Fermiamo la nuova aggressione

al popolo iracheno!
Trasformiamola in un boomerang

che si abbatta
sui grandi poteri capitalistici

che l’hanno scatenata!


Sì, contro questa guerra,

senza se e senza ma!

Non è il caso di spiegare qui il senso della guerra di aggressione che si prepara, per la seconda e "definitiva" volta, contro l’Iraq.

Di che si tratti lo sanno tutti. Innanzitutto quelli che sono a favore. E non parliamo solo di Bush. Di che guerra si tratti lo sanno anche gli altri, suoi sodali e concorrenti. Quelli pronti a farla, o con Bush o indipendentemente da Bush, come certi bravi "europeisti" che mordono il freno, ma soltanto perché gli Stati Uniti hanno ormai messo il proprio sigillo su di essa. Si tratta (ah, vecchie categorie della obsoleta interpretazione marxista dell’imperialismo!) di una nuova "spartizione del mondo" nell’era del turbo-colonialismo volta ad appropriarsi delle risorse naturali e di lavoro dei paesi terzi. La democrazia? Sì, certo, quella in grado di spillare il petrolio dall’Iraq, in questo caso, a costo zero, e di sminuzzare, a tal fine, in varii sotto-staterelli direttamente dipendenti dalle centrali occidentali un paese giunto, attraverso una rivoluzione borghese, alla propria (relativa) indipendenza (dentro il sistema mondiale dei rapporti capitalistici). Quella stessa democrazia che da una Jugoslavia unita ha fatto spuntare tante satrapie jugoslave sottomesse. Che in un Afghanistan lacerato da lotte tribali, ma arrivato in qualche modo a darsi una struttura unitaria, ha riesumato tanti clan legati al rais occidentale di turno. E che ora da un Iraq unitario procura di far nascere tanti nuovi "emirati del Golfo" da aggiungere a Kuwait, Bahrein, Oman, Qatar, etc. etc. con l’emiro realmente al comando che sta a Washington (o, possibilmente, secondo certi desideri irrealizzati, a Parigi, a Berlino, a Roma…).

Il nazi-fascismo aveva questo di buono: che parlava apertamente alle proprie masse di "spazio vitale", e lo rivendicava contro gli spazi vitali già abbondantemente occupati dalle democrazie franco-britanniche, e poi dagli Stati Uniti, come proprio "diritto imperiale". Le attuali democrazie fanno, da questo punto di vista, doppiamente schifo. Perché mascherano i diritti imperiali(stici) cui non intendono e non possono rinunciare, con ignobili farse sulla "legalità internazionale": io ti impongo con la violenza il mio dominio più incontrollato, ma tu chiama tutto ciò "democrazia internazionale"! Bush come Hitler? In una puntata di Zelig si è obiettato: attenti, gli eredi di Hitler potrebbero far causa! Una battuta umoristica, ma non siamo lontani dal vero, come ha notato anche Gino Strada. Alle masse si devono propalare le frottole, ma se poi si va a vedere i documenti per gli addetti ai lavori, le cose vengono spiattellate papale papale. Un rapporto statunitense del settembre 2000, tanto per dire, afferma: "C’è bisogno di una presenza americana di sostanza nel Golfo indipendentemente dal regime di Saddam… Se una pace americana deve essere mantenuta ed allargata (in tutto il mondo), essa deve avere profonde radici in una insindacabile presenza militare… La preminenza degli USA va preservata con una condotta di guerra". E questo "bisogno di una presenza americana di sostanza nel Golfo indipendentemente (si noti bene) dal regime di Saddam" ha molto a che vedere, oltre che col petrolio, con la necessità di tenere a bada con il knut (anche atomico, se è il caso) masse di sfruttati, dell’Iraq, dell’Iran, della Palestina, che stanno dando gran filo da torcere ai colonialisti, vecchi e nuovi.

Di che si tratti in questa guerra, lo sanno, o lo intuiscono, anche quelli che sono veramente contro di essa.

Non è che i contrari stiano tra loro sulla stessa lunghezza d’onda, ma c’è un tanto sufficiente di senso comune che basta ed avanza come inizio di una presa di coscienza e di ribellione.

