Una nostra intervista

 

In queste pagine denunciamo le conseguenze che "le riforme del mercato del lavoro" e la legalizzazione dei cosiddetti lavori atipici hanno introdotto nella vita di milioni di lavoratori, costretti a vivere la precarietà del presente e l’incertezza del futuro, ad andare avanti con paghe da fame e a subire uno sfruttamento intensificato.

L’attenzione è qui concentrata in particolare sui collaboratori coordinati continuativi, la più estesa categoria del lavoro atipico in Italia -particolarmente estesa nel settore dei servizi-, sulle cui condizioni trascriviamo ampi stralci dell’intervista da noi realizzata con due lavoratori (una ragazza e un ragazzo) di un call center della capitale.

In altre occasioni sarà necessario entrare nel merito dei tanti aspetti e delle diverse tipologie del lavoro precario. Lo faremo senz’altro, raccogliendo i contributi e le sollecitazioni che i nostri lettori vorranno rivolgerci. E che, da parte nostra, vediamo come elementi di un lavoro per fare della lotta contro la precarietà un perno di un rinato movimento di lotta proletario.

La difesa dai ricatti delle precarietà richiede che gli stessi precari si auto-organizzino. E richiede che l’intera classe lavoratrice se ne faccia carico come vitale leva per la propria difesa dall’attacco capitalistico.

 

 

Parlano due giovani

di un call center.

Domanda (D) – Che lavoro fate e da quanto tempo?

Risposta (R) – Siamo collaboratori coordinati e continuativi (co.co.co.). Lavoriamo presso un call center di Roma da circa tre anni.

D – Quando vi hanno assunto avete firmato un contratto scritto?

R – Sì, ci hanno fatto un contratto senza un termine, sul quale c’era scritto che in qualsiasi momento o da parte nostra o da parte loro il rapporto di lavoro può essere interrotto. L’azienda non si aspetta nulla da noi per cui non è necessario dare i classici 15 giorni di preavviso. Ma anche domani mattina ci potrebbero dire: "Ci dispiace, non ci sono molte chiamate. Quando sarà il caso vi richiameremo". E poi, chiaramente, non ci richiamano più come è già successo con altri nostri colleghi e amici. Noi eravamo presenti quando leggendo i turni in bacheca non vedevamo i loro nomi, per cui ci domandavamo: "Come mai non ci sono?" e loro ci rispondevano: "Perché c’è poco traffico". Sono anche imbarazzati quando te lo dicono. Oltre tutto non mandano mai il vero responsabile a dirti che ti hanno licenziato, lo scopri da solo quando vai a vedere i turni che escono settimanalmente e sui quali non ti ci vedi scritto.

D – Quanti lavoratori siete in questo call center?

R – Trecento.

D – Che età hanno i lavoratori?

R – Dall’età del diploma, 18-19 anni, fino ad un massimo di 37 anni e in maggioranza sono donne.

D – Quale è il livello di istruzione?

R – La maggior parte sono laureati, soprattutto in economia.

D – In che consiste il vostro lavoro?

R – Siamo stati assunti come "operatori telefonici". Per il momento noi svolgiamo solo il servizio di inbound che riguarda il ricevimento di chiamate in entrata per varie società (i "numeri verdi") nel quale svolgiamo sia funzioni di centralino che propriamente commerciali, di assistenza e promozione diretta alla clientela. Poi ci sono anche lavoratori che svolgono funzioni di outbound. I "numeri verdi" convengono alle aziende perché sono un po’ come un "muro di gomma". Con essi le aziende si tolgono il grosso del lavoro e chi chiama non parla mai con un responsabile.

D– Da quello che dite capiamo che lavorate in un call center in outsourcing.

R – Sì è così, ma il vero obiettivo della società nella quale lavoriamo è quello di riuscire a subentrare in altre società e a prenderne i servizi. Ad esempio, ultimamente, questa società ha incominciato a gestire le carte di credito di una banca.

D – Insomma tolgono lavoro dove stanno i lavoratori "tradizionali" e passano quanto più lavoro possibile dove stanno i collaboratori coordinati continuativi. Quando è nata questa società?

