Lo sfruttamento "invisibile"

del lavoro domestico

al centro del libro Donne globali.

 

" «Chi è la tua mamma?», chiede Josephine Perera, una bambinaia dello Sri Lanka, a Isadora, la paffuta bimbetta di due anni di cui si occupa ad Atene. Per un attimo pensosa, la piccola getta un’occhiata verso la porta chiusa della camera contigua, dietro la quale la madre sta lavorando: «Quella è la mia mamma.»

«No, tu sei la mia bambina», scherza Josephine, facendo dolcemente il solletico a Isadora. Poi per chiudere l’argomento Isadora risponde: «Tutte e due!»

Lei ha due mamme, la madre vera e Josephine. E non c’è dubbio che una bambina circondata dall’affetto sincero di molte persone adulte sia decisamente fortunata."

Braccia e affetti

in affitto

L’episodio è raccontato nell’introduzione al libro Donne globali, colf e badanti (Feltrinelli, Milano, 2004, euro 25,00), con cui quattordici studiosi mettono sotto la lente d’ingrandimento la vita di milioni di donne che emigrano dal Sud del mondo verso le metropoli occidentali per essere assunte "a servizio come tate, collaboratrici domestiche e qualche volta lavoratrici del sesso". Il libro, coordinato da B. Ehrenreich e A. Russell Hochschild, ha innanzitutto il merito di mostrare l’origine di questo "incontro particolare" tra l’Occidente ed le "periferie" del mondo.

Da un lato, nelle democrazie occidentali, sempre più "donne in carriera" hanno sempre meno tempo da dedicare alla famiglia, alla cura dei figli e degli anziani. Dall’altro lato (è il rovescio della medaglia), un solo reddito non basta più per la stragrande maggioranza delle famiglie proletarie: per loro c’è la necessità di lavorare in due per poter arrivare a fine mese, sottraendo tempo e spazio alla cura della famiglia in generale. Nell’uno e nell’altro caso, il lavoro per la riproduzione della specie umana, invisibile ma fondamentale per tenere in piedi l’intero sistema sociale, lavoro da sempre destinato alle donne, viene scaricato sulle immigrate. Non sarebbe certo cosa degna per l’Occidente, tanto critico nei confronti della condizione della donna islamica, che il "suo" maschio, soprattutto il maschio "colto" delle classi agiate, possa sottrarre tempo al proprio lavoro, ai propri interessi e godimenti per sobbarcarsi almeno una parte dei lavori domestici. A pagina 15 del libro si legge: "La presenza di bambinaie immigrate non permette alle donne benestanti di intraprendere una professione retribuita; permette agli uomini benestanti di continuare ad astenersi dal contribuire ai lavori domestici."

La soluzione alla fame occidentale di cura, affetto materno, pazienza, braccia per faccende domestiche, rapporti sessuali è lì dietro l’angolo ed anche ad ottimo prezzo, non c’è che l’imbarazzo della scelta. Un esercito di donne proveniente da tutti i paesi del Sud e dell’Est del mondo è costretta ad offrirsi a prezzi stracciati per svolgere i lavori più umili e faticosi con orari interminabili. A volte è una fortuna se vengono pagate, poiché la gran parte di loro, essendo clandestine, non puòintentare cause legali, nell’ipotesi, neanche tanto remota (numerose a tal proposito sono le esperienze documentate nel testo in questione), che non siano remunerate per niente, a volte addirittura si registrano episodi di violenza fisica che nulla invidiano allo schiavismo dei tempi andati.

Il saccheggio dell’amore

Non se la passano molto meglio le più fortunate (parlare di fortuna diventa un insulto!), cioè le immigrate che possono accedere ad un contratto regolare di lavoro tramite agenzie di lavoro specializzate nel settore dei servizi, le quali versano in media alle lavoratrici solo 6 dollari dei 25 dollari l’ora che ricevono dai clienti.

"Noi vi laviamo i pavimenti alla vecchia maniera, a ginocchioni" proclama orgogliosamente un depliant della Merry Maids, una delle maggiori tra le imprese di pulizie a domicilio degli Usa, spuntate come funghi negli ultimi venti anni.

