomo che non dispone di nessun tempo libero, che per tutta la sua vita, all’infuori delle pause puramente fisiche per dormire e per mangiare e così via, è preso dal suo lavoro per il capitalista, è meno di una bestia da soma. Egli non è che una macchina per la produzione di ricchezza per altri, è fisicamente spezzato e spiritualmente abbrutito. Eppure, tutta la storia dell’industria moderna mostra che il capitale, se non gli vengono imposti dei freni, lavora senza scrupoli e senza misericordia per precipitare tutta la classe operaia a questo livello della più profonda degradazione.

Karl Marx, Salario, prezzo e profitto, cap. XIII