R – Sette, otto anni fa. Era piccolissima. Poi man mano…

D – Tra i trecento che ci lavorano quanti sono i dipendenti non "atipici"?

R – Una cinquantina.

D – Che ruolo svolgono questi cinquanta lavoratori?

R – Una piccola parte sono i classici "raccomandati", una parte svolge funzioni di controllo su di noi, un’altra sono quelli sponsorizzati dai supervisor. Sono lavoratori che "sanno vendere" e che "dove li metti stanno bene".

D – Questi lavoratori a tempo indeterminato che contratto hanno? Hanno un sindacato sul posto di lavoro?

R – Hanno il contratto del commercio e non hanno alcun sindacato. Anzi se la vuoi sapere tutta hanno proprio paura di esporsi sindacalmente! Ti faccio un esempio per farti capire. C’è una supervisor che io conosco bene e che prende mille euro al mese essendo inquadrata al primo livello (quello, tra l’altro, più alto) del contratto del commercio. Lavora di media 10 ore al giorno. Tutti gli straordinari non gli vengono retribuiti e le sue ore in più vanno in "banca ore", che poi non riesce mai a prendere perché il lavoro è tanto e ha sempre da fare, poi ora è pure incinta… Un po’ di tempo fa mi chiese se io conoscevo qualcuno del sindacato. Poi però è rimasta lì, ferma, perché in realtà loro non hanno il coraggio. Si sono fatti fare il lavaggio del cervello, sono impauriti… E’ una realtà piccola, c’è forte ricatto. Non abbiamo contatti con altri call center per magari unirci e fare qualcosa. C’è ogni tanto qualcuno che vorrebbe fare, ma viene sempre "ammazzato" perché non c’è la collettività! Poi considera che loro lavorano quanto noi. Hanno sì degli incentivi però gli devi rendere, da noi ti spremono veramente come un limone perché gli devi rendere sempre al massimo! Non c’è il momento in cui ti puoi "riposare". Se, ad esempio, il pomeriggio tu sei stanco e ti arrivano a "manetta" le chiamate, tu non le puoi perdere perché a fine giornata loro hanno un resoconto e ti possono dire: "tu oggi hai perso x numero di chiamate" e ti fanno una "cazziata" che te la ricordi per tutta la vita! Per me loro non hanno problemi a mandare via anche chi lavora fisso! Vengono trattati male allo stesso modo come noi, solo che loro sono "tutelati" in modo diverso.

D – Quanto siete pagati all’ora?

R – Siamo pagati 6,20 euro lorde all’ora, nette sono 5,20.

D – Quante ore lavorate al giorno?

R – Lavoriamo 8 ore e 15 minuti al giorno esclusa la pausa mensa di 45 minuti non retribuita per cinque giorni a settimana. Se capita facciamo anche dello straordinario che ci pagano regolarmente. Siamo pagati ad ore. In queste ore di lavoro gli devi rendere. Alla fine di ogni settimana ci arrivano anche i grafici per operatore nei quali si vede a quante chiamate abbiamo risposto, le percentuali. Fanno le classifiche. Se tu non rendi ti rompono le scatole! Nel nostro caso specifico ogni tanto ci sono dei "momenti morti". In altri settori dell’azienda, invece, i "momenti morti" non esistono. Lì ti fanno fare altre cose tipo: chiamate verso l’esterno, fotocopie. In inbound la telefonata non deve durare più di un tot. Anche da noi, comunque, la telefonata non può durare più di due minuti oltre i quali cade automaticamente. Non puoi avere modo di chiacchierarci, di stabilire un contatto con la persona che chiama. Per il momento noi due gli serviamo perché conosciamo bene il nostro lavoro, ma il giorno che non gli rendiamo più oppure non siamo più importanti come adesso, sicuramente ci cambiano, lì c’è un grande turn over. Poi bisogna anche dire che con i soldi che guadagniamo (sui 900 euro al mese), soprattutto se vai al lavoro con la macchina, non ci copriamo un altro po’ neanche le spese. Devi stare attento a quello che fai. E considerate che noi due stiamo ancora a casa con i genitori…

D – Prima di questo posto di lavoro avete lavorato da qualche altra parte?

