Dietro alle bandiere dello sciismo si sviluppò, nel XIX secolo, la prima opposizione all’espansionismo europeo e alla timidezza della resistenza dei sultani e dei dirigenti ottomani a questa politica di dominio. I mujtahid sciiti appoggiarono e furono tra gli animatori di due dei momenti che segnarono, come disse Lenin, "il risveglio dell’Asia": la rivoluzione in Persia del 1906 e quella in Turchia del 1908. Nel 1914 presero la testa della mobilitazione armata della popolazione indigena contro l’intervento in Mesopotamia delle truppe britanniche: è per opera di questa resistenza che le forze armate britanniche conosceranno le perdite più gravi mai registrate in una conquista coloniale (novantamila morti ufficiali). I dirigenti sciiti diressero inoltre la grande rivolta del 1920 contro l’occupazione inglese e contro la divisione coloniale dell’area sancita a tavolino dalle potenze vincitrici della prima guerra mondiale. (L’Italia era nel mazzo.) La rivolta fu repressa con un’operazione shock and awe d’annata, nella quale furono usate le moderne armi dell’aviazione e dei gas, con grande soddisfazione di Churchill.
La sconfitta della rivolta segnò l’eclisse dello sciismo dalla scena politica mesopotamica. Pesò l’impotenza scontata dalla sua politica nello scontro con la Gran Bretagna. Pesò, soprattutto, la scomposizione della sua "indifferenziata" base sociale "beduina" prodotta dal definitivo inserimento del paese nel mercato mondiale. Una parte della popolazione sciita fu assorbita nell’apparato di dominio installato dalla Gran Bretagna. La parte rimanente divenne la classe dei contadini iper-sfruttati e del nascente proletariato urbano: per costoro la volontà di riscatto nazionale si andò ad intrecciare con quella di riscatto sociale, ed essi la consegnarono con entusiasmo e abnegazione ai nuclei comunisti che proprio allora, siamo ai primi anni trenta, stavano impiantandosi in Iraq. "I propagandisti del partito mandati nelle campagne non esitavano a presentare il comunismo come una ‘versione moderna’ dello sciismo. Le parole shi´i (sciita) shuyu´i (comunista) non derivano forse dalla stessa radice? Il comunismo non ha, come lo sciismo, l’obiettivo di lottare contro la tirannia e l’oppressione? Lo stendardo della rivolta brandito un tempo dall’imam Hussein contro la tirannia omayyade non era anch’esso rosso? I contadini asserviti non potevano che convenirne. Nelle città, dove fanno la loro apparizione i primi battaglioni del proletariato iracheno, lo sciismo della miseria è un terreno altrettanto fertile per le idee comuniste. Alla fine degli anni cinquanta gli sciiti occupano una posizione preponderante alla base come al vertice del partito comunista" (1).
Tuttavia, neanche il Pci e la politica ba’athista con cui la direzione del Pci giunse (non casualmente) ad identificarsi nei primi anni settanta, permisero ai lavoratori e ai diseredati iracheni di realizzare i loro sogni. Alla fine degli anni settanta, i primi visibili segni di delusione s’incontrarono con il ritorno della propaganda delle organizzazioni sciite. Dopo la crisi degli anni venti, queste ultime non solo si erano ricostituite, ma avevano adeguato il loro impianto ai "tempi moderni". Esse tornarono a presentarsi alle masse lavoratrici dicendo: "Vedete che non vi porta da nessuna parte neanche la via del comunismo? C’è una sola alternativa al triste destino offertovi dal capitalismo occidentale: quella indicata dall’Islam. Non credete a chi vi dice che i precetti del Corano siano inadatti ai tempi moderni, basta interpretarli in modo adeguato, come ci ha mostrato l’imam Muhammad Baqer al-Sadr."
La "pistola fumante" del giovane Churchill Winston Churchill, all’epoca segretario di stato e capo delle forze armate, fu tra i pianificatori dell’uso della Raf e delle armi chimiche contro l’insurrezione irachena del 1920. "Egli stimava che senza la Raf sarebbero stati necessari 25.000 soldati inglesi e 80.000 soldati indiani per controllare l’Iraq. Affidandosi alla Raf, queste cifre sarebbero scese rispettivamente a 4.000 e 10.000 uomini. "La fiducia di Churchill fu presto ripagata. Con missioni per un totale di 4008 ore di volo, sganciando 97 tonnellate di bombe e sparando 183861 proiettili, ebbe nove uomini uccisi, sette feriti e undici apparecchi distrutti dai ribelli. La ribellione fu schiacciata, quasi 9000 iracheni furono uccisi. (...) "Churchill aveva un vivo interesse per le armi chimiche, e suggeriva di usarle ‘in via sperimentale contro i ribelli arabi’. Respinse le obiezioni definendole ‘irragionevoli’. ‘Sono molto favorevole all’uso dei gas venefici contro le tribù selvagge…per terrorizzarle.’" Dal Guardian del 19 aprile 2003 |
Per motivi che rimandano al corso della lotta di classe internazionale, fu la gerarchia sciita, e non il comunismo internazionalista, a capitalizzare la delusione e la volontà di continuazione della lotta degli sfruttati iracheni. A partire soprattutto dal 1979, quando la vittoria khomeinista in Iran galvanizzò la gerarchia sciita in Iraq, incoraggiò una parte delle masse oppresse a riprendere la lotta dietro la bandiera dell’islamismo sciita e in più stretta relazione con i propri fratelli al di là delle frontiere, verso l’Iran e verso il Libano.
Il governo di Saddam Hussein reagì tentando di combinare l’impossibile. Da un lato, incoraggiato e sostenuto dall’Occidente imperialista e dai regimi arabi moderati e reazionari, fece scattare la repressione contro la direzione dello sciismo in Iraq (2) e lanciò l’aggressione all’Iran rivoluzionario. Dall’altro lato cercò di svincolarsi dal cappio che l’imperialismo era tornato a stringere attorno allo stato iracheno proprio grazie alla guerra Iran-Iraq, con la liberazione del Kuwait dal dominio della famiglia asservita all’Occidente degli al-Sabah. La risposta delle potenze capitalistiche occidentali fu immediata, come sappiamo.
Il governo di Saddam non è stato in grado di resisterle, per quanto durante la prima guerra del Golfo e dopo di essa abbia via via "radicalizzato" (a parole) il suo messaggio antimperialista e raccolto la simpatia dei popoli e degli sfruttati mediorientali. Già nel marzo 1991, dopo la vittoria occidentale, per sfuggire non alla lotta contro l’imperialismo ma al vicolo cieco in cui la stava conducendo Saddam Hussein, la popolazione lavoratrice del Sud dell’Iraq (in maggioranza sciita) insorse. In collera verso un regime che li aveva lasciati scoperti davanti alla carneficina occidentale sull’"autostrada della morte", i soldati iracheni si ribellarono e trascinarono all’insurrezione il sud del paese. Benché in parte oscurata dall’esodo dei curdi al centro dell’attenzione della grande stampa, l’intifada del marzo 1991 è stata senza precedenti, sia per la partecipazione generale che per la rapidità con la quale si è propagata. L’insurrezione fu repressa con l’intervento della guardia repubblicana (in collaborazione con le forze di Schwarzkopf) dopo che Bush aveva incoraggiato l’operazione. Il suo appello alla rivolta contro Saddam era rivolto ai generali per un colpo di stato filo-occidentale, non certo alla popolazione...
Le masse lavoratrici sciite non hanno dimenticato quella lezione, ripassata continuamente negli anni dell’embargo. Una lezione che esse hanno tenuto bene a mente durante l’ultima guerra, quando proprio nel sud del paese c’è stata la resistenza più vigorosa all’invasione anglo-statunitense. E che sapranno tradurre ancor più coerentemente in pratica nei prossimi mesi. Attraverso l’iniziale impegno nelle organizzazioni sciite? A partire dallo slogan "No Usa, no Saddam, yes yes Islam"? Non potrà essere, almeno in parte, che così. Sarà comunque un inizio. Siamo tuttavia convinti che man mano che in Iraq andrà avanti lo scontro con le forze occidentali di occupazione e con le forze borghesi interne conciliatrici (che comprendono anche le direzioni sciite), che altri paesi (a partire dall’Iran) saranno chiamati dall’Occidente nel girone infernale iracheno, che in Occidente un settore del proletariato farà sentire il suo appoggio incondizionato alla resistenza dei popoli mediorientali e si raccoglierà attorno alla strategia mondiale della rivoluzione comunista, si creeranno le condizioni affinché il comunismo internazionalista tornerà ad essere "credibile" agli occhi degli sfruttati mediorientali, come unica alternativa ai loro (ai nostri) drammi.
(1) Da P.J. Luizard, La questione irachena, Feltrinelli, 2002, pp. 50-51
(2) Nell’aprile 1980 il governo iracheno eliminò la massima autorità sciita Muhammad Baqer al-Sadr.