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BOTTA E RISPOSTA CON ALCUNI DEI TANTI OPERAI CHE HANNO VOTATO SI

Riportiamo qui di seguito un dialogo tra alcuni operai e alcuni compagni della nostra Organizzazione. Immaginario? In realtà un'estrema sintesi di dialoghi che si sono realmente svolti durante e dopo la campagna referendaria

Noi: Allora, il SI ha vinto...

M.:...ed è stata la cosa migliore. Con la valanga dei SI si è almeno fatta piazza pulita di tutto un siste­ma che non poteva offrirci più nien­te. La vittoria del NO avrebbe si­gnificato il mantenimento di questo sistema di potere, di queste regole del gioco. Con il SI abbiamo alme­no chiuso un'epoca. Come ha detto Occhetto, ora la porta del cambia­mento è aperta...

Noi: Già, ma quale tipo di cam­biamento? Sia gli industriali sia gli operai hanno votato SI per cambia­re: ma in direzioni opposte!

M.: Indipendentemente da que­sta diversità, è oppure no un inte­resse comune farla finita con i la­droni come Craxi, Gava, Pomicino, Andreotti, etc., che ci hanno man­dato alla rovina?

Noi: Certo che dobbiamo farla fi­nita con un sistema di potere che per quarant'anni ha garantito il nostro sfruttamento! Ma attenzione. Non fi­diamoci delle apparenze. Per i pa­droni fare piazza pulita significa qualcosa di molto diverso da come lo intendiamo noi. Per loro significa ristrutturare l'apparato statale per renderlo ancor più efficiente nell'at­taccare e nel soggiogare il proleta­riato.

E' da tempo che i padroni si sono dati da fare in questo senso. Oltre a volerci imporre una fabbrica "giap­ponese", vogliono farla finita con la possibilità che il proletariato faccia sentire la propria voce sulle decisio­ni del governo e del parlamento. Vo­gliono un governo che agisca solo e soltanto in funzione degli interessi capitalistici, senza fare troppe me­diazioni con la classe operaia. Persi­no il sistema di potere democristia­no, che per quarant'anni li ha serviti (e come!), gli appare, di fronte alle esigenze imposte dalla concorrenza internazionale, fin troppo compro­missorio con le "esigenze popolari". Vogliono un ceto politico "nuovo" e "efficiente"; più onesto? Può anche darsi. Di sicuro più ferreo nel far valere gli interessi capitalistici contro la classe operaia! E' questa la sola ed unica "novità" che interes­sa al padronato!

 P.: Certo, ci sono forze che vor­rebbero un regime forte e autorita­rio; che hanno spinto a buttar giù la prima repubblica per fare qual­cosa di peggiore per i lavoratori. Ma noi non staremo con le mani in mano. Dobbiamo darci da fare affinché il cambiamento vada in una direzione a noi favorevole: affinchè permetta di difendere il posto di la­voro, il salario, ...

Noi: ...e come ritieni che ciò possa avvenire?

P.: Dovremo lavorare per co­struire uno schieramento di sinistra che sia capace di battere le spinte di destra. La nuova legge elettorale sarà un incentivo in questo senso, in quanto obbligherà le forze della sinistra, finora divise e litigiose, ad aggregarsi in un unico polo capace di competere per conquistare la guida del paese. Con la proporzio­nale non siamo e non saremmo mai stati in grado di arrivare a questo risultato. A meno di non essere sui­cide, le forze della sinistra saranno ora costrette a unirsi e può darsi che si riesca così a farcela...

 Noi: Ragioniamo. Quali sono que­ste forze della sinistra? Chi dovreb­be partecipare a questo polo "pro­gressista"? I "progressisti" alla Se­gni? Ma a sponsorizzare Segni ed i suoi non è stata forse la Confindu­stria? e 'sto Segni non è lo stesso che ha votato i provvedimenti di Amato contro di noi? Oppure i "progressi­sti" della Lega, che vogliono, tanto per dirne una, reintrodurre le gabbie salariali, con tutto quello che ciò comporta in termini di divisione e di indebolimento della unità e della compattezza della classe operaia? I capi della Lega non ce l'hanno scrit­to in fronte che a loro quello che interessa è la difesa dei conti in ban­ca di padroni e padroncini, commer­cianti e parassiti varii della Padania, quelli stessi del resto che hanno fatta forte la Lega? O pensiamo forse di poter trovare una sponda nei Verdi, pronti a difendere tutte le specie ani­mali ma mai la "specie" operaia? Come potranno queste forze mar­ciare insieme a noi? In autunno, in inverno, non sono state certamente con noi contro il governo Amato!

