Mentre è in pieno svolgimento loccupazione Nato del Kossovo, ecco limperialismo occidentale lanciarsi in una nuova missione di "pace": dietro le infami bandiere dellONU, le sue truppe sono state inviate nel "lontano" Timor Est, al comando del generale australiano e criminale veterano del Viet Nam Cosgrove.
Questoperazione è stata preparata da unaccorta e martellante campagna propagandistica. Il copione seguito è simile a quello adoperato per predisporre il terreno alle aggressioni contro lIraq, la Somalia e la Jugoslavia. Sui giornali è stato un crescendo di notizie sulle "brutalità" commesse dalle milizie anti-indipendentiste, sul ritrovamento di fosse comuni e sul numero "impressionante" di profughi e di assassinati.
In questopera di metodica falsificazione si è, ovviamente, distinta la grande stampa: il Corriere della Sera è arrivato a parlare di 500 mila persone sparite su una popolazione di 900 mila unità. Anche i fogli della "sinistra critica" si sono accodati, scodinzolanti, al coro: per dirne una, Liberazione del 29.9 riporta -senza sollevare dubbio alcuno - le cifre fornite dallOnu e dalla Fao che narrano di 230 mila profughi e di 400 mila sfollati alla fame rifugiatisi nei boschi e nei monti. Riportiamo in basso una nota da Timor del giornale inglese The Guardian che smentisce le menzogne inventate ad arte dallimperialismo e tracannate dai nostrani "alternativi".
Dietro le balle "umanitarie" che hanno accompagnato lintervento Onu a Timor Est si nascondono in realtà gli interessi di dominio e rapina propri dellimperialismo.
Due anni fa tutto il Sud-Est asiatico è stato investito da una violenta crisi economica e finanziaria. Impulsata e pilotata dallOccidente, essa ha devastato interi paesi e ha reso le loro strutture economiche, ancor più di quanto già non lo fossero, direttamente sottomesse ai signori del dollaro, della sterlina e delleuro. Ma questi sono stati anche gli anni della scesa in campo della classe operaia sud coreana e delle rivolte che hanno visto in tutta larea masse proletarie e popolari scendere in piazza contro laffamamento e la miseria prodotti dalle terapie imposte dal Fmi e dalla Banca Mondiale. Larcipelago indonesiano è stato uno degli epicentri di questo terremoto economico e sociale.
Il tradizionale controllo occidentale dellarea attraverso linterposta azione dei governi locali ha così cominciato a non fornire più sufficienti garanzie alle potenze imperialiste. Essa infatti non è stata più in grado di tenere a basa leffervescenza delle masse lavoratrici, come è accaduto ad esempio proprio in Indonesia, un paese dalle risorse e dalla posizione strategica vitali per il mantenimento del "nuovo ordine mondiale". Ai paesi imperialisti non è rimasto altro da fare che ricorrere ai metodi "neo-coloniali" già sperimentati in Jugoslavia.
Da un lato, hanno cominciato a lavorare sulle divisioni tra le masse oppresse dellarcipelago, così da ostacolarne lunificazione di lotta contro il capitale finanziario e da deviare la rabbia dei vari settori luna contro laltra: la minoranza cristiana di Timor contro la maggioranza musulmana, la popolazione delle zone ricche di petrolio di Aceh e Kalamantan o quella del "paradiso turistico" di Bali contro le popolazioni "mantenute" delle altre regioni, più arretrate. A tal fine i gangster imperialisti stanno facendo leva sulle disuguaglianze di sviluppo, sugli attriti e sulle contrapposizioni esistenti tra le varie isole, disuguaglianze attriti e contrapposizioni derivanti proprio dalla secolare colonizzazione occidentale e dagli ostacoli che prima lOlanda e poi gli Stati Uniti frapposero allo sviluppo di una vera Indonesia indipendente (oltre che dallinconseguente lotta di liberazione nazionale condotta dalla borghesia locale). Il Nobel a quel bel tomo di monsignor Belo (vescovo di Dili buon amico del Vaticano e dei governi di Roma, Washington e Lisbona), il "forte appoggio" (in realtà: limposizione) da parte dellOnu del referendum a Timor, la simpatia dei nostrani mezzi dinformazione verso le manifestazioni in salsa "slovena" ad Aceh o a Bali sono lespressione di questo "dividi e domina" attuato (da dietro le quinte) dalle cancellerie, dagli stati maggiori e dalle borse occidentali.
