Repressione e democrazia
Sbaglieremmo, e di molto, se limitassimo la nostra attenzione, e quella dell'intero movimento di lotta, alla denuncia degli aspetti più vistosi di un processo di repressione e di criminalizzazione della lotta di classe che sta assumendo dimensioni sempre più mastodontiche.
Tentare di ricostruire, come qui si fa, un quadro d'insieme di questo processo ed una cronologia politica degli avvenimenti non può significare procedere ad una semplice descrizione di ciò che, quotidianamente, si abbatte sul conflitto sociale e su ogni episodio di difesa all'offensiva del capitale. Sarebbe invece auspicabile che gli organismi di lotta si dotassero di una strumentazione politica ed organizzativa capace di socializzare dati e notizie riguardanti la repressione allo scopo di controbattere e demistificare le campagne di vera e propria dis/informazione perpetrate dall'insieme dei mezzi di formazione e persuasione del consenso borghese.
Questa scheda è esclusivamente un primo tentativo di ricostruire sinteticamente il filo nero tra i vari accadimenti dell'ultimo anno politico (limitato, per motivi di spazio, al solo suolo italico).
Una repressione statale a 360 gradi
Autunno-inverno 2001
All'indomani delle giornate genovesi antiglobalizzazione e con l'avvio della campagna bellicista di Enduring Freedom, le varie procure della Repubblica su evidenti, quanto oggettivi, impulsi da parte del governo e dei grandi centri di potere internazionale, rafforzano le proprie strutture investigative (con la creazione di pool ad hoc) verso quelle che, nel linguaggio complottistico e inquisitorio della giustizia capitalistica, vengono definite "arre contigue e sensibili al terrorismo". Si distinguono in questa saga alcune procure (in particolare quelle di Milano e Torino) le quali avviano "indagini" su consistenti gruppi di immigrati e sui loro luoghi di raccolta e di socialità. In particolare le moschee vengono additate come luoghi di ideazione di atti criminali e le varie funzioni religiose vengono "osservate e filtrate" con l'evidente scopo di individuare "incoraggiamenti e/o apologie di reati". Nel contempo, con l'approssimarsi del varo della legge Bossi-Fini, vanno avanti retate ed espulsioni di consistenti gruppi di immigrati in un clima parossistico in cui, di proposito, vengono miscelate paure ed incertezze sociali, motivazioni xenofobe e sperimentazione di nuove politiche securitarie mutuate dalle legislazioni degli altri stati occidentali.
Primavera 2002
È con l'esplodere della protesta operaia in difesa della manomissione dell'articolo 18 e con le prime consistenti scese in piazza di una nuova generazione di precari iper-sfuttati (23 marzo, 16 aprile, manifestazioni del sindacalismo di base, vani scioperi regionali...) che la repressione statale inizia a mostrare la sua reale ampiezza e capillarità.
Presenza asfissiante di polizia e carabinieri ai cortei, ai cancelli delle fabbriche; richieste alle direzioni aziendali dei nomi degli scioperanti e degli iscritti alle organizzazioni sindacali; campagne stampa tendenti ad equiparare l'opposizione alla demolizione di ciò che resta dei diritti politici e sindacali con le "pratiche terroristiche"; insomma un crescendo di minacce ed intimidazioni (non si contano le denuncie e le incriminazioni per centinaia di lavoratori per blocchi stradali, ferroviari, interruzione di servizio e quant'altro) tese ad impedire la saldatura, nella lotta, tra lavoratori e movimento no-global ma, soprattutto, un sapiente lavorio volto alla delegittimazione e all'inquinamento (e, quindi, al depotenziamento) delle ragioni sociali alla base di una primavera di lotta!
Autunno 2002
Con l'approssimarsi dei preparativi dell'annunciato attacco al popolo irakeno, con l'incrudirsi dello scontro sociale in Italia dopo la stipula del "patto per l'Italia" e l'avvio della stagione dei licenziamenti di massa (Fiat e dintorni...) si registra un salto di qualità nell'azione repressiva del governo e dello stato.
Dopo la grande manifestazione europea del 9 novembre, a Firenze, la procura della repubblica di Cosenza -addensando ed agglutinando puntuali e circostanziate "volontà politiche" di settori degli apparati militari e polizieschi nazionali e sovranazionali- ha varato un'operazione giudiziaria nella quale ha utilizzato in maniera ancora più disinvolta rispetto alle precedenti applicazioni, l'armamentario giuridico dei reati associativi contro 42 compagni di "Sud Ribelle".