Ed è proprio questo uno dei punti fondamentali: al di là delle sigle po­litiche, con quali forze sociali si do­vrebbe costruire questo polo di sini­stra?

 G.: Ci rendiamo conto che l'ag­gregazione di forze è utile quando c'è convergenza di interessi. E noi vogliamo porre al centro le nostre condizioni di vita e di lavoro, cose che non sono diverse per un lavora­tore che finora ha votato PDS o Rifondazione o PSI o DC. Ora che è finita l'epoca delle contrapposizio­ni ideologiche e che questi due ulti­mi partiti sono in grave crisi, i lavo­ratori possono ritrovarsi in un pro­prio schieramento che ponga al centro non discriminazioni ideolo­giche astratte, ma interessi concre­ti e proprio per questo unificanti.

Noi: Certo, l'unità dei lavorato­ri! Questa è una delle nostre armi fondamentali. Non a caso il padro­nato cerca di minarla in tutti i modi, con tutti i mezzi. Ma quest'unità che cavolo c'entra con le regole elettora­li? Si realizza solo nella lotta, si realizza sul campo dello scontro di classe, e da nessun'altra parte. In autunno, nei grandi scioperi con­tro la manovra Amato, non abbiamo realizzato l'unità di tutti i lavoratori? Ed è stata un'unità reale, non fittizia. Reale perchè nella lotta abbiamo scoperto di avere un medesimo inte­resse, un medesimo nemico. Reale soprattutto perchè era cementata dal­l'organizzazione della mobilitazione.

L'unità non è mettere insieme i voti di tutti gli operai. L'unità che ci deve interessare è l'organizzazione uni­taria della nostra lotta e della no­stra forza. Altrimenti i comuni inte­ressi non possono essere fatti valere.

P.: D'accordo, ma se nell'autun­no scorso avessimo avuto a disposi­zione un meccanismo elettorale maggioritario avremmo potuto far pesare questa unità di lotta anche sul piano politico e formare un go­verno a noi favorevole. Purtroppo non era così ed è anche per questo che siamo stati battuti. Alla tornata elettorale che si annuncia abbiamo la possibilità di non ripetere lo stes­so errore. Certo per conquistare la maggioranza e andare al governo dovremo allearci anche con altri settori sociali che, pur non avendo i nostri stessi interessi, possono con­vergere con noi. Ad esempio certi imprenditori sono interessati come noi al risanamento dell'economia, perché da esso dipende sia il man­tenimento dell'occupazione e il po­tere di acquisto dei salari, che la sopravvivenza delle loro aziende. Da questo punto di vista non è che Ciampi non abbia ragione. Non dobbiamo avere paura di allearci con queste forze sociali e con le cor­rispondenti rappresentanze politi­che. Convergendo in uno stesso polo che conquista il governo, fare­mo pesare i nostri voti per fare in modo che il risanamento delle aziende si traduca in effetti positivi anche per noi, non solo per i profit­ti.

Noi: Il problema delle alleanze sociali esiste, e la classe operaia deve farci i conti. Ma attenzione: nessuno fa niente per niente. Una parte degli imprenditori o dei ceti medi accette­rà di allearsi con noi solo se cedere­mo alle loro richieste, solo se rinun­ceremo ad alcune nostre trincee.

Ad esempio: un Abete si dice di­sponibile a collaborare con la classe operaia, se questa accetta di fare sa­crifici per risanare l'economia nazio­nale. Ma dove ci porterebbe ciò? Permetterebbe di salvaguardare i sa­lari e i posti di lavoro? Assoluta­mente no. Sono quindici anni che facciamo sacrifici in attesa di future riprese e poi, anche quando queste arrivano, i padroni non la smettono di chiederci altri sacrifici.

