Immigrati ed elezioni amministrative a Roma
Le urne possono sostituire la piazza?
Il 27 marzo a Roma gli immigrati sono stati chiamati a votare per eleggere quattro "consiglieri aggiunti" al comune. Già in altre città (Firenze ad esempio) si erano avute esperienze simili, ma il caso di Roma, per il grande numero di lavoratori "extra-comunitari" che vi risiedono, si presta ad avere ben altra rilevanza politica. Vediamo succintamente come è andata.
Le elezioni sono state precedute da un’accorta azione propagandistica ed organizzativa della giunta di centrosinistra capitolina e, dopo le iniziali contrarietà, anche una discreta fetta del centrodestra (sull’onda della proposta di Fini circa il voto alle le amministrative) ha giudicato "positivamente" l’iniziativa. Da parte loro le comunità immigrate, soprattutto quelle storicamente più attive come le asiatiche, hanno dato vita ad un’autentica campagna elettorale con tanto di manifesti e volantini a tappezzare i muri dei quartieri a più alta densità di "stranieri".
Sui circa 300 mila immigrati "regolari" che vivono nella capitale in 33 mila si sono iscritti alle liste elettorali (per poterlo fare era necessario essere maggiorenni e muniti di permesso di soggiorno) e in 19 mila si sono poi effettivamente recati alle urne. Donne più della metà dei votanti, mentre per quel che riguarda la provenienza il 60% è risultato asiatico. Gli eletti dovevano essere uno per continente (Asia, Africa, America Latina, Est Europa) e a "vincere" sono stati una lavoratrice filippina (che per il particolare meccanismo elettorale ha preso il posto di un suo connazionale che era stato di gran lunga il più votato in assoluto) e - con molti meno voti di quanti ne hanno raccolti anche i candidati asiatici "bocciati" - tre lavoratori del Perù, della Romania e del Marocco. Da notare – e questo è un puro dato di fatto – come nessuno degli eletti provenga ed appartenga a quei settori di immigrati che negli ultimi cinque anni hanno riempito a più riprese le piazze della capitale con combattive e spesso ben riuscite manifestazioni e mobilitazioni per il permesso di soggiorno e contro la Bossi-Fini.
Questo l’andamento delle elezioni, proviamo a trarne alcuni veloci spunti di bilancio. Innanzitutto una precisazione. Che i lavoratori immigrati aspirino alla piena parità di diritti (incluso il diritto di voto attivo e passivo) con quelli italiani è sacrosanto e che in questa battaglia debbano essere sostenuti incondizionatamente è per noi di fondamentale ed imprescindibile importanza. Ma "l’esperimento" romano va realmente in questa direzione? La risposta, per quanto possa apparire brutale, è: assolutamente no. E questo non tanto perché il "consigliere aggiunto", non avendo alcun diritto di voto, "rischia" di trasformarsi (come hanno sottolineato anche alcune associazioni del volontariato) in un semplice "contentino". Ma perché l’iniziativa veltroniana, insieme alla proposta Fini, vanno viste come tasselli della più generale e complessiva azione che lo stato e gli organi istituzionali italiani stanno da tempo portando avanti verso gli immigrati. Per una più completa ed esaustiva nostra analisi sulla questione rimandiamo a quanto scritto nel n. 62 del "che fare". Qui ci limitiamo a ribadire come questi tipi di "operazioni" mirino di fatto a gettare le basi per selezionare una ristretta frangia di "stranieri da integrare" (sempre fino a un certo punto, comunque) nelle istituzioni al fine di utilizzarla al presente, e ancor di più al futuro, con funzioni di pompieraggio verso le lotte della massa dei lavoratori immigrati. Si punta insomma a costruire nel tempo un circoscritto "notabilato" che concorra a togliere dalle piazze gli immigrati, ad istituzionalizzarne ed affievolirne le rivendicazioni e che, soprattutto, agisca affinché essi non inizino a scendere apertamente in campo a fianco della resistenza contro l’imperialismo che, dall’Iraq alla Palestina, sta incendiando l’intero Sud del pianeta.