Poche settimane dopo la procura di Genova -facendo tesoro di alcuni elementi di "ingenuità" presenti nell'inchiesta cosentina- ha spiccato 23 mandati di cattura (perfettamente democratici) in cui non viene contestata la volontà politica dei compagni inquisiti, ma le loro "responsabilità individuali" nel corso delle manifestazioni di Genova nel luglio 2001. Impostazione, questa, confermata nei vari discorsi di inaugurazione dell'anno giudiziario in cui, con buona pace di chi si illude sulla riformabilità della magistratura, sono state incoraggiate inchieste con questa tipologia di indagine.
All'oggi -ed è cronaca delle ultime settimane- numerose procure (Napoli, Potenza, Bologna, Venezia...) stanno allestendo fascicoli inquisitori (predisposti unicamente sulla base delle continue informative dei Ros e delle Digos) nei confronti di aderenti e militanti che, a vario titolo, hanno animato e sostenuto le lotte degli ultimi mesi. In particolare si stanno sperimentando modalità di gestione delle indagini e di.... spettacolarizzazione inedite (almeno per l'Italia) come, ad esempio, il bando a mezzo stampa -un vero e proprio Wanted- utilizzato per l'individuazione dei due compagni dei Cobas di Roma accusati di "collateralismo con le violenze del Black Bloc".
La legalizzazione definitiva dell'art. 41 bis
Nel dicembre scorso il parlamento ha approvato, definitivamente, la vigenza stabile dell'art. 41 bis e la sua estensione-applicazione anche per i reati di "terrorismo". L'art. 41 bis prevede un nuovo peggioramento delle attuali condizioni carcerarie: abolizione delle telefonate, colloqui ridotti ad una sola ora al mese con i soli familiari e con vetricitofoni-telecamere-microfoni, aria ridotta ad un massimo di due ore al giorno, isolamento in cella singola, partecipazione ai processi soltanto in videoconferenza. In sostanza l'intero circuito carcerario viene ulteriormente differenziato e per gli "irrecuperabili" si torna ai famigerati "braccetti della morte" ed al vecchio art. 90 riveduto e peggiorato.
Al momento, a parte un gruppo di detenuti accusati di mafia, il 41 bis viene applicato ad alcuni militanti comunisti classificati come "irriducibili" ed agli arrestati accusati di far parte di Al Qaeda e simili. Questi ultimi, in numero che va dagli 80 ai 100 inquisiti e forse oltre (ora che ad essi si sono aggiunti 128 pakistani arrestati a Napoli nel quadro di un'operazione quanto mai gridata e altrettanto inconsistente) sono ristretti, da oltre un anno, nel carcere di Opera in completo isolamento, senza neanche usufruire delle due ore d'aria e con la minaccia, per alcuni di loro, di essere espulsi nel paese di origine (Tunisia) dove sono stati condannati, precedentemente, alla pena capitale. Del resto se il governo del "compagno" D'Alema contribuì, con efficacia, alla consegna di Ocalan ai suoi boia, perché mai il governo del cavaliere Berlusconi dovrebbe esitare nel compiere un nuovo crimine contro questi sfruttati del Sud del mondo?
La stabilizzazione dell'emergenza
È, evidente, oramai, che la "lotta al terrorismo" (leggi: ad ogni insorgenza sociale, alla lotta di classe in quantro tale) è un dato costante e permanente delle politiche statuali. In Italia e non solo.
L'intera legislazione viene plasmata per stabilizzare, anche sul piano normativo, tutti gli atti e le azioni compiute in virtù "dell'emergenza". Sempre più le modalità di dispiegamento degli apparati repressivi dello stato assumono, e sempre più assumeranno, i connotati di una vera e propria operazione di controrivoluzione preventiva.
Persino la recente filippica del ministro Castelli contro alcuni magistrati sospettati di "contiguità con l'universo noglobal" è perfettamente compatibile con la linea di condotta, propria dell'intero esecutivo Berlusconi, mirante ad imporre il silenzio verso qualsiasi voce dissenziente. L'azione di Castelli è tutt'altro che una boutade, ma si iscrive in quel complesso di provvedimenti (decreto salva-ladri, legge Cirami, querelle e vari giochi politici attorno al tema dell'indulto, accentramento e controllo dei principali mezzi d'informazione) che stanno sostanziando il processo autoritario e di ulteriore blindatura dello stato in atto sotto questo governo "operoso".
