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Da Udine

Il 3 agosto la polizia, con armi in pugno e sprovvista di mandato, ha effettuato un'irruzione nella sede udi­nese dell'USI che, al piano superiore, ospita un gruppo di immigrati albane­si "regolari, con la motivazione di essere alla ricerca di uno spacciatore (ovviamente non "scovato"), ragion per cui ha intanto messo a soqquadro la sede stessa.

A questa notizia un'altra se ne ag­giunge, sulla stessa lunghezza d'onda.

La sede del Centro Sociale di Via Volturno, sita in una palazzina abban­donata, ed in cui trovano alloggio, oltre i componenti del suddetto centro "libertario" degli immigrati -preva­lentemente africani- è stata oggetto di un lancio di bottiglie molotov diretto contro l'abitazione di detti immigrati. E' stata fortunatamente evitata una carneficina, ma il segnale è ben chi­aro. Inutile dire che la polizia si è subito mobilitata... per mettere sotto più stretto controllo gli immigrati e predisporre il clima adatto all'evacuazione del Centro.

Contro questo genere di azioni, e per la riaffermazione del diritto degli immigrati a vivere, organizzarsi e lot­tare è stata indetta per l'11 settembre una manifestazione cittadina, per la cui preparazione anche i nostri com­pagni si sono impegnati, prodigandosi in primo luogo nello sforzo di con­vogliare in essa il maggior numero possibile di proletari "autoctoni" e premendo in tal senso verso i consigli di fabbrica della provincia.

Al corteo, che si è svolto per le strade della città e si è caratterizzato per parole d'ordine inneggianti all'unità tra proletari bianchi e di colore, hanno preso parte circa 500 manifestanti, di cui alcune decine im­migrati.

Si tratta di un primo tentativo di far uscire dal ghetto la popolazione immi­grata, anche qui in crescendo, e di stabilire un concreto contatto tra essi ed il proletariato della zona, sottopos­to al più duro attacco da molti anni a questa parte ai propri livelli d'occupazione e, al tempo stesso, ad un (non troppo) sottile ricatto volto a dividerlo al proprio interno ed a contrapporlo, addirittura, all'immi­grazione "ruba-lavoro".

 

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