Dallaltro lato, però, questi ultimi sanno che le proprie manovre divisorie possono non essere sufficienti ad evitare che linsofferenza delle masse si tramuti in aperta e unitaria lotta antimperialista. Già non furono sufficienti dopo la seconda guerra mondiale, quando le potenze e i monopoli occidentali vennero, per qualche tempo, quasi interamente cacciati dallIndonesia. Potrebbe accadere di nuovo. Ecco perché essi hanno bisogno di ristabilire dirette postazioni militari in loco. Non basta più che nelle acque dellInsulindia incrocino per deterrenza le portaerei yankee o francesi... Occorrono anche basi a terra, da cui avviare (Kuwait e Jugoslavia docent) lintervento di normalizzazione che si rendesse necessario, in Indonesia come nella turbolenta area circostante. Senza contare poi che così si trova il modo di compiere un ulteriore passo nella lunga marcia con cui lOccidente sta stringendo il cappio intorno al collo della Cina e delle sue sterminate masse lavoratrici.
Ecco le vere ragioni per cui lOccidente vuole tornare ad installare i suoi contingenti militari a Timor. Altro che intervento umanitario! Siamo in presenza di un altro atto della guerra senza quartiere che limperialismo sta conducendo contro il proletariato e le masse oppresse di tutto il mondo. Un atto che, in barba alle tante idiozie partorite dalla sinistra italiana, non ha mai visto gli Usa contrari, ma solo attenti a scandirne tempi e modi al fine di vedere i loro specifici interessi in primissima fila. "Abbiamo un cavallo importante che corre, chiamato Australia, e dobbiamo appoggiarlo": questa lesplicita dichiarazione in materia rilasciata da un alto funzionario americano e riportata da Le Monde Diplomatique.
Chi a "sinistra", per giustificare la missione Onu, si appella al carattere anti-proletario del regime indonesiano e alla repressione da esso compiuta sulla popolazione di Timor, è semplicemente un mentecatto asservito allimperialismo. Attaccare il sicario (il governo indonesiano) e cinguettare col mandante (lOccidente) - magari ipotizzando anche qui un ruolo "alternativo" dellEuropa rispetto agli USA- è degno solo di accattoni che vivono delle briciole elargite dalle "nostre" sanguinarie democrazie.
Ma come si può credere che queste democrazie siano preoccupate di risolvere i problemi esistenti a Timor e in Indonesia, esse che ne sono allorigine? Chi se non le potenze occidentali separarono nei secoli scorsi con una spartizione gangsteristica le vicende della zona orientale dellisola da quelle del resto dellarcipelago? Chi sbarrò la strada, in tutti i modi, allinserimento fraterno del riscatto nazionale e sociale della popolazione di Timor Est nellunico quadro in grado di portarlo a compimento, e cioè lunitaria rivoluzione antimperialista dellintera Insulindia? Chi è stato il primo affossatore di questo processo rivoluzionario col bagno di sangue anticomunista compiuto nel 1966 da Suharto sotto la guida della Cia? Chi ne ha alimentato, in tutti i modi, i fattori di divisione (fra isole e "comunità") ereditati dal passato coloniale e pre-coloniale? Chi ha colpito le forze politiche che si sforzavano di superare queste eredità nello slancio e nel programma della lotta antimperialista? Chi è giunto sino a promuovere e proteggere la repressione da parte di Suharto delle masse lavoratrici di Timor Est quando esse nel 1975 (crollato il colonialismo portoghese e in concomitanza colla vittoria vietnamita!) si stavano organizzando sotto la direzione di un fronte che intendeva reintegrare il territorio nel quadro unitario di unIndonesia finalmente risvegliata alla lotta antimperialista? E chi infine, negli ultimi decenni, ha guidato lo "sviluppo nel sottosviluppo" delle disuguaglianze tra le varie zone dellarcipelago? La risposta è sempre la stessa: le potenze occidentali, europee comprese!
Anche se le "brutalità" di cui cianciano i loro mezzi dinformazione fossero vere, noi ci opporremmo a morte al ritorno armato dei paesi occidentali in Indonesia, perché esso sarebbe comunque finalizzato non certo a riparare i delitti dei decenni e dei secoli scorsi, ma solo a farne di nuovi e più atroci. Anche in quel caso noi ripeteremmo parola per parola quel che diciamo oggi. E cioè che il proletariato occidentale deve opporsi allintervento dellOnu e intervenire lui stesso nel Sud-Est asiatico: 1) per indirizzare lo sviluppo delle lotte in Indonesia contro i responsabili primi dei problemi dellenorme arcipelago, e cioè i padroni e gli stati occidentali; 2) per avvertire le masse lavoratrici delle varie isole che ai loro problemi non cè soluzione se si cade nei tranelli divisori dellimperialismo.
