Cronache sindacali |
CAPITALISTICA ARRIVANO IN BANCA
L'incedere
della crisi capitalistica non risparmia alcun settore lavorativo
né alcun aspetto della vita sociale.
L'offensiva borghese finalizzata a
scaricarne i costi sui lavoratori,
partita dalle fabbriche, si è via via
generalizzata all'insieme della società, andando ad investire sempre
più direttamente il mondo dei servizi
e, da ultimo, anche il comparto
"protetto" per antonomasia: quello
del credito. Il "posto in banca",
tranquillo, sicuro "vita natural durante"
e ben remunerato, beneficio
riservato per decenni ai figli della
media e piccola borghesia ovvero a
fasce clientelari che riproducevano passività sociale e consenso
alla classe dominante, viene oggi - alla
buon'ora! - rimesso in discussione.
Gli
addetti nel settore in Italia sono circa trecentomila e da tempo l'Abi
(l'associazione imprenditoriale delle aziende bancarie) denuncia la
presenza di parecchie decine di migliaia di esuberi, insieme alla necessità
di abbassare il costo del lavoro
aumentando nel contempo la produttività per addetto. Di fronte al
processo di globalizzazione economica
diventa non più rinviabile per il
sistema creditizio nostrano cominciare ad erodere le garanzie normative,
salariali ed occupazionali dei lavoratori, per adeguare maggiormente il proprio funzionamento alle necessità capitalistiche complessive. Urgenza questa resa ancor più impellente dal fatto che finanche i più grandi istituti bancari italiani sono soltanto dei semi-pigmei nei confronti dei colossi
finanziari che dominano il mercato
mondiale. In Italia, infatti, il
processo di accentramento del sistema del credito è in evidente ritardo
e ristagna di fatto nell'inconcludente generale pantano del capitalismo
italiano (quando invece i gruppi e
gli stati che dominano la finanza mondiale stanno - anche
su questo piano - centralizzando
a sé quello che l'Italia non riesce
a centralizzare in proprio). È appunto
in questo clima che, sponsorizzato dal
governo Prodi, è maturato il recente
accordo sindacale per il
"contenimento del costo del lavoro" e per la "gestione
degli esuberi". Tale accordo è suddiviso
in due parti: la prima istituisce una
sorta di "fondo categoriale",
pagato dalle aziende e dai lavoratori,
finalizzato alla "gestione degli esuberi"; la seconda delinea il quadro
entro cui dovrà iscriversi il nuovo
contratto nazionale della categoria.
Sul
versante degli esuberi è sancita
la cancellazione nel giro di sei o sette anni dai 40 ai 90.000 posti, tramite
il ricorso ad una forma "originale" e soft di
prepensionamento, che potrà interessare i
lavoratori che dal 1999 al 2004
avranno maturato almeno 30 anni di
contributi Inps. Fino al raggiungimento
della pensione questi lavoratori
saranno pagati dal "fondo
categoriale", percependo un importo simile al trattamento pensionistico.
Questa
concessione è stata ancorata
dall'Abi all'accettazione di precise
condizioni sul rinnovo del complessivo
assetto contrattuale. Sul piano normativo si prevede la flessibilizzazione
nell'utilizzo della forza lavoro, con
la deregolamentazione dell'orario e la
mano libera per quanto riguarda la
mobilità territoriale; viene sottoscritta la possibilità di procedere
all'esternalizzazione di interi e
numericamente rilevanti comparti
lavorativi; viene sancita la frammentazione dell'unità contrattuale
dei lavoratori del credito, ai quali potranno essere applicati, nell'ambito
di una cornice "unitaria", contratti
diversi a seconda della specifica
lavorazione "al fine di garantire una gestione efficiente e competitiva";
si apre la strada alla precarizzazione del rapporto lavorativo, tramite la
possibilità per le banche di accedere al lavoro interinale, ai patti territoriali, alle assunzioni a tempo determinato e all'intera gamma di opportunità offerte in tal senso dal "pacchetto Treu". Il tutto mentre nelle
banche il ricorso agli appalti e ai subappalti, alle ditte
esterne e al lavoro parasubordinato è in continua e
ramificata crescita, e viene sempre più ad assumere un ruolo -
come accade
già nell'industria e negli altri servizi - di
logoramento di ogni unità
contrattuale nei luoghi di lavoro.
Sul
piano salariale il mirino dell'Abi è puntato su scatti di anzianità e
automatismi in genere; viene inoltre escluso ogni adeguamento all'inflazione
programmata nel prossimo biennio. Si aggiunga che le famose mensilità
addizionali di cui godono i bancari
(sotto le varie denominazioni di premi di produttività, premi di rendimento,
etc.) hanno iniziato da qualche tempo -
benché non in modo
generalizzato - a
volatilizzarsi, sia perché ancorate
all'andamento aziendale e dunque falcidiate dai bilanci in rosso di molti
istituti, sia perché messe in discussione dalle aziende nell'ambito dei
cosiddetti "accordi di solidarietà",
con i quali si punta a ridurre il
costo del lavoro (anche lasciando a
casa i lavoratori un giorno al mese,
con proporzionale perdita salariale).