Contro siamo noi, marxisti, che non ci limitiamo ad un’analisi dei fattori economico-politici che spingono Bush ed i suoi soci europei alla guerra, ma indichiamo un programma inequivoco, anche se largamente minoritario al momento, di lotta a questa guerra e alla catena di guerre che essa inaugura, nell’unico senso risolutivo: una lotta frontale di massa, ed internazionale, contro il capitalismo imperialista che metta capo alla soluzione rivoluzionaria del comunismo.

Ma contro c’è tutta una variegata massa che, ben lungi dall’intendere le necessarie implicazioni di una vera e conseguente opposizione a questa guerra, avverte, in un modo o nell’altro, che essa è il portato della globalizzazione capitalista così come essa si dà. Su questa strada si ritrovano, in vario modo, "obiettori" vecchi e nuovi, non come teste separate, ma dentro una massa reale che scende in piazza e comincia a far sentire la sua voce.

Contro lo sono i cattolici seri, da cui siamo anni luce distanti, ma su cui non abbiamo mai sputato, che, attraverso Famiglia Cristiana, si interrogano se stare "col pontefice o con Bush", e cioè, al di là del target, per noi molto opinabile, se stare con la pace, la giustizia, l’umanità o… con il capitalismo reale.

E lo sono anche molti di coloro che si riconoscono tuttora nella "sinistra" ufficiale. Ci riferiamo qui alla base di essa che "sente" i problemi reali, e non certo ai capi-partito sporchi di sangue (iracheno, afghano, jugoslavo…). Questi lavoratori, questi compagni, si sentono in dovere di dire "basta", avendo iniziato a capitalizzare le lezioni delle guerre precedenti. Vere e proprie guerre, e che guerre!, spacciate invece come operazioni di "pace" da parte del "governo mondiale" (quale pace e quale governo mondiale!) su cui, magari, si erano fatti "ingenuamente" coinvolgere, se è vero, come è vero, che a quelle guerre non si erano contrapposti, o le avevano francamente condivise, in quanto le loro organizzazioni di riferimento li avevano convinti che si trattava di "antiterrorismo" e di "democrazia" da imporre ai recalcitranti (pensiamo al famoso "né con Saddam, né con Bush" del 1991, all’aggressione alla Jugoslavia salutata come il "ripristino dei diritti umani" negati da… Milosevic, sino a quella contro l’Afghanistan degli "orrendi talebani").

Ma, soprattutto, contro questa ennesima guerra che non teme di dichiarare aperta l’opzione nucleare sono centinaia di migliaia di giovani nuovi, non preventivamente inquadrati in alcun schieramento, e che capiscono benissimo istintivamente di che si tratta.

Un sentimento ed un movimento contro questa guerra di aggressione dunque c’è, si sta allargando ed è arrivato a darsi, almeno in embrione, una dimensione mondiale. Non pochi hanno osato dire che l’11 settembre avrebbe "compromesso" la lotta (qui in Occidente) contro la guerra dando esca alla (prevedibile) reazione statunitense. "Terrorismo" colpevole! Come sempre, il "terrorismo" colpevole è quello degli aggrediti, mai quello, vero, degli aggressori. E, come si capisce a volo dai passi del rapporto del 2000 sopra ricordato, esso sarebbe addirittura colpevole di aver "provocato" la reazione prima ancora di essersi concretamente manifestato.

Quanto poco valga questa mistificazione ce l’hanno detto le centinaia di migliaia di persone scese in campo negli USA contro la "libertà infinita" di aggressione dei propri governanti. L’11 settembre (che certo non è il "modello" di quello che noi intendiamo per lotta internazionale degli sfruttati, ma dalla quale, tuttavia, non è affatto slegato) ha fatto dire a questa gente: noi siamo stati colpiti in seconda istanza perché noi per primi li abbiamo colpiti, per cui non possiamo reputarci liberi ed al sicuro finché noi teniamo gli altri in schiavitù e nella perenne insicurezza da schiavi. I familiari delle vittime (vere vittime!) dell’11 settembre andati a Baghdad per rendersi conto e solidarizzare con le infinite sofferenze della "gente comune" (come loro) irachena, ci trasmettono questo messaggio esemplare: la guerra contro di voi è guerra contro noi stessi. Lo ha rilevato bene per la Gran Bretagna, e non solo, anche Tariq Ali, scrivendo: "Dopo l’11 settembre, il Financial Times ha annunciato che gli attacchi terroristici su New York avrebbero messo fine al movimento anti-capitalista. Non siete stati così fortunati, signori. È successo proprio il contrario. Il movimento anti-capitalista è stato il principale affluente che ha gonfiato il fiume della protesta contro la guerra. Una nuova generazione ha capito che i politici che predicano l’economia neo-liberista in casa, sono le medesime persone che fanno la guerra all’estero, e per i medesimi interessi. Come potrebbe essere diversamente?" (il manifesto del 26 gennaio).