Sono in molti a dire: la "moraliz­zazione" delle istituzioni e della pub­blica amministrazione permetterà di rendere più efficiente l'economia na­zionale, così lltalia potrà guadagna­re terreno sul mercato mondiale e assicurare così benessere per tutti. Ma questo potrebbe essere vero, al limite, se la crisi economica fosse solo italiana; se dipendesse solo da qualche particolarità del nostro pae­se. Invece anche gli altri paesi euro­pei sono in crisi. Perfino la Germa­nia. Perfino il Giappone. E anche gli Stati Uniti non stanno molto meglio. Clinton è un pallone che già si sta sgonfiando.

Così, il ritornello che i nostri pa­droni vogliono farci imparare a me­moria è lo stesso identico motivo che i padroni tedeschi, quelli francesi, quelli americani suonano per i "pro­pri" operai: "legatevi alle esigenze delle vostre aziende, difendete la no­stra economia, salvate la nostra na­zione!". Ma accettare questo ritor­nello significherebbe metterci in strenua concorrenza con altri operai come noi, fare a gara a chi si fa sfrut­tare di più dai propri carnefici. Oggi una gara "pacifica", in cui comunque noi ci rimettiamo la salute, una parte del salario, in molti casi il lavoro e anche la pelle. E poi magari domani una gara ... di guerra vera e propria!

No, i nostri interessi come pro­letariato non sono, non possono essere comuni a quelli dei nostri padroni. Al contrario, un comune interesse ci lega ai nostri compa­gni operai indipendentemente dai confini nazionali di residenza. E se non vogliamo stare peggio, l'uni­ca strada che abbiamo è far pesare la nostra forza contro chi ci sfrutta, con­tro i governi che ci attaccano. E' or­ganizzarci insieme agli operai ed agli sfruttati di tutto il mondo. Che, a proposito di numeri reali e di mag­gioranze reali, sono miliardi! Miliar­di di sfruttati, che si stanno organiz­zando, che stanno lottando, ovunque, anche qui a due passi da noi, in Ju­goslavia, nelle condizioni più terri­bili. Ed è veramente gravissimo che di questo non se ne parli mai!

M.: Si, va bene, ma parlando di cose concrete valide per oggi, voi dimenticate che qui in Italia i nostri alleati privilegiati sono quei ceti medi progressisti che da sempre hanno fatto riferimento ad uno schieramento popolare e democra­tico. Insieme ad essi, noi lavoratori raggiungeremmo la maggioranza...

Noi: Veniamo anche all'alleanza con i ceti medi. E' vero che durante i decenni scorsi guardavano con sim­patia al PCI e alla sinistra in genere. Ma perchè? E ora, come si stanno muovendo?

Quando l'economia andava a gon­fie vele, i ceti medi avevano interes­se a avvicinarsi alla classe operaia, in quanto con la sua lotta essa dava anche a loro la possibilità di miglio­rare la propria condizione non suffi­cientemente valorizzata dal dominio esclusivo del grande capitale. Oggi che la crisi economica capitalistica avanza a passi da gigante, i ceti medi hanno interesse a vedere aumentati i profitti estorti alla classe operaia, così da ridurre o eliminare i sacrifici di cui anche loro si dovrebbero far carico per risanare l'economia na­zionale. Non abbiamo visto in au­tunno come si sono mobilitati non appena, sotto la spinta delle nostre lotte, il governo Amato ha introdotto la minimum tax? E cosa hanno fatto non appena Ciampi ha nominato alle Finanze un economista del PDS?

Con ciò non vogliamo dire che avremo sempre il 100% delle "classi intermedie" contro di noi. Però una cosa è sicura: quanto più saremo de­boli, quanto più andremo incontro alle loro esigenze ed a quelle del­l'economia nazionale" -che poi è l'economia delle loro tasche-, tanto più gli strati medi si coalizzeranno con il grande capitale contro di noi. Tanto più saranno un'arma nelle mani di industriali e finanzieri per spingerci nell'angolo.

Queste mezze calzette stanno sem­pre con chi è più forte. Per cui solo se saremo forti nello scontro di classe, potremo impedire che si àt­tivizzino contro la classe operaia, e persino attrarne nel nostro schiera­mento alcuni strati, quelli costituiti dai lavoratori salariati.