Nelle
banche, centro del parassitismo del capitale nella sua funzione -
parassitaria per eccellenza -
di intermediazione
finanziaria, le condizioni di lunghi
decenni di affluenza economica (oggi
definitivamente tramontate) hanno
radicato tra i lavoratori un clima in cui le pratiche consociative
dei vertici sindacali (che, beninteso,
nell'accordo sottoscritto hanno
innanzitutto puntato a salvaguardare
se stessi) e i più deleteri e gretti
corporativismi aziendali e categoriali,
hanno potuto celebrare i loro fasti e
baccanali. I recenti accordi, se da
un lato riflettono la tendenza che
intacca alla radice questo humus, dall'altro rappresentano il tentativo
(di corto respiro, viste le oggettive esigenze borghesi) di dare risposta
alle "attuali difficoltà del settore",
riproducendo la politica consociativa
all'unica scala oggi possibile.
Affrontando cioè "il problema"
in un'ottica ancor più angustamente e marcatamente ristretta alla
singola categoria, nel tentativo di
costruire in proprio e "per sé" strumenti
per rendere il meno dolorose possibili queste prime misure ristrutturative:
in definitiva barattando
una gestione morbida degli esuberi e il mantenimento di ridimensionate
garanzie per "chi oggi è
dentro" con un giro di vite nelle condizioni
di lavoro e la concessione di assoluta libertà d'azione in
tema di nuove assunzioni. Per tal
via si predispone il terreno al sorgere
di ulteriori linee di frattura tra lavoratori
e si alimentano nefaste contrapposizioni
generazionali, con risvolti che, quando l'attacco sarà portato
più a fondo, non tarderanno a far
sentire il loro carico di negatività
anche su quella fascia di lavoratori
che oggi si tende per tal via a tutelare.
E ciò avviene quando, invece, la
portata nientaffatto contingente e
"di categoria" dell'attacco condotto
dalla borghesia contro tutti i lavoratori e l'insieme del proletariato
richiederebbe una capacità di risposta altrettanto generale, che sappia
unire e schierare tutte le generazioni
coinvolte - sia pure in momenti differenti della propria vita e talvolta in
condizioni diversificate - da una stessa
offensiva capitalistica.
Per lunghi decenni i lavoratori del credito si sono pienamente adagiati sulle politiche corporative che hanno regolato i rapporti di lavoro in questo settore, garantendo condizioni retributive decisamente al di sopra della media: il diffuso sentimento di estraneità - se non peggio - che gli addetti del credito sono andati nel tempo maturando nei confronti degli altri lavoratori hanno scavato un autentico fossato tra il bancario ed il resto del mondo del lavoro. Oggi, di fronte alle primissime difficoltà in arrivo e alla messa in crisi delle vecchie basi dei patti corporativi (nelle banche come in vari altri settori dei servizi), questa categoria si trova davanti a un bivio. O inizia ad avere consapevolezza della necessità di avviarsi ad abbandonare la propria classica supponenza e la propria "splendida alterità", per cominciare a percepirsi in quanto lavoratori e ricercare appunto negli altri lavoratori la propria sponda. O (come sta al momento avvenendo nell'accettazione degli accordi sottoscritti senza l'ombra di un tentativo di mobilitazione e, tuttalpiù, tra mugugni e brontolii per veder messa in discussione la propria precedente condizione) continua per gli antichi sentieri, vedendo quale unica e conveniente via d'uscita quella della riproposizione - anche se al ribasso - del classico patto consociativo. Percorrere quest'ultima strada non contribuirebbe di certo a ripianare il solco che oggi isola la categoria, ma anzi tenderebbe ad accentuarlo.
E ciò avverrebbe ancor di più in quanto l'incedere della crisi e il conseguente attacco borghese vanno stringendo attorno al collo del proletariato e della "gente comune" la corda di condizioni che divengono di giorno in giorno sempre più invivibili. Al centro di questo attacco quotidiano si fà sempre più opprimente (insieme al padrone, con la sua smania di profitto, e allo Stato, assetato di tasse) la morsa invisibile delle banche, con le condizioni capestro e i propri crediti da esigere. I lavoratori bancari dovranno imparare a saper separare i propri destini da tutto ciò, lottando a difesa delle proprie condizioni di lavoratori e denunciando -essi per primi e in questo modo - siffatto infernale meccanismo di oppressione che grava e parassita sull'intera società. Se questa via non sarà prontamente intrapresa, i lavoratori del credito saranno destinati a subire nel più totale isolamento attacchi ben più profondi di quello attualmente subito, quando le ondate di ritorno della crisi capitalistica cominceranno a travolgere, anche in Italia, le aziende bancarie.