Che anche le elezioni "romane" siano da inserire a pieno titolo nella politica, fatta da tanto bastone e poca carota, utilizzata della nostrana democrazia per ostacolare l’organizzazione dei lavoratori "stranieri", a ben vedere, lo dicono i fatti. Alcuni esempi.
Uno: proprio nei giorni in cui Veltroni commenta entusiasticamente gli esiti della consultazione per il "consigliere aggiunto" parlando di un grande passo verso l’effettiva "integrazione", si acutizza la campagna anti-islamica e si da corso ad una massiccia operazione di polizia che su tutto il territorio nazionale porta al fermo ed al rastrellamento di centosessantuno lavoratori di fede musulmana. Il ministro Pisanu parla di azione "preventiva". Il fine è chiaro: rafforzare il clima terroristico contro i cosiddetti "extra-comunitari" e, contemporaneamente, provare ad accrescere la diffidenza nei loro confronti tra i lavoratori italiani. Anche a causa dell’assorbimento nella vicenda elettorale, a Roma nessuna associazione degli immigrati denuncia apertamente questo grave atto intimidatorio del governo.
Due: Attraverso le lotte di piazza ed in un percorso tutt’altro che facile e scontato, i proletari immigrati hanno iniziato a sentire la necessità di organizzarsi andando oltre i confini delle singole comunità. Le votazioni per il "consigliere aggiunto" hanno agito inevitabilmente in senso inverso. Anche se non vi è stata né ostilità né sfrenata competizione tra le varie nazionalità è altrettanto vero che ogni singola comunità è stata sospinta "spontaneamente" a chiudersi in sé per "portare" avanti il suo o i suoi "specifici" candidati.
Tre: il 26 marzo a Roma si è svolta la manifestazione organizzata dall’associazione Iliria per "ricordare" l’affondamento della nave albanese Kater Rades da parte della marina militare italiana che nel ’97 causò oltre cento morti e per dire "basta con le stragi di immigrati in mare" (questione questa di tremenda attualità). Al combattivo corteo prendono parte circa quattrocento lavoratori albanesi (quasi tutti impiegati nell’edilizia), si gridano slogan e si sentono interventi ai microfoni che mettono assieme la rivendicazione dei diritti con la denuncia contro la guerra in Iraq. Però, complice il fatto che si è alla vigilia del voto, alla manifestazione non vi sono quasi affatto rappresentanti delle altre comunità.
È evidente che le debolezze e le difficoltà evidenziate anche dai tre casi citati non hanno come principale, e tantomeno come unica causa né l’iniziativa presa dal comune di Roma, né le eventuali aspettative riposte in una futura possibile concessione del voto amministrativo. Le difficoltà fondamentali sono oggi altre e ben più pesanti: la continua azione repressiva ed intimidatoria dello stato; la ricattabilità sui luoghi di lavoro che con l’approvazione della legge Bossi-Fini è ulteriormente cresciuta; l’attuale incapacità del movimento operaio "italiano" ad assumere come proprie le rivendicazioni e le esigenze dei lavoratori "stranieri". Questa è la realtà. E proprio per questo invitiamo i lavoratori immigrati e le loro avanguardie a riflettere collettivamente su come tali difficoltà non possono essere affrontate e superate tramite una (per altro assai velleitaria) rincorsa ad "entrare nelle istituzioni". Infatti il principale risultato di simili "rincorse" è quello di disperdere e distogliere preziose energie che invece devono essere impiegate in altra direzione. Nella direzione del dibattito politico e nello sforzo organizzativo per gettare le basi per una ripresa del movimento di lotta dei proletari immigrati e per una sua saldatura con l’ancora refrattario movimento dei lavoratori di "casa nostra".