Concludendo, ricordiamo le puntuali (ogni semestre) informative che i servizi segreti trasmettono al parlamento allo scopo di rimpolpare di continuo la costante politica emergenziale di stampo autoritario. Questa volta, oltre ai vari stereotipi sulla pericolosità del "terrorismo", c'è un allarme per la ripresa dello scontro sociale in Italia ed in generale sul piano dello scontro globale. Nell'ultima relazione del ministro degli interni, resa pubblica, accanto alle puntuali illazioni contro l'area "anarchica insurrezionalista" in cui, volontariamente, vengono confuse iniziative di controinformazione, di solidarietà e di lotta svolte, da questi compagni, alla luce del sole con episodi, per certi versi oscuri e poco chiari, abbiamo avuto l'onore (come Organizzazione Comunista Internazionalista) di essere citati tra le "aree sensibili" per il fatto che manifestiamo, ed è indubbiamente vero, "sostegno incondizionato all'Intifada e alla resistenza delle masse irakene ed arabo-islamiche" (così almeno apprendiamo da L'Espresso del 26 dicembre).
Ancora una volta -come già provvedemmo a fare all'indomani dell' 11 settembre 2001 quando alcuni articoli del fogliaccio Libero e di altri giornali additavano la nostra propaganda verso gli immigrati come una sponsorizzazione del "terrorismo"- senza formalismi rispediamo al mittente simili illazioni ribadendo la nostra posizione, che è quella del marxismo rivoluzionario, ampiamente illustrata, nel corso degli anni, sulla nostra stampa e sul nostro sito internet.
Due parole su una questione, l'allargamento e l'intensificazione della repressione, che ne meriterebbe assai più e su cui ci ripromettiamo di tornare con maggiore ampiezza nel prossimo che fare.
Gli arresti di militanti "no global " con l'accusa di associazione sovversiva hanno riportato in auge vecchie canzoni che sembra non vogliano mai passare di moda, in particolare quella per cui il ricorso all'applicazione dei reati associativi alla "normale " attività politica "antagonista" sarebbe una sorta di retaggio del fascismo e non potrebbe che essere opera di settori golpisti delle istituzioni e di magistrati nostalgici.
Questi temi hanno avuto un loro rilancio in occasione degli arresti decisi dalla procura di Cosenza, e hanno dato modo a non pochi di presentare ripetuti appelli al rispetto della costituzione repubblicana. Così facendo, da parte di questi "molti", si dimentica che, non esattamente a caso, la sconfitta del fascismo non ha mandato in prescrizione il suo codice penale, così come il superamento degli anni "dell'emergenza" non ha mandato in soffitto la relativa legislazione, anzi.
La immediata controprova della futilità (pericolosa) di queste genuflessioni alla nostra "sacra" e "libertaria" carta costituzionale è venuta con l'emissione dei mandati di cattura perfettamente democratici in tutto e per tutto emessi dalla procura di Genova. In questo caso, infatti, ai manifestanti ed ai compagni inquisiti ed arrestati venivano contestati specifici fatti di "violenza" commessi a Genova e rubricati sotto le voci di devastazione e saccheggio: alcuni commessi direttamente, altri commessi per "concorso psichico", cioè per presenza consensuale. Si è vista, in questa circostanza, quanto fosse pericolosa per il movimento la posizione assunta da una parte non proprio insignificante della direzione del Social Forum, che si può riassumere così: vogliamo la verità sui fatti di Genova; chiunque abbia "sbagliato", da una parte o dall'altra, dev'essere legittimamente punito.
Impostazione per noi inaccettabile e grave, a misura che nega ai dimostranti, al movimento, alla classe lavoratrice la possibilità, la necessità di difendersi dalle aggressioni violente dello stato, destinate nei prossimi tempi ad intensificarsi. Una impostazione che, a nostro avviso, ha fatto sentire i suoi effetti negativi anche sulle mobilitazioni anti-repressione, rompendo la compattezza della solidarietà intorno agli arrestati di Genova. È anche per questo che a Genova sono scesi in piazza la terza parte dei manifestanti di Cosenza.
Anche queste vicende ci spingono a ribadire due cose: 1) lo straordinario potenziamento degli apparati repressivi e della legislazione punitiva avvenuto negli anni passati e l'intensificarsi delle azioni repressive contro le lotte (e contro gli immigrati) tutto è salvo che occasionale, risponde anzi ad un fine unitario di controrivoluzione preventiva; 2) contro questa tendenza dev'essere fatto il massimo sforzo di contro-informazione, di denuncia, di mobilitazione dei più ampi consensi di massa, anche attaccando le vie attraverso cui il potere cerca di legittimare la propria crescente repressività (ad es. le campagne allarmistiche sulla sicurezza contro la criminalità), senza lasciarsi lusingare dalle scorciatoie di azioni "esemplari" di risposta. La ricerca dei più ampi consensi di massa, però, va fatta sul terreno del movimento di lotta e di classe, senza alcuna forma di accreditamento delle istituzioni statali e del loro ordinamento.