Questo il senso bellissimo della crescente opposizione alla guerra che agita il movimento. E che noi salutiamo con entusiasmo, possiamo dirlo?, fin dai suoi primi passi, da tanti, anche nelle nostre vicinanze, ignorati o snobbati. Ne salutiamo in particolare la tendenza visibile, pur se non certo generalizzata ancora, a dire alla guerra un no secco, senza se e senza ma. Il che, però, non è, in prospettiva, un vero senza se e senza ma, perché dei se e dei ma in realtà ci sono, ed è bene discuterne apertamente poiché proprio da essi, e dal loro scioglimento in un senso o nell’altro, dipende lo sviluppo della lotta contro la guerra. Lo facciamo negli articoli che seguono.


Bush e soci

Primo:
distruggere Baghdad

“Baghdad come Hiroshima. Il piano di guerra americano prevede un diluvio di bombe nei primi due giorni. 800 missili, il doppio di quelli lanciati sull'Iraq nel 1991, con una potenza superiore a quella delle due atomiche costrinsero il Giappone alla resa. Il nome in codice dell'operazione è Shock and Awe’, orrore e sgomento. Non ci sarà in tutta Baghdad un posto sicuro, ha assicurato un generale del Pentagono al corrispondente militare della Cbs. Il piano non esclude l'uso di missili nucleari tattici...” (l'Unità, 26 gennaio 2003). A sua volta l'Onu, che un simile massacro (per “disarmare” il solo Saddam, s'intende) sta contribuendo a prepararlo, stima, al ribasso, in 500.000 morti e 2 milioni di profughi (secondo altre fonti, invece, sarebbero 10) il “conto” di questa orrenda strage annunciata.

Secondo:
occupare Baghdad

Il New York Times ha rivelato, nell'ottobre scorso, i piani della Casa Bianca per il dopo-Saddam.

Comanderà un governatore militare statunitense, sul modello del Giappone, per almeno 18 mesi, ed il "mantenimento dell'ordine sarà affidato a un'amministrazione militare americana che nei primi, caotici mesi avrà un potere assoluto’ ”.

E il petrolio? “Gli americani sfrutteranno il petrolio iracheno”, ma soltanto per “finanziare (ah, ecco) la ricostruzione”... Le truppe di Bush “proteggeranno” i giacimenti finalmente tornati, dopo la nazionalizzazione del 1968, in mani sicure.

“Un amministratore, se possibile designato dalle Nazioni Unite, gestirà l'economia, ricostruirà le scuole e le istituzioni politiche”  che gli Usa avranno distrutto, “distribuirà aiuti” al popolo che abbiamo affamato.

L'alternativa di
Chirac e Schroeder

Primo: occupare Baghdad

Der Spiegel ha rivelato 1' “alternativa pacifica”  al piano statunitense preparata dall'inizio dell'anno dalle diplomazie della Francia e della Germania.

Previsto “l'invio in Iraq di diverse migliaia di caschi blu che per un periodo di alcuni anni assumerebbero di fatto il controllo del paese.” (l'Unità, 9 febbraio). La Germania manderebbe sul posto un proprio contingente. “L'intero territorio iracheno verrebbe considerato no flying zone”, e non solo il nord e il sud del paese come accade oggi. Pattuglierebbero i cieli aerei francesi Mirage IV, aerei tedeschi Luna e aerei statunitensi U2. “I 50 mila militari americani già in zona dovranno restare sul posto per favorire l'invasione pacifica dei caschi blu.”

Parallelamente verrebbe indurito l'embargo con “una fitta rete di sanzioni”: “maggiori controlli sulle esportazioni iracheni e accordi con i paesi vicini alfine di evitare il contrabbando di petrolio, che è una delle fonti principali dell'attuale regime.”

“L'Iraq, commenta la stessa Unità, diventerebbe di fatto un protettorato dell'Onu. Quando si dice la diversità europea...