G.: Se non ho capito male, voi riproponete la prospettiva del par­tito di classe. Ma non vi rendete conto che il sistema dei partiti è an­dato in frantumi e con esso, pur­troppo, anche la nostra prospettiva. Qui, se non ci adeguiamo ai tempi, saremo perdenti un'altra volta!

 Noi: Gli industriali e i loro "nuo­vi" galoppini politici fanno un gran chiasso sul fatto che è ora di mettere da parte i partiti. Ed essi cosa fanno? L'opposto! Stanno in tutti i modi raf­forzando la loro più importante or­ganizzazione politica che è lo stato.

Si riuniscono, discutono a destra e a manca su come difendere meglio i loro interessi di classe e già sono arrivati alla conclusione che per usci­re dalla crisi senza metterli in di­scussione hanno un solo mezzo: met­tere k.o. la classe operaia.

Certo, ora stanno liquidando il Psi, una parte della Dc, del Pli, del Psdi, etc., però nello stesso tempo stanno mettendo in piedi nuovi par­titi che certamente operai non sono: la Lega, il "movimento" di Segni, la "nuova" Dc di Martinazzoli, il "par­tito" di Cossiga, quello di Amato-­Pannella, etc. Certo, dovranno esse­re meno costosi, ma non si tratta for­se di altri partiti borghesi? Certo, li­tigano tra di loro perché si contendo­no il potere, ma nessuno si sogna neppure di notte di prendere a riferi­mento i nostri interessi.

Nel frattempo, e l'abbiamo visto con Amato, il padronato sta facendo in modo che i governi dipendano sempre più direttamente dal potere economico centrale e che il parla­mento conti sempre di meno; il resto cercheranno di farlo man mano che riusciranno a far abbassare la guar­dia alla classe operaia. E mentre i padroni si centralizzano sempre più e rafforzano la loro organizzazione di partito: noi, cosa dovremmo fare? Dovremmo sciogliere la nostra e confluire in uno schieramento inter­classista?

P.: ma oggi allora cosa dobbia­mo fare? Dobbiamo rinunciare a trovare una strada per porre la no­stra candidatura alla guida politica del paese? Dobbiamo stare all'op­posizione come prima?

 Noi: Per noi la questione del pote­re è decisiva. Ma il fatto è che una condivisione delle leve del potere tra sfruttatori e sfruttati non è possibile. Per cui il problema si pone, in ultima analisi, in questo modo: o il potere sta nelle mani degli sfruttatori, o sta nelle mani degli sfruttati quan­do questi hanno messo sotto, con la forza, gli sfruttatori.

Oggi il potere non è certo nelle nostre mani. Ma questo non vuol dire che non possiamo e non dobbia­mo far valere il nostro peso, il nostro "potere" di classe da cui comunque dipende tutta la produzione, e quindi tutta la società. Anzi. Ma per farlo valere dobbiamo prima di tutto organizzarci e lottare unita­riamente sul piano sindacale, come abbiamo cominciato a fare dallo scorso autunno e da cui non dobbia­mo decampare. Le lotte condotte da settembre fino a ora -come tutta la tradizione di lotta ormai bisecolare del movimento operaio- hanno di­mostrato che la classe operaia ha la forza sufficiente a condizionare qua­lunque governo, conservatore e "pro­gressista". E così sarà anche nella "seconda" repubblica, a partire da quello che intende inaugurarne il varo, il governo Ciampi. Si tratta, adesso, di non disperdere o conge­lare questa forza ma di farla pe­sare ancora di più. E questo può essere fatto solo se lavoriamo a raf­forzare e a estendere l'organizzazio­ne unitaria degli operai. Solo svilup­pando anche una lotta politica con­tro la linea sindacale di subordina­zione degli interessi operai a quelli dell'economia nazionale e per affer­mare le nostre necessità.

Altrimenti, invece di "diventare maggioranza" ed andare al governo con le nuove regole, rischiamo di prendere delle legnate di quelle du­rissime e per giunta di trovarci, sen­za neppure avere il tempo di accor­gercene, in situazioni di guerra che saremmo noi proletari a pagare.

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