Dagli Stati Uniti contro la "nuova" guerra


Pubblichiamo nella pagina foto della manifestazione di Washington del 29.9, due tra le svariate prese di posizione provenienti dagli Stati Uniti degne di interesse, e la dichiarazione di un giovane afro-americano. La prima è del comitato Labor Against War (Lavoratori contro la guerra) che è formato da più organismi locali di diversi sindacati, costituitosi a New York dopo l’11 settembre. Essa, pur con evidentissimi limiti di partenza, esprime la spinta presente in una parte del movimento sindacale statunitense a muoversi da subito contro l’intruppamento, al fianco della Casa Bianca, nel fronte di guerra.

La seconda presa di posizione, di una piccola organizzazione di matrice maoista, è significativa per il sentimento di fratellanza con gli sfruttati del Sud del mondo e, soprattutto, per la netta percezione che "il nemico è in casa nostra".


(…) In un istante N.Y. City ci ricorda Baghdad, Belgrado, la Palestina, il Vietnam, Panama, l’Indonesia, Hiroshima, Vieques. Le immagini invadono le nostre menti. Madri che corrono nelle strade di Baghdad con i loro bambini mentre le bombe americane cadono come pioggia. Le donne irachene che guardano i loro figli morire perché le bombe e le sanzioni degli Usa hanno deliberatamente avvelenato l’acqua che hanno a disposizione. Famiglie che accompagnano le bare dei figli uccisi con proiettili made in Usa in Palestina. Lavoratori di una fabbrica di medicinali in Sudan che scavano tra le macerie lasciate dal missile cruise lanciato dagli statunitensi. Gli allarmi che annunciano il coprifuoco a Belgrado contro gli attacchi aerei Usa. Lo stadio in Cile dove migliaia di ex innamorati, figli e figlie lasciano le loro illusioni a causa del colpo di stato concepito in Usa. L’orrore delle squadre dell’esercito indonesiano, con in tasca le liste fornite dalla Cia, che massacrano centinaia di migliaia di oppositori riempiendo i fiumi dei loro corpi. Hiroshima, Vietnam, Baghdad. La guerra è tornata a casa.

Anche se il World Trade Center e il Pentagono erano i simboli del potere finanziario e militare dell’imperialismo americano, la realtà è che il risultato è stata la morte di molte persone innocenti. Ma chi è responsabile? Chi ha portato le masse americane ad un punto di rischio? Il potere Usa punta il dito verso il Medio Oriente, ma la risposta riconduce al suolo degli Stati Uniti. Questi imperialisti -che hanno perpetrato crimini indicibili e riversato rovina contro i popoli del mondo intero mediante lo sfruttamento globale senza freni e le azioni militari- hanno creato una situazione in cui milioni di persone in tutto il mondo odiano il governo degli Usa.

 

(…) Ci mostrano le immagini di giovani arabi che festeggiano nelle strade dei territori occupati in Palestina, per scatenare in noi un sentimento di orrore allo scopo di farci chiedere vendetta. Ma vorremmo chiedere: perché i popoli del Medio Oriente e di altre parti del mondo festeggiano gli eventi dell’11 settembre? Non certo perché sono state perse vite innocenti, ma perché un potere arrogante che è riuscito finora a mettersi al riparo dai colpi mortali vantandosi della propria invincibilità, si è rivelato vulnerabile.

(…) Essi cianciano di voler proteggere la gente, ma nel mentre preparano liste di proscrizione, organizzano incursioni e mettono a punto misure da nuovo Grande Fratello. Essi cianciano di mettere fine al terrore, mediante la guerra, ed immediatamente le loro forze armate si accingono a provocare gli orrori più grandi. Essi ci vogliono unire a loro e farci portare la loro bandiera. No! (…)

Revolutionary Communist Party, Usa, 14 settembre 2001

Labor Group di New York City 
si oppone alla guerra di Bush

Lavoratori contro la guerra è una coalizione nata espressamente per rispondere alla tragedia dell’11 settembre, sostenuta da più di 100 sindacalisti (individualmente) nella città di NY.

L’11 settembre ha portato indicibili sofferenze ai lavoratori di NY. Abbiamo perso amici, familiari e compagni di lavoro di ogni colore, nazionalità e religione; un migliaio di essi erano membri del sindacato. Circa 100.000 newyorchesi hanno perso il loro lavoro.

Noi condanniamo questo crimine contro l’umanità e onoriamo chi è morto. Siamo orgogliosi per il comportamento dei soccorritori e per la gara di sostegno alle famiglie delle vittime. Noi vogliamo giustizia per le vittime e sicurezza per i vivi, ma crediamo che la guerra di G. Bush non è una risposta. Nessuno deve provare ciò che abbiamo sofferto l’11 settembre. La guerra colpirà inevitabilmente le popolazioni civili, rafforzerà le peggiori dittature alleate dell’America ed aumenterà la povertà globale che gli USA e i suoi alleati hanno gia inflitto ovunque alle popolazioni innocenti in paesi come l’Iraq, il Sudan, Israele e i Territori Occupati, la ex Jugoslavia e l’America Latina.

Intervista di Piero Sansonetti a un giovane nero di New York: "Se vuoi te lo dico cosa penso, amico. Però non lo scrivere, capito? Te lo dico in modo che poi ci ragioni, amico, e mi dici se ho torto, va bene? Io penso quello che nessuno dice, che nessuno dirà mai, che molti non osano neppure farsi passare per la mente. Ma è la verità, sai, è la verità: noi ce la siamo cercata, amico. È così. Ascolta: i responsabili principali di questa tragedia siamo noi americani, anzi sono loro quelli di Washington, sono i bianchi, i generali, da anni la loro politica è di aggressione, da anni girano bombardando per mezzo mondo, in Africa, In Asia, in Europa, da anni seminano morti tra i civili -fanno stragi amico- e nessuno li condanna, nessuno si stupisce, piange, impreca. Poi, amico, un giorno tocca a loro. Già, cioè a noi: e allora ci stupiamo, diciamo barbari, siete barbari, incivili, musulmani, arabi, afghani. Chi l’ha iniziata la guerra? chiedo io. In quale libro sta scritto, amico, che in guerra a una delle due parti in lotta è proibito attaccare?" (l’unità del 19.9)

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