Febbre da casinò
Le feste di partito sono estremamente istruttive per ciò che sta accadendo nella classe operaia del Nord.
Mentre quelle del movimento leghista ci presentano un'occasione di partecipazione e mobilitazione unitaria di "popolo", cioè un'occasione di sentire e vivere collettivo, le feste "riformiste" mostrano un volto disaggregato di "plurimi soggetti" indipendenti tra loro (talché Bertinotti si sente in dovere di rivolgersi ai gay o agli spinellati -con "Cannabis" che ha a disposizione un suo banchetto- in quanto "parte a sé" da convogliare nel serbatorio-voti parlamentare).
E mentre la Lega orgogliosamente fa da sé, rivendica per sé stessa un proprio ruolo esclusivo "contro tutti" (fattore di educazione per eccellenza), un Bertinotti non può fare a meno di apparecchiare tavole rotonde con preti e laici di tutte le risme e con la conduzione del "confronto" affidata ai Vespa e ai Costanzo a marcare che non c'è un centro di gravità permanente, ma millefiori -appestati- intenti a fiorire l'uno accanto all'altro e, semmai, a comporsi di volta in volta in mazzi incoerenti e instabili.
Il Pds, tuttavia, un terreno di ricomposizione unitario per i non pochi operai, disoccupati, oppressi, immigrati che continuano a ritrovarsi (sempre più passivi) nelle sue feste, sembra averlo trovato: la ruota della fortuna. Cos'è questo, se non una confessione d'impotenza del proprio stesso sogno "riformatore"? E cosa dovrebbero fare i proletari, accettare questa resa con rassegnazione?