Non fa cambiare il discorso di una virgola il fatto che oggi i lavoratori occidentali, intossicati dalle briciole e dalla propaganda imperialista, nutrano sentimenti di lontananza, quando non di disprezzo, verso le popolazioni "incapaci di auto-governo" dellIndonesia. Ciò fà solo emergere ancor più nettamente quanto sia vitale, per la rimessa in moto di un quantomai necessario interventismo rivoluzionario, che il vulcano delle masse lavoratrici dellOriente riprenda ad eruttare e terremoti il fetido ordine imperialista.
LOrganizzazione Comunista Internazionalista questa esplosione lattende con ansia, e con tutte le sue forze lavora e chiama a lavorare affinché ad essa si ricolleghi in un unico fronte la necessaria scesa in campo della classe operaia occidentale contro i "nostri" stati ed i "nostri" governi, per seppellire ed annientare definitivamente il mostro imperialista e tutto il suo carico di morte e distruzione.
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Dopo la seconda guerra mondiale, lIndonesia venne a svolgere un ruolo
importante per gli Stati Uniti, impegnati nella costruzione di un nuovo ordine planetario.
A ogni regione del mondo era stato assegnato un compito specifico: quello del Sud-Est
asiatico era di procurare alle società industriali risorse e materie prime.
LIndonesia era una delle poste in gioco più importanti. (Alla fine degli anni
quaranta, lo stratega, n.) George Kennan avvertiva: una Indonesia comunista
sarebbe stata un focolaio di infezione capace di estendersi a ovest (verso
il mondo arabo-islamico, n.) e di intaccare tutta lAsia meridionale.
La questione indonesiana rimase aperta a lungo. (...) Il problema principale veniva dal
partito comunista indonesiano (Pki), che -come disse il segretario di stato J. Foster
Dulles- continuava ad estendere la sua influenza, non in quanto partito
rivoluzionario, ma come organizzazione che difende i poveri nel quadro del sistema
vigente, costruendosi una base di massa tra i braccianti.
Lambasciata degli Stati Uniti a Jakarta annunciò che non sarebbe stato possibile
sconfiggere il Pki con gli strumenti democratici ordinari."
Prima si tentò con laiuto ai dissidenti interni allIndonesia. Essi
"guidavano una ribellione nelle isole periferiche dellarcipelago indonesiano,
dove si trovavano quasi tutti i giacimenti petroliferi e gli investimenti americani.
Secondo due specialisti del Sud-Est asiatico, il sostegno dato al movimento secessionista
è stato di gran lunga il più importante e misconosciuto intervento militare
clandestino dellamministrazione Eisenhower. Dopo il fallimento della
ribellione gli Stati Uniti ricorsero ad altri metodi per eliminare la
principale forza politica del paese (e sgozzare la rivoluzione antimperialista che, pur
fra mille titubanze, era in marcia, n.). Lobiettivo fu raggiunto quando, con
lappoggio americano, il generale Suharto prese il potere nel 1965. I massacri,
organizzati dallesercito, liquidarono il Pki e sfociarono in una delle
peggiori stragi del XX secolo, come ammise la stessa Cia. In pochi mesi furono
massacrate circa 500.000 persone. (...) Per descrivere limpressionante
carneficina, il New York Times parlò di un raggio di luce
sullAsia. (...) LIndonesia ritrovò i favori della Banca Mondiale...
Nel 1975, lesercito indonesiano invadeva Timor Est, i cui abitanti si stavano
organizzando dopo il crollo del colonialismo portoghese. Come ha spiegato nelle sue
memorie Daniel Patrick Moynihan, allepoca ambasciatore americano alle Nazioni Unite:
Gli Stati Uniti desideravano che le cose andassero come poi sono andate e si sono
comportati di conseguenza. Moynihan ha precisato come sono andate le cose: in pochi
mesi 60mila timoresi furono uccisi... Il massacro è proseguito, raggiungendo la punta
massima nel 1978, grazie alle nuove armi americane fornite dallamministrazione
Carter. Il bilancio totale sfiora i 200mila morti."
Da un articolo di N. Chomsky pubblicato su Le Monde Diplomatique-il manifesto del giugno 1999, quel Chomsky capace di oneste denunce dei crimini del capitalismo statunitense, ma sempre incapace di vedere la sola alternativa storica al capitalismo, statunitense o meno.