"In una società in cui il 40% della ricchezza è concentrata nelle mani dell’uno per cento delle famiglie, e in cui il venti per cento della popolazione si trova in condizioni di povertà, la degradazione altrui è accettata senza tanti problemi. I cuscinetti paraginocchia sono entrati nelle dissertazioni politiche americane come strumento di sudditanza sessuale, ma le dipendenti della Merry Maids, della Maids International e di altre imprese di servizi di pulizie passano ogni giorno ore e ore su questi strumenti di perversione, pulendo là dove i benestanti hanno allegramente sgocciolato" (p. 88).

Questo è solo un assaggio ma significativo sulle condizioni lavorative delle più "fortunate". La lavoratrice va prima delle otto del mattino in agenzia a ritirare il programma di lavoro: tempi e spese per raggiungere tutte le case che dovrà pulire sono naturalmente a suo carico e, se riesce a ricavarsi 15 o 20 minuti di pausa per addentare un panino a metà giornata, rientra tra le "fortunate" di cui sopra.

La situazione peggiora sensibilmente per le bambinaie e le badanti per anziani. Nella quasi totalità dei casi sono costrette a vivere nel loro posto di lavoro, a quel punto è naturale essere a disposizione dei propri datori 24 ore al giorno. Le bambinaie spesso dormono nella stessa stanza dei bimbi che accudiscono, pronte ad ogni evenienza.

Illuminante leggere le norme di comportamento cui sono costrette ad attenersi: obbligo di vestire e acconciare i capelli in un certo modo, possibilità di lavare la propria biancheria a condizione che non la si unisca a quella della famiglia "ospitante", suggerimenti sulle persone da frequentare o da evitare nei propri giorni liberi, obbligo di rientro a determinate ore anche nei giorni liberi (quando esistono!). Insomma, non solo utilizzo della forza lavoro, dei loro sentimenti, ma addirittura ci si impossessa delle loro abitudini, credenze, gesti quotidiani, nel tentativo di uniformarle a ciò che il padrone vuole.

Ammalarsi, per queste lavoratrici, diventa un lusso, pena la loro sostituzione con un’altra sana. Ricordiamo che durante lo schiavismo era interesse del padrone non sfruttare oltre misura gli schiavi, perché qualora diventassero inservibili per le loro mansioni, si sarebbero trasformati in un costo improduttivo per l’azienda stessa. Oggigiorno la sostituzione di "chi non può più lavorare" pare quasi più semplice.

L’aspetto più odioso denunciato nel libro è tuttavia ancora da venire. Una bambinaia è solo una bambinaia, una badante per anziani idem, pagate (male) per prestare un lavoro che non richiede solo manualità, ma soprattutto una dedizione totale che arriva ad investire la sfera dei sentimenti più intimi. Una brava bambinaia deve diventare una seconda mamma, e, oltre a soddisfare le esigenze fisiologiche dei futuri rampolli, deve entrare in sintonia con loro: la tata diventa una seconda mamma che colma anche i vuoti affettivi della madre naturale che ha scelto la carriera lavorativa. Ma ancora non basta, perché la tata deve svolgere tutto questo senza entrare in conflitto con la propria datrice, spesso gelosa del ruolo sottrattole. Ma queste "tate, badanti, colf, lavoratrici del sesso"... non sono angeli: a loro volta sono madri, mogli, figlie... donne che hanno lasciato nei loro paesi d’origine i propri affetti, i loro sogni, costrette a cercare lavoro qui, portando nelle nostre case il loro amore, la loro dedizione ai nostri figli, ai nostri malati; lasciando inevitabilmente dei vuoti incolmabili nei loro paesi.

Questo contribuisce ad aumentare il degrado sociale, laddove la miseria crescente perpetua veri e propri genocidi. "Per quanto queste madri soffrano, la sofferenza più grande è quella che affrontano i loro figli, e sono molti: si stima che il 30 per cento dei bambini filippini, circa otto milioni, vivano in famiglie nelle quali almeno un genitore è emigrato all’estero. Di bambini come questi se ne trovano in Africa, India, Sri Lanka, America Latina ed ex Unione Sovietica. Come stanno? Non benissimo, secondo un’indagine condotta dallo Scalabrini Migration Center di Manila nel 1996 su oltre settecento bambini. A confronto dei compagni di classe, i figli dei lavoratori immigrati si ammalano più spesso; sono soggetti più frequentemente ad accessi di rabbia, a momenti di confusione o di apatia; e ottengono risultati mediocri a scuola. Altri studi effettuati su questo gruppo di popolazione a scuola mostrano un aumento della delinquenza e dei suicidi tra i bambini. Quando è stato chiesto loro se, una volta cresciuti, pensavano di emigrare a loro volta, lasciando i figli alle cure di altri, hanno risposto tutti negativamente."

