Francia: se 56 ore vi sembran poche...
Agli inizi di novembre è riesplosa la protesta dei dipendenti delle ditte di trasporto francesi. Al centro della battaglia aumenti salariali e riduzione dell'orario di lavoro, in particolar modo la richiesta di rendere meno flessibile l'organizzazione dei turni, considerare maggiormente, all'interno dell'orario di lavoro, i tempi indirettamente legati alle prestazioni lavorative (ore di attesa esterne, spostamenti etc...) e il rispetto del tetto massimo di ore mensili stabilito con gli accordi precedenti. In sostanza si chiede di portare l'orario di lavoro effettivo da 61 a 56 ore settimanali. Si tratta della continuazione della lotta, già iniziata contro il governo precedente, che impose la riduzione del tetto d'età pensionabile a 55 anni.
Questa volta è Jospin e il "governo amico" transalpino a fronteggiare una mobilitazione che riprende con le stesse caratteristiche: iniziative promosse dalla base a dispetto degli accordi dei vertici sindacali, generalizzazione della lotta a tutto il paese, determinazione e organizzazione delle forme di protesta.
Quale la reazione del fronte avverso?
I padroni organizzano crumiraggi e squadre armate di provocatori che in qualche caso attaccano i picchetti dei camionisti, una violenta campagna stampa viene orchestrata per mettere all'indice "una protesta che mette in ginocchio il paese". A scala internazionale il ritornello è lo stesso: "i camionisti gettano nel caos l'economia continentale.
E il governo amico ?
Proprio mentre il ministro dei trasporti si dichiara solidale con la protesta, quello degli interni manda la polizia a sgombrare i picchetti ai valichi di frontiera con la Spagna. Dappertutto la polizia si prepara a intervenire.
Nonostante il ricatto poliziesco, che fa il paio con il paternalismo governativo e con gli appelli agli "interessi superiori della nazione", i camionisti ottengono la riapertura delle trattative. L'accordo, firmato di corsa dalla Cfdt e il governo, accoglie in parte le richieste di aumenti salariali ma di fatto non garantisce la riduzione di orario che si richiedeva attraverso un maggior controllo della flessibilità; quella flessibilità che consente ai padroni di organizzare i turni di lavoro senza conteggiare le ore reali messe a disposizione dell'azienda e che prolunga l'orario di lavoro effettivo oltre le 56 ore nominali. La delusione e la rabbia dei camionisti si appunta contro le proprie direzioni sindacali, ma inevitabilmente la pressione congiunta del fronte avverso, gli effetti disarmanti dell'accordo sindacal-governativo, e un isolamento di fatto a scala internazionale, non consentono di dare seguito ai tentativi di continuare la lotta che pure si sono dati in varie parti del paese.
Morale della favola: il governo che si appresterebbe a ridurre per decreto l'orario di lavoro a 35 ore si fa protagonista del mantenimento di un orario di lavoro superiore alle 56 ore settimanali.
Nessun turbamento da parte dei nostri sostenitori del "patto di ferro" Prodi/Jospin a favore della riduzione dell'orario di lavoro. Alle celebrazioni dell'accordo del fronte progressista francese fa eco il commento di Rifondazione: "governo (!) e lavoratori hanno tenuto testa alle pressioni del padronato... se si tiene conto delle promesse (!) governative per una regolamentazione del settore... allora si può dire che i camionisti hanno vinto (!!). Il governo e il ministro comunista dei trasporti, Jean Claude Gayssot, escono a testa alta dalla prima crisi sociale dalla vittoria elettorale di giugno".
In realtà proprio questa lotta dimostra che la riduzione dell'orario di lavoro a tavolino e per gentile concessione governativa è del tutto virtuale se rimangono in piedi tutti gli strumenti reali (flessibilità in primo luogo) che consentono ai padroni di allungare di fatto l'orario. La lotta per la riduzione dell'orario di lavoro è una battaglia che contrappone le necessità della competitività aziendale e quelle dei lavoratori: non la si può affrontare evitando di scontrarsi con i conti padronali e gli strumenti di potere (in fabbrica e fuori) a essa connessi. In secondo luogo essa dimostra come i governi che dovrebbero sancire la riduzione dell'orario di lavoro per decreto non esitano, e non potrebbe essere altrimenti, a usare tutti i mezzi, compresa la forza, per impedire che la mobilitazione operaia conquisti un reale taglio delle ore lavorative (incidendo cio sui profitti e sulla competitività aziendale), e ciò anche quando tali tagli si mantengono ben al di sopra delle 35 ore settimanali.
Ma questa lotta indica al contempo che una battaglia per la riduzione dell'orario di lavoro è realmente praticabile a condizione di affrontare apertamente la questione di fondo che la renderebbe possibile: la riorganizzazione del movimento operaio contro gli interessi del mercato capitalistico, l'unificazione delle proprie forze e delle proprie risorse a scala internazionale. Proprio quello che le proposte di legge dei neo progressisti tendono a esorcizzare in favore del fumo legislativo e della delega alle camere parlamentari delle necessita operaie.