Gli interessi vampireschi

dell’imperialismo italiano

I passi che seguono sono tratti dal testo Le guerre del petrolio. Strategie, potere, nuovo ordine mondiale (Editori Riuniti, Roma 2004) scritto da un ex funzionario del gruppo Eni (Benito Li Vigni), utile nel far luce sugli interessi dell’imperialismo italiano (tanto sotto il fascismo quanto sotto la repubblica nata dalla "liberazione" a stellastrisce) in Medio Oriente.

L’autore fa una descrizione dettagliata delle vicende che interessarono (e interessano tuttora) le potenze occidentali nell’azione di rapina a costo zero del petrolio medio-orientale. Una rapina che noi riteniamo strettamente e intrinsecamente legata ad un’altra: quella della forza lavoro delle masse del sud del mondo. Un esercito di lavoratori super-sfruttati che da secoli ha dato e continua a dare filo da torcere ai banditi occidentali!

"Tra le vicende storiche che hanno segnato le "lotte" internazionali del petrolio, il 1936 ne registrò una di significato emblematico circa la posizione italiana negli equilibri economico-politici mondiali, in rapporto all’egemonia anglo-americana. Il fatto ebbe inizio nel 1928, quando alcuni finanzieri inglesi, estranei ai gruppi cointeressati nell’Iraq Petroleum Company (la ex Turkish ), costituirono la British Oil Developments (Bod ). Lo scopo era quello di intraprendere un’azione per affermare la politica della "porta aperta" in Mesopotamia, onde venire in possesso di una parte del petrolio iracheno. La Bod pensò di cointeressare altri stati, invitando a parteciparvi altre compagnie europee, tra le quali la società Agip. Questa nuova costituzione sociale con la partecipazione dell’azienda di stato italiana prese il via nel 1930. Nel 1932 ottenne un’importante concessione nella zona di Mosul, a ovest del Tigri. Con questa partecipazione italiana e qualche altra, prevalentemente tedesca, la società prese il nome di Mosul Oilfields. Nel marzo del 1935, l’azienda di stato italiana, era riuscita ad acquistare altre quote della Mosul Oilfields diventandone il maggiore azionista, e sembrava avviata ad assumerne il controllo.

Il modello di

intervento multinazionale di pace

che piace a Zapatero e Prodi...

In Kosovo

a comprare aziende

Da febbraio a metà marzo saranno privatizzate 16 aziende pubbliche kosovare, nell’ambito di un processo avviato nei mesi scorsi (già una trentina le aziende "aggiudicate" e che entro il 2006 porterà alla privatizzazione di 400 aziende, di varie dimensioni e di tutti i settori produttivi, alcune anche a prezzi "simbolici"). Le aziende di prossima privatizzazione opereranno in settori quali il tessile, l’energia, il legno, le acque minerali.

Per cercare di cogliere le opportunità offerte da questa tranche ma anche dalle prossime privatizzazioni, il Friuli Venezia Giulia ha deciso di muoversi facendo sistema, "sposando" un’idea lanciata il mese scorso dalla Banca di Cividale che, tra l’altro è già presente in Kosovo con una partecipazione dell’8,06% (che ora intenderebbe portare al 30% attraverso un aumento di capitale riservato) nella Bank for private invsestment di Pristina, il secondo istituto di credito kosovaro. […] Una missione di alto livello porterà il mondo istituzionale ed imprenditoriale locale in Kosovo dal 13 al 15 gennaio prossimi. […] Sono previsti incontri con il direttore generale della Banca centrale del Kosovo, il francese Brager (nominato dall’Unmik, la missione internazionale in Kosovo)…

 Dal Gazzettino, 9 gennaio 2004

"Nel luglio 1956, quando l’Egitto decideva di nazionalizzare il Canale, l’Eni completava la sua penetrazione nel paese realizzando un oleodotto e una raffineria inaugurata a Mostorod. Già agli inizi dello stesso anno, tra Mattei e Nasser era stato raggiunto un accordo per lo sfruttamento dei campi petroliferi di El Belaym nel Sinai. Per entrare in Egitto, l’azienda di stato italiana aveva acquisito, nell’ottobre del 1955, dalla Standard New Jersey, una partecipazione nelle International Egiptian Oil Co. (Ieoc) la quale, successivamente assunse a sua volta una partecipazione paritaria, insieme con enti governativi egiziani, nella Compagnie Orientale des Pètroles d’Egypt (Cope), che deteneva alcuni permessi di ricerca nel Sinai. (...)

"Mentre la crisi di Suez costringeva alla difensiva le grandi compagnie petrolifere, Mattei approfittò del vuoto che si era venuto a creare, perfezionando con il governo iraniano un accordo di portata storica. Un vero e proprio ‘colpo di mano’ che, sebbene in termini economici non fosse tale da modificare sostanzialmente i rapporti di forza, scompigliò il gioco delle grandi compagnie anglo-americane, incrinando il loro potere oligo-polistico. L’accordo, sottoscritto il 14 marzo 1957 tra l’Eni e la National Iraniana Oil Company (Nioc ), prevedeva che le due società dessero vita, con capitale paritario, a una terza compagnia. Così, l’8 settembre di quell’anno venne costituita la Società Irano-Italienne des Petroles ( Sirip ) che aveva per scopo la ricerca e la produzione di petrolio e di altri idrocarburi in tre aree complessivamente estese per quasi 23mila chilometri quadrati.

"L’azienda Italia continuò a lanciare le sue sfide alle ‘sette sorelle’ in Egitto, in Algeria, in Libia e all’inizio degli anni settanta allacciò trattative nuovamente con l’Iraq per la partecipazione dell’Eni allo sfruttamento del grande giacimento di Rumayla."

In quel sud dell’Iraq dove oggi l’Eni (come abbiamo visto nel n. 62 del che fare) torna a lanciare i suoi artigli sotto la protezione della "missione umanitaria" a Nassiriya.