Osserva a questo proposito A. Russell Hoschschild nel saggio "Amore e oro": "L’idea di attingere risorse dal Terzo Mondo per arricchire il Primo non è nuova. All’origine dell’imperialismo del XIX secolo vi è proprio il prelievo di materie prime -oro, avorio e gomma- dal Terzo Mondo. Questo imperialismo, apertamente anti-democratico e maschilista, che sopravvive ancor oggi, è sempre più affiancato da una forma di imperialismo più silenziosa nella quale l’amore e l’accudimento sono diventati il nuovo oro". L’imperialismo, resa incapace di amore la gente delle sue metropoli, è giunto a mettere le mani, per puntellarsi, anche a questa miniera dei popoli del Sud e dell’Est del mondo!

Tre oppressioni sempre più intrecciate

I dati e le denunce riportate in questo bel libro indicano cosa intenda l’Occidente imperialista per "liberazione della donna".

Prendiamo il caso limite della donna in carriera: quanto deve negare sé stessa per entrare nel meccanismo stritolatore del successo? quanto deve essa stessa esasperare il modello maschilista e capitalista della competitività a tutto campo? quanto deve utilizzare e schiacciare altre donne, quasi sempre di colore, per "liberarsi" dalla sua schiavitù del lavoro domestico?

È in queste domande, in estrema sintesi, la questione centrale posta nel libro curato dalla B. Ehrenreich e dalla A. Russell Hoschschild. Ed essa mette in luce come l’approfondimento del dominio imperialista intrecci sempre più la lotta contro l’oppressione sulla donna con la lotta contro l’oppressione di classe e quella di razza. Il che, a ben riflettere, fa emergere anche il fatto che la soluzione che traluce dal libro, la sindacalizzazione di "tate, badanti e colf e lavoratrici del sesso", possa essere solo uno dei punti di partenza di questa battaglia a tutto campo. Un punto di partenza, necessario innanzitutto per rimettere in discussione la separazione e la gerarchia dei ruoli che la divisione (classista, razzista e sessista) del lavoro crea nel mondo degli sfruttati e degli oppressi.

Oggi anche le donne e i proletari occidentali (non solo i loro sfruttatori e oppressori) vedono le lavoratrici immigrate come schiave domestiche e sessuali. Hanno invece bisogno di scoprirle per quello che realmente sono: compagne di lotta, portatrici in Occidente, insieme con le loro braccia e la loro cura e i loro sentimenti, dell’ardore della resistenza antimperialista che scuote il Sud del mondo e dello stesso desiderio (come rilevano giustamente le autrici dell’introduzione) di scrollarsi di dosso il giogo sessista che grava su di loro nel loro paese.

Questo riconoscimento sarebbe denso di implicazioni. Sul piano del "che fare" immediato. E sul piano della piattaforma comune di fondo, auspicata dalle curatrici, tra donne e sfruttati del "Terzo Mondo" e donne e sfruttati bianchi dell’Occidente. Piattaforma che per noi non può essere altra cosa dalla conquista, tutti e tutte insieme, di un altro mondo, in cui la progressiva socializzazione dell’economia domestica (resa possibile dallo sviluppo delle macchine e dell’automazione) diventi la base per evitare che la diversità dei ruoli tra uomo e donna nella riproduzione si traduca in oppressione di alcune da parte di altri (e di altre). Di mezzo, naturalmente, c’è da abbattere il "piccolo" muro dell’economia capitalistica e del suo apparato di dominio sessista, razzista, classista... Ma su questo, ci impegniamo a tornare un’altra volta. Per ora ci permettiamo di raccomandare alcune nostre pubblicazioni, tra cui quelle riprodotte nel riquadro della pagina a fianco.