Ultimo di un’interminabile schiera, anche Bertinotti è approdato alla "non violenza". Lo ha fatto con argomenti che non hanno assolutamente nulla di nuovo. Di particolare c’è solo che egli non fa un’abiura formale del comunismo, ma continua a voler mantenere il comunismo come il proprio "orizzonte" (il più lontano possibile).

Due battute a riguardo.

Un comunista, come prima cosa, "disdegna di non proclamare apertamente i propri fini", e cioè in cosa consista la sua alternativa di sistema. È proprio la cosina che, in questo caso, manca. La "metodologia" di lotta viene dopo, e di conseguenza, in risposta non al proprio programma, ma alle condizioni reali dello scontro per affermarlo. Nel "Catechismo dei comunisti" Engels scrisse, rispondendo al quesito sulla violenza: noi per primi saremmo felici di poter attuare il trapasso storico dal capitalismo al socialismo con mezzi pacifici, ma non siamo noi, non è il proletariato a scegliere le condizioni in cui tale trapasso avverrà, e –a quel che sembra- un po’ dovunque i nemici del proletariato lo sospingono verso la rivoluzione...

Se davvero si vuol partorire il socialismo, bisogna passare attraverso le doglie del parto. Senonché Bertinotti, questo è il punto!, non mostra alcuna intenzione di partorire, se non bucce d’oliva. La "metodologia" non violenta consegue a ciò, ed è tutta sostanza. Significa cioé: il capitalismo nostro sarà anche bruttino, ma è pur sempre riformabile "a mani alzate", passando indefettibilmente per la via elettorale, in stretta unità "riformatrice" con quelli stessi che hanno aggredito ieri altri popoli, li aggrediscono oggi e tanto più (soprattutto se si affermerà una alternativa europea agli Stati Uniti) lo faranno domani.

E "gli altri"? Bertinotti si batte il petto immacolato (capitalisticamente) per l’adesione di ieri alla lotta "violenta" algerina, cubana, vietnamita. Mani alzate di fronte al capitale qui, mani alzate là. Qui per veder di lucrare qualcosa dalla posizione imperialista dominante, là per rimanere soggetti in eterno a qui. Così, però, non è e non sarà. Per lo meno là, e ciò che là si darà, avrà una immediata ripercussione qui. Nel senso che ci si troverà costretti a schierarsi, elezioni democratiche a parte, nel cuore della "civiltà". Risultato? O ce ne resteremo davvero a mani alzate -sia pur "moralmente protestatarie"- contro il nostro imperialismo, ed allora finiremo per trovarci tra queste stesse mani il fucile civilizzatore dei "barbari", o ci batteremo sul serio per il socialismo internazionale, che ha bisogno di teste ed armi per il parto di cui sopra.