R – Sì. Per quasi due anni presso il centralino dell’azienda committente e per la quale continuiamo ancora oggi a lavorare pur se dalla nostra sede aziendale. Io, comunque, molta gente che lavora presso la nostra committente la porterei per solo una settimana a lavorare da noi per fargli capire cosa c’è fuori!

D – Nonostante tutte le difficoltà che state descrivendo parlate mai con gli altri vostri colleghi della vostra condizione, della possibilità di doversi attivare per poterla migliorare, della necessità di avere un sindacato?

R – Si abbiamo parlato. I problemi, i nostri problemi sono sentiti! Qualche volta si era anche detto di presentarci con qualche sindacalista, poi alla fine però non s’è fatto nulla.

D – Sapete che dopo la legge 30 i vostri contratti saranno trasformati da co.co.co. in contratti "a progetto"?

R – Sì lo sappiamo, cambiano il nome ma la sostanza è sempre la stessa. Su questo in azienda non si vocifera niente. Quando però un po’ di tempo fa lessi su un giornale di questa questione mi preoccupai un po’, perché se, ad esempio, la commessa per la quale ti assumono finisce tu praticamente te ne vai a casa dietro al contratto. E’ assurdo! Non ti permettono proprio di vivere! Il problema, comunque, è che la questione non si conosce.

D – Rispetto a problemi quali cercare una casa, comprarsi una macchina che problemi avete o avete incontrato?

R – Ti faccio un esempio stupido, che poi tanto stupido non è: in banca non puoi scendere in scoperto al di sotto di un determinato tot. Se io ho intenzione di farmi un motorino o qualsiasi altra cosa e vado a chiedere un finanziamento, anche piccolo, e mi presento con questa busta paga, loro la prendono e la buttano nel cestino. A me serve un garante oppure niente finanziamento. Se poi trovi qualcuno che ti finanzia questo arriva a chiederti interessi altissimi.

D –Parliamo un attimo di contributi. Che cosa sapete della vostra posizione previdenziale Inps?

R – Niente. In realtà uno dovrebbe andare all’Inps e vedere se poi realmente questi soldi sono stati versati. La verità è che devi lavorare altri 250 anni per avere una pensione!

D – Probabilmente i contributi sono stati versati. Il punto da vedere è quanti soldi vengono versati!

R – Guarda, sulla busta paga c’è scritto quanto versiamo: sono 183 euro. In effetti sono il 18-19% di quanto guadagno.

D – Se considerate che la percentuale complessiva di contributi versati per un lavoratore tradizionale è del 40%, pensate che differenza di contribuzione esiste!

R – E’ ridicolo! Neanche la metà!

D – Tra l’altro voi solo adesso siete arrivati a versare il 19%. Quando nel 1995 con la riforma Dini voi lavoratori co.co.co. siete partiti versavate appena il 10%. Se siete malati venite pagati?

R – No… C’è molto da fare. Anche per esempio sulla questione delle ferie. Io come lavoratrice ho diritto alle ferie ma non vengo pagata. Io le ferie posso prendermele anche un mese ma non vengo pagata neanche un giorno! Almeno 15 giorni pagatemeli, visto che da me vuoi il massimo e mi sfrutti come un limone!

D – Se doveste chiedere alcune cose all’azienda, quali questioni sentireste da porre come più urgenti?

R – Maggiormente il fatto di non essere retribuiti se non andiamo al lavoro (per malattia o ferie). Poi tutti hanno un’assicurazione perché non ci credono più all’Inps. Là si sono rassegnati e puntano alle assicurazioni private.

D – Ci sono stati mai momenti critici in azienda, scazzi con la direzione?

R – Che noi sappiamo no. In ogni caso si può anche provare ad andare a discutere ma poi pensi sempre: pure se ho ragione, dopo dove vado? Non mettere il caso mio perché sto ancora con i genitori, ma metti il caso di un ragazzo che con quei soldi ci paga l’affitto di una stanza e ci vive. Uno ci pensa se non ha le spalle coperte!

D – Sì, questo è vero, ma è l’unica possibilità per incominciare a porre alcune questioni.

R – Se c’è la collettività io sono la prima, ma da sola non posso fare alcuna guerra.