UN FLASH SUI PRIMI RIFLESSI AD OVEST


Una disamina esauriente della "questione tedesca" che fosse finalizzata ad intendere quali sono le difficoltà che si frappongono sul cammino verso la unità del proletariato tedesco in quanto classe per sé, richiederebbe, secondo il metodo proprio al materialismo storico, di risalire indietro nel tempo, là dove sono poste le radici economiche ed "ideali" della situazione attuale; e quindi, per lo meno, alla ricostruzione post-bellica avviata nel '47 e poi, necessariamente, alla rivoluzione del '18-'l9 ed al tormentatissimo periodo che è seguito alla sua sconfitta; se non ancora più "indietro", al peculiare modo di formazione del capitalismo in Germania. In questo numero del giornale, però, in considerazione della estrema confusione che regna in materia, abbiamo preferito, anche a costo di apparire parziali, dichiarare anzitutto quale è la nostra analisi della crisi della RDT e nella RDT e quale è la posizione internazionalista sulla riunificazione della Germania e nei confronti del rilancio dello sciovinismo anti-tedesco (e tedesco). Vogliamo assicurare comunque i nostri lettori che torneremo quanto prima sull'intera questione, esplicitando quell'inquadramento storico e teorico che in queste pagine è dato in larga misura per presupposto.

La medesima avvertenza valga anche per questa breve nota sulla stagione contrattuale che sta per cominciare nella RFT. Si tratta di un semplice flash su di un problema - come la classe operaia dell'Ovest vive, nel suo rapporto con il capitale, la repentina accelerazione del processo di riunificazione - che meriterà "servizi" di assai più ampio respiro.

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La borghesia tedesco-occcidentale è stata particolarmente pronta nel condensare davanti al proprio proletariato, la "lezione" del crollo del Muro di Berlino e le prospettive che dopo di esso si sono aperte. Lo ha fatto, più o meno, nei seguenti termini: "Questa è l'ennesima prova della superiorità del mercato, della "libertà" e della democrazia, nonché del fallimento del socialismo. Ma è qualcosa di ancora più importante per noi tedeschi: ci apre le porte del sogno di una patria finalmente riunita. Questa straordinaria opportunità deve portarci a mettere più che mai al di sopra degli interessi particolari il supremo bene comune della nazione tedesca. Ora la cosa più importante e prioritaria è risollevare le sorti dei nostri connazionali dell'Est. Questo impegno ha un costo, e questo costo dovrà essere responsabilmente accettato da tutta la Repubblica federale. Anche la classe operaia deve fare la propria parte, autolimitando in termini ragionevoli le proprie rivendicazioni economiche, sindacali, etc.".

Non che nei mesi scorsi la Confindustria tedesca (BDI) si fosse segnalata per posizioni "dialogative" verso le attese della classe operaia, al contrario: essa era già fortemente intenzionata a prolungare la redistribuzione "alla rovescia" della ricchezza sociale tipica degli anni '80 e a consolidare ed estendere quanto in termini di flessibilità della forza-lavoro è già riuscita a conseguire, agitando anche il suo tradizionale mezzo di ricatto anti-sindacale: la serrata. Ora essa ha aggiunto un'altra importante freccia al proprio arco: "l'aiuto della RDT". Sicché la sua posizione alla vigilia del rinnovo contrattuale che riguarda i metalmeccanici, i lavoratori dei trasporti e delle comunicazioni, è particolarmente rigida. La componente più "moderata" degli industriali si dichiara disponibile sì a concedere aumenti salariali, naturalmente legali alla produttività ed in forma di premi e di una tantum, purché il sindacato rinunci a qualsiasi richiesta di riduzione dell'orario di lavoro ed accetti di modulare l'orario di lavoro - non ridotto - secondo l'andamento della congiuntura.

La crescente enfasi posta sul rischio di una fiammata inflazionistica nell'economia tedesca, però, sembra destinata a ridurre i margini di manovra per un'intesa tra BDI e DGB, a meno di scaricare "all'italiana" parte dei costi dei contratti sul deficit statale, ovvero, in parole povere, sugli stessi lavoratori, soluzione questa che troverebbe comunque consistenti ostacoli nel fronte capitalistico da parte della Bundesbank.

Previsione certa, dunque, di un forte scontro sociale? No. Anