Corea del Sud |
Lo scontro impone al proletariato
un passo avanti nella sua organizzazione
"
Giornata dell'umiliazione nazionale", così è stato definito il giorno in cui la Corea del sud ha dovuto dichiarare la sua resa all'Fmi, piegandosi ad accettare il suo aiuto. L'orgoglio nazionale ferito aveva fatto dichiarare al candidato presidente Kim Dae Jung che avrebbe, una volta eletto, rinegoziato l'accordo con l'Fmi. Ma questo "campione della democrazia", che esalta gli animi dei nostri variegati sinistri, perseguitato dalla dittatura militare, capo della rivolta di Kwanjiu, che ha conosciuto il carcere, le minaccie di morte e l'esilio, non ha dovuto aspettare l'elezione per ritirare la sua dichiarazione, giurare fedeltà all'Fmi e invocare l'orgoglio nazionale per chiedere al paese "di lavorare duro" per liberarsi dall'oppressione degli aiuti, restituendoli nel minor tempo possibile.A elezione avvenuta, Kim DJ ha provveduto anche a correggere altri punti del suo programma, accettando di far sua la proposta di facilitare i licenziamenti, che in campagna elettorale aveva combattuto, e quella di perseguitare chi è "sospettato di comunismo" o di intendersela con la Corea del nord. A chi ancora conservasse dei dubbi sul significato della democrazia è fornita l'ultima conferma: dittattura dispotica dei mercati, del capitale. Dispotica
fino al punto di imporre quale consigliere del presidente il soggetto che s'è conquistato il più genuino odio da parte delle masse proletarie dell'area, quel Soros speculatore internazionale cui sono attribuite le giocate più banditesche contro le valute locali.
Per la borghesia del sud-est asiatico si fa più difficile dichiarare guerra alla tutela sempre più soffocante dei suoi superiori gerarchici che dominano incontrastati i mercati. Rischia di essere presa tra due fuochi: l'uno l'oppressione crescente di un imperialismo dalla fame insaziabile, l'altro l'insorgenza dei proletariato, alla cui forza dovrebbe inevitabilmente far ricorso per dichiarare la guerra anti-imperialista, ma, che una volta in movimento, finirebbe con l'agire per sé stesso, per i suoi propri interessi di classe, travolgendo nella sua avanzata anche la borghesia patria e le sue speranze di riscatto entro il sistema capital-imperialista.
Per riaprire la partita con l'imperialismo contenendo i rischi dell'insorgenza proletaria, alla borghesia dell'area non rimane che tentare una coalizione tra i vari paesi, magari sotto l'egida di una potenza ragguardevole come quella cinese. La Cina va saggiando l'ipotesi. Gli Usa cer
cano di minarla con una politica volta a incrementare le tensioni e gli scontri locali.
Ma, in tutto questo, il proletariato non sta fermo, organizza anch'esso la sua trama. Le forze che erano emerse dalla tornata di lotte di inizio '97 in Corea ne danno una valida testimonianza.
Contro la resa all'Fmi sono state organizzate delle manifestazioni di piazza da parte dell' "Alleanza nazionale per la democrazia e la riunificazione della Corea", in cui svolge un ruolo decisivo il sindacato Kctu protagonista delle lotte di un anno fa.
Queste forze, e il Kctu in particolare, chiedono di rinegoziare l'accordo con l'Fmi e punire i responsabili del disordine economico, propongono al governo di tenere un tavolo di concertazione permanente tra governo, imprenditori, sindacati. Il piano è quello di un sindacato che si fa carico delle necessità nazionali, e, sembra per questo, simile alla musica cui siamo abituati in occidente. Ma il paragone con l'occidente è improponibile: qui la concertazione è la premessa a sottomettere il proletariato alle esigenze imperialiste della propria borghesia, lì rappresenta la spinta della classe a stabilire un'alleanza con la borghesia nazio
nale per la lotta a quello che appare il nemico comune, l'imperialismo. E' illusorio che la borghesia accetti il fronte comune per condurre una vera lotta all'imperialismo, ma da questa illusione il proletariato può vaccinarsi a due condizioni: 1. che trovi il suo alleato più naturale, il proletariato metropolitano, solo modo per trasformare la sua in una lotta contro l'insieme del capitalismo; 2. che in nome di quell'alleanza non rinunci a una propria autonoma organizzazione, e a un proprio autonomo programma di classe.
Sulla prima condizione non c'è nulla da aggiungere a quanto detto altre volte sullo stato attuale del proletariato occidentale, di come non riesca a esprimere neanche una significativa avanguardia che lanci un ponte reale ai suoi fratelli di classe asiatici e del resto del mondo. Sulla seconda possiamo, invece, registrare degli ulteriori passi avanti da parte del proletariato asiatico.
Intervistato da il manifesto del 31.12.97 il portavoce del Kctu ha dichiarato che quel sindacato aveva presentato, nell'ambito dell'Alleanza prima citata, un proprio candidato alle elezioni presendenziali di dicembre "perchè volevamo avviare un processo politico, l'obiettivo è di
costruire un partito che rappresenti gli interessi dei lavoratori". L'esplodere della crisi non ha ridotto l'importanza di quell'obiettivo, anzi dice lo stesso: "La situazione è cambiata. Finchè l'economia era in espansione la mobilità sociale sembrava aperta ed era facile nascondere le differenze di classe dietro l'appello al bene comune. Ora, la crisi crea una demarcazione molto più netta tra conservatori e interessi dei lavoratori. Sarà un processo lungo,, ma in Corea serve un partito laburista".
Un partito laburista, un partito dei lavoratori, questo l'ulteriore passo che le vicende finanziarie e l'oppressione imperialista impongono al proletariato coreano, e da cui esso non si sottrae. Non si sottrae dal compito urgente di darsi una sempre più decisa e autonoma organizzazione di classe, e ciò indipendentemente dal fatto se possa essere o meno l'attuale contenitore Kctu il nucleo di un vero partito di classe. Non si sottrae a collocarsi su un terreno di organizzazione e di lotta in proprio, che è anche il modo di prevenire gli effetti negativi delle disillusioni sul nerbo anti-imperialista della propria borghesia, ed è anche il modo migliore per predisporsi a un rapporto di lotta unitaria con il proletariato metropolitano.
Sempre che quest'ultimo raccolga il messaggio e si dia, a sua volta, a percorrere la stessa via di autonomia politica e organizzativa...