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Marghera: RITROVIAMO

LA FIDUCIA NELLA LOTTA!

Negli ultimi mesi, anche tra i lavo­ratori si sta facendo strada la consa­pevolezza che, per davvero, è in gio­co la chiusura totale del Petrolchimi­co e l'ulteriore ristrutturazione del polo industriale di Portomarghera.

Il decreto Ronchi, infatti, prevede drastiche limitazioni agli scarichi in­dustriali in laguna e parametri che, se applicati, avrebbero come diretta conseguenza la chiusura di interi comparti produttivi. E i relativi posti di lavoro, che fine farebbero? Niente paura, assicurano alcuni esponenti della "sinistra" e gli ambientalisti: li rimpiazzeremo con "lavori puliti", quelli portati dall'estensione all'area veneziana del "mitico modello del nord-est". E cioè di un tessuto di piccole e medie imprese (il 90% del­le aziende venete ha meno di 10 di­pendenti) nella maggior parte delle quali è assente il sindacato e ogni rispetto delle più elementari misure di sicurezza. Queste le "attività eco­nomiche" "non inquinanti" tanto care a certa "sinistra" e ai verdi!

Il futuro che essi auspicano per il polo di Marghera è quello che i lavo­ratori metalmeccanici della Fincan­tieri stanno già verificando a proprie spese. In questa fabbrica sta sfon­dando il caporalato e la parcellizza­zione infinitesimale del lavoro. Un recente documento di Fiom, Fim e Uilm denuncia che all'interno della Fincantieri, la fabbrica in cui si co­struiscono le più belle navi del mon­do (la cui bellezza è direttamente proporzionale alla bruttezza delle condizioni di sfruttamento degli operai che vi lavorano), sono pre­senti ben 150 imprese subappaltatri­ci con 1.600 dipendenti senza alcuna garanzia, con orari di lavoro che rag­giungono le dodici ore giornaliere ed un salario mensile di 1.300.000 lire. Già oggi, inoltre, quello che si è co­minciato a fare nel comparto mecca­nico sta passando nel settore chimico. All'interno dell'Enichem, per es., si discute la possibilità che lavori finora gestiti da una sola azienda pas­sino nelle mani di piccole imprese subappaltatrici (come si intende fare alla Soico).

Sempre più pressantemente ai la­voratori di Portomarghera si impone di difendere la propria unità organiz­zata e di impedire l'ulteriore smem­bramento di quel tessuto unitario che ha consentito alla classe operaia di Marghera di resistere, in qualche modo, ai continui attacchi padronali. Questa difesa non è in contrappo­sizione con quella della propria salute e dell'ambiente. Anzi: fin­ché i due termini saranno posti in contrapposizione, e non invece come due anelli della stessa catena, non ci potrà essere una difesa veramente coerente degli interessi dei lavorato­ri né sull'uno e né sull'altro terreno.

Nonostante alcuni organismi sin­dacali (Fulc, Fiom, Rsu) ed alcuni esponenti del PDS del Petrolchimi­co rilevino l'intensificarsi dell'attac­co, poi nel momento in cui si tratta di dover dare una risposta, finiscono col riporre nuovamente la difesa de­gli interessi dei lavoratori nelle isti­tuzioni, e sopratutto nel governo e nella magistratura. Ma né l'uno e né l'altra possono sostituire la forza proletaria. Al contrario: devono es­sere presi di mira da essa, in quanto sono parte integrante del fronte bor­ghese che vuole smantellare Porto­marghera.

Proprio in questi giorni è iniziato a Venezia il processo per le morti al Petrolchimico. La spinta di quei la­voratori e familiari che vogliono ve­dere puniti i responsabili è giusta e sacrosanta, ma essi non potranno ri­cevere alcuna soddisfazione da chi, per tanti anni e su tante vite proleta­rie falcidiate dalle imprese, è stato sordo e ha chiuso gli occhi su tutto. Dov'era poi la magistratura quando, in soli cinque anni (`81-'85), la per­dita del posto di lavoro ha distrutto la salute e la vita di 50 cassintegrati morti per suicidio? La lotta contro la nocività in fabbrica non può essere messa nelle mani del giudice Casson. Anzi, senza questa lotta e la sua con­giunzione con quella a difesa del po­sto di lavoro, il processo rischia di diventare una scure sulla classe ope­raia, favorendo l'espulsione dalla fabbrica di altri lavoratori.

Per quanto riguarda il governo Prodi, dovrebbe far riflettere il fatto che esso è il padre del decreto Ron­chi; che, subito dopo la nomina del min. Costa, Marghera è stata esclusa dai primi finanziamenti statali per le "aree di crisi" e che, probabilmente, non potrà neanche fruire di quelli eu­ropei.

Fino a quando vogliamo delegare ad "altri", a questo o a quel reparto del nostro nemico, la difesa dei nostri interessi proletari?

E' ora di prendere nelle nostre mani la risoluzione dei problemi di Marghera, facendo con la lotta ciò che in parte si è già fatto con la lotta stessa: imporre ai padroni i costi delle misure antinquinamento per mi­gliori condizioni di vita in fabbrica. La lotta contro la nocività e le morti sul lavoro non può e non deve essere disgiunta dalla difesa intransigente di tutti i posti di lavoro e da un'azione comune con i lavoratori della Fin­cantieri contro la deregolamentazio­ne degli orari di lavoro e del salario. La battaglia dei lavoratori del Petrol­chimico deve vedere in campo gli operai di tutto il polo industriale, nonché l'intero proletariato, contro le sirene localistiche e federalistiche, in difesa dei propri autonomi interes­si di classe !

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