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Situazione politica italiana

NO A “ROMAUTONOMIA”.

SI’ ALL’AUTONOMIA DEL PROLETARIATO

No alla secessione leghista. Ricon­ferma dell'unità d'Italia su base au­tonomistica. Autonomia speciale per "Roma Capitale della Repubblica delle Autonomie". Fulmini e saette contro il Nord, impersonificato da un malefico Bossi che "vuole la guerra civile mettendo città e regioni una contro l'altra ... condannando così Roma e il Sud all'emarginazio­ne e alla povertà".

Questo è quanto si legge sui mani­festi attacchinati di recente sui muri di Roma da un nuova formazione po­litica: "Romautonomia". Il fatto stes­so che anche nella "Roma ladrona, centralista e parassitaria" iniziano a enuclearsi posizioni di questo tipo e che, su questo terreno, ci sia uno sforzo per darsi una struttura più compiuta ed organizzata, è un'ulte­riore conferma che il processo di­sgregativo dell'Italia sta arrivando al punto limite. La comparsa di "Ro­mautonomia" è altro materiale in­fiammabile versato sul terreno so­ciale, questa volta dalle classi bor­ghesi capitoline, e pronto a bruciare in chiave di contrapposizione tra proletari di diversi territori. Non è un caso che la propaganda del neo­nato partito si è concentrata nei quar­tieri di periferia e nelle borgate.

Questi contenuti autonomistici e anti-Nord, per altro, sono già da tem­po pane quotidiano per Il Messag­gero, Il Tempo, il nuovo Giornale di Roma; sono presenti nelle dichia­razioni e nei discorsi del sindaco Ru­telli, della destra come della "sini­stra" romana. Il sindaco, per esem­pio, è stato ultimamente artefice di due significative iniziative: la prima, a maggio, è consistita in un pompo­so convegno dal titolo "Roma possi­bile", che ha chiamato a raccolta gli alti vertici dello stato e i massimi esponenti del padronato pubblico e privato; la seconda, a giugno, è stata una manifestazione di piazza in un quartiere proletario di Roma al grido di: "Tutti a S. Basilio il 2 giugno contro chi odia Roma".

Al convegno si è ribadito di voler continuare a mantenere la tradizio­nale rendita di posizione della città nei confronti dello stato centrale sia per il suo ruolo di Capitale (sancito e rafforzato anche dalla stessa Bica­merale) che per gli investimenti ne­cessari per il Giubileo e le Olimpia­di. Nella piazza principale di S. Ba­silio il bel Francesco si è cimentato sul terreno dell'agitazione contro Bossi e il Nord. Nel suo discorso ha dichiarato: "Roma non è ladrona... e farà sentire la propria voce nei con­fronti di chi pretende di separarla dal destino del popolo italiano. (...) Roma riceve dallo Stato in propor­zione molto meno delle altre città d'Italia, anche se un romano paga molte più tasse di un veneto".

Nell'attuale caos politico italiano entra in gioco, insomma, anche la borghesia romana lanciando il pro­prio programma. La denuncia contro lo stato burocratico e succhione e contro le banche fameliche e oppres­sive che scippano l'intera ricchezza di Roma, non è solo una semplice rivendicazione economica per poter disporre e gestire maggiori risorse per sé, ma è, soprattutto, un potente amo politico che viene lanciato ai proletari. In pratica si dice: se Roma rimane la capitale, e lo stato e le banche ci lasciano in pace, noi tutti cittadini romani ci possiamo salvare, anche tu operaio, anche tu lavoratore del pubblico impiego o dei servizi, anche tu donna o giovane disoccu­pato; se Roma saprà valorizzare il proprio patrimonio artistico e curare la propria immagine, noi tutti citta­dini romani, grazie al turismo, pos­siamo stare tranquilli e vivere di ren­dita.

Dall'attuazione di un progetto del genere, i proletari ricaveranno in re­altà, all'immediato, solo lavori ultra­precari, flessibili e a tempo determi­nato, e in prospettiva (non molto lon­tana) la destrutturazione e lo scom­paginamento del proprio tessuto connettivo di classe. Già la ristruttu­razione che ha colpito il nucleo in­dustriale della Tiburtina ha dimezza­to in pochi anni la forza della classe operaia (da 10mila a 5mila lavorato­ri), e fatto nascere centinaia di pic­cole aziende sparse sull'intera area metropolitana con organici al di sot­to delle 15 unità. Questo ha portato a una situazione pesante di ricatto e aumento dello sfruttamento in fab­brica, e a un aumento della disgrega­zione nella società, principalmente nei quartieri più proletari.

Qui, l'aumento del consumo di droghe (una ricerca ha accertato che un ragazzo su cinque a Roma usa droghe sintetiche, per non parlare delle altre), della prostituzione (non c'è ormai viale di periferia dove la prostituzione non venga praticata), del piccolo delinquere (furti, scippi, spaccio di quartiere), dell'emargina­zione sociale diffusa (dagli anziani soli, ai senza fissa dimora, dalle sem­pre più diffuse malattie psichiche e mentali fino ai campi/ghetto in cui le comunità rom sono state confinate al di fuori del Grande Raccordo Anula­re), sono lì a dimostrarcelo con mol­ta evidenza. Addirittura, anche nei quartieri che nel recente passato ve­nivano considerati "rossi", si verifi­cano sempre più spesso atti di razzi­smo verso i proletari immigrati o im­provvise fiammate di violenza cieca (sia individuale che di gruppo); an­che in queste zone molti vivono or­mai con un senso di smarrimento, vuoto e solitudine (con annessi sui­cidi) e le giovani generazioni simpa­tizzano per l'estrema destra.

Il processo che si sta verificando a Roma è simile a quello già visto a Napoli dopo la chiusura dell'Italsi­der di Bagnoli (e che si vorrebbe riproporre a Venezia con la chiusura del Petrolchimico di Portomarghe­ra). Accettare il disegno borghese di smantellamento dell'apparato pro­duttivo e industriale per creare lavo­ro nel turismo nella cultura e nei ser­vizi, significherebbe indebolire an­cor di più la forza organizzata del proletariato, dato che questa richie­de, come sua base, un nucleo consi­stente di classe operaia centralizzata e non dispersa nel territorio in mille piccole aziende.

Se il turismo diventerà, come di­cono, "la vera industria di Roma", ai lavoratori sarà richiesto anche di mantenerne alta l'immagine, e dun­que di non metterne in discussione la pace e l'ordine sociale, che dovran­no regnare sovrani. Se poi qualcuno provasse ad incepparne il meccani­smo, non pioveranno pietre ma veri e propri sampietrini! (Vedi le richie­ste del Podestà Rutelli in occasione di uno sciopero organizzato senza preavviso dagli autisti dell'Atac nel marzo scorso: licenziamenti per le avanguardie di lotta, provvedimenti  disciplinari e ammende economiche per tutti gli oltre duemila lavoratori che incrociarono le braccia).

Di fronte a tutto questo, cosa fa il "riformismo" politico e sindacale? Non solo non pone un argine all'at­tuale deriva, ma sta diventando esso stesso agente attivo della disgrega­zione, anche attraverso la sua divi­sione in mille rivoli particolaristici e ringhiosi. La Camera del Lavoro di Roma si divide in sette C.d.L. terri­toriali! Cgil-Cisl-Uil regionali chie­dono di "accelerare il processo di decentramento del Collocamento agli enti locali" (il che si pone bene in linea con quello che chiede la sun­nominata "Romautonomia", e cioè che nel futuro assetto istituzionale "la contrattazione sindacale sarà lo­cale e non più nazionale"). Se poi viene indetto uno sciopero generale nazionale e a livello locale si ritiene che esso potrebbe arrecare danno al­l'immagine della propria città, allora diventa giusto e normale staccarsi dal fronte unitario di lotta di tutti i lavoratori italiani e rinviare l'inizia­tiva (così come è successo per lo sciopero degli autoferrotranvieri concomitante alla venuta a Roma del C.I.O. per vagliare la candidatura della città a sede delle prossime Olimpiadi del 2004, fatto già da noi denunciato sul n. 41 di che fare).

Se devastante sarebbe una con­trapposizione aperta e sul campo tra lavoratori unitaristi in difesa dello Stato nazionale e lavoratori seces­sionisti per la Padania o quant'altro, non meno nefaste sono le proposte in salsa autonomista e "di sinistra". Perché sia il secessionismo che l'au­tonomismo hanno alla base un co­mune denominatore: chiamano i la­voratori alla rinuncia alla lotta per sé, e indicano una strada che è lotta fratricida tra proletari sotto bandiere non proprie, false e reazionarie. La bandiera di tutti gli sfruttati e op­pressi del mondo è una sola: è la bandiera rossa! Compagni, lavorato­ri, giovani, facciamola volare di nuo­vo alta!

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