Il tema dell’Europa alternativa agli Usa, così caro ad una certa sinistra à la manifesto, ma tutt’altro che estraneo, anzi!, a buona parte del movimento no global europeo, è un vecchio tema della destra "rivoluzionaria", che questa ha saputo declinare in termini espliciti, razionali (una "razionalità" di tipo imperialista, ovviamente) e concreti, quanto a piani conseguenti di azione, assai meglio di quel che non riesca a fare l’euro-sentimentalismo nostalgico che si è respirato nelle recenti dimostrazioni contro la guerra. Senza riandare direttamente al fascismo e al nazismo ed alle loro invocazioni alla "guerra anti-plutocratica dei popoli proletari", puramente demagogiche sul versante proletario autentico, ma tutt’altro che prive di valore sul versante delle "legittime" rivendicazioni borghesi ed anche su quello di una certa relativa e derivata cointeressenza "popolare", ecco come nel secondo dopo-guerra poneva la questione Jean Thiriat, uno dei padri della "nuova destra rivoluzionaria":
"L’Europa atlantica è una delle più grandi imposture che abbiano fatto presa sul grosso pubblico. Alcune persone, onestamente, altre astutamente, tentano di immaginare un’America dal grande cuore che farebbe nascere un’Europa unita, libera, indipendente, forte. Quale candore nei primi, quale ipocrisia da parte dei secondi! Gli Stati Uniti sono entrati in guerra, nel 1941, contro la Germania -che in quel momento rappresentava in realtà l’Europa- non per salvare le povere genti rinchiuse nei campi di concentramento, ma per proibire alla Germania di riunire tutta l’Europa sotto il comando germanico. Gli Usa sono contro tutti gli Europei (…), sono, per tradizione, contro la reale unificazione dell’Europa. In ogni formula europea comprendente gli Usa, questi non vi sono che per meglio assicurarsi la supremazia o per far fallire l’impresa. Lo scontro fra l’egemonia americana ed europea sarà domani economico, diplomatico, politico, anzi sovversivo, se non un giorno militare." (Un impero di 400 milioni di uomini: l’Europa, Volpe, Roma, 1965, pp. 187-9; i grassetti li abbiamo messi noi).
Non c’è male, come analisi, previsione e programma. E pure per l’articolazione del "discorso", che prevede, a tutela degli interessi europei, un ruolo attivo dell’Europa a sostegno del mondo arabo minacciato(ci) dagli Usa ed un atteggiamento non conflittuale con l’Urss con cui, prevede Thiriat, potrà esserci una "pacifica coesistenza" in funzione anti-Usa, una volta che essa sia stata riportata ai confini pre-bellici con la "liberazione" europea dei paesi "imprigionati" nella cortina di ferro.
Vediamo ora come il medesimo tema dell’attrito e dell’antagonismo (borghese e imperialista) tra l’Europa e gli Usa ritorni in questi giorni "a sinistra" della sinistra parlamentare in ambienti interni al "movimento" no war:
"Perché l’Europa? Perché solo l’Europa potrebbe avere il peso economico e politico (e contiene anche in alcuni aspetti della sua storia complessa gli elementi di una identità) per contenere l’attuale ambizione dominatrice della superpotenza americana. Una sua presenza autonoma e attiva nella politica mondiale è indispensabile per sviluppare e proteggere le esperienze e i tentativi che contro quel dominio in America Latina, stanno crescendo in forme nuove e originali, ma avanzano tra difficoltà tremende; o per evitare che dopo l’Iraq nel Medio Oriente si avviti una spirale tragica tra neo-colonialismo, disperazione e violenza; o per offrire all’Est europeo una strada da percorrere diversa dal vassallaggio [agli Usa] e dalla democrazia corrotta; infine per stimolare ancora all’interno degli Stati Uniti una tradizione culturale e politica liberal-democratica e solidaristica, che è stata sempre viva e in certi momenti ha segnato grandi esperienze riformatrici".
Così L. Magri nel numero di giugno de La Rivista del manifesto, il quale poi depreca che -però- oggi l’Europa sia divisa ed in varie sue parti, occidentali e non semplicemente "orientali", incline al vassallaggio verso Washington. In ogni caso, la prospettiva strategica che si indica al movimento è quella di un’Europa che sia su tutta l’arena mondiale, politica ergo economica, un’attiva competitor degli Stati Uniti e che si faccia protettrice, essa che nulla sa di colonialismo e di dominazione sui popoli terzi, di quanti paesi sono, ai quattro angoli della terra, "minacciati" dalla prepotenza della "superpotenza americana". A suo tempo, non lo si dimentichi, Benito Mussolini propose l’Italia fascista come "spada dell’Islam" in senso anti-britannico ed "anti-coloniale"… Rispetto al realismo della destra, vecchia e nuova, che metteva e mette nel conto di questa competizione tra gli Usa e l’Europa anche, necessariamente, la guerra, gli euro-sciovinisti à la Magri si distinguono solo per la loro maggiore reticenza sulle inevitabili conseguenze belliche di una simile competizione e di un simile schieramento e per il maggior danno che tale reticenza produce all’interno del "movimento".
Un danno tanto più grave perché l’"alternativa europea" (imperialista), proprio perché presenta al momento un deficit evidente di forza a petto della "superpotenza statunitense", ha un bisogno vitale di coinvolgere le "proprie" masse lavoratrici in una mobilitazione anti-americana che abbia oggi le sembianze truffaldine di essere a difesa della pace, ma che è in realtà solo a difesa degli interessi di dominio dell’Europa fortemente minacciati (ecco la vera minaccia contro cui tutti gli "europeisti" chiamano a reagire) dallo strapotere americano. Non è un caso, perciò, che Magri "dimentichi" di parlare del movimento no war statunitense, forse il più importante e significativo tra quanti si sono dati in Occidente, e si protenda viceversa speranzoso verso un ritorno in campo del "keynesismo" clintoniano, "dimenticando" il particolare insignificante che furono proprio delle presidenze liberal-democratiche a guidare gli Usa nel corso delle due guerre mondiali, della guerra al Vietnam, e di altre innumerevoli aggressioni ai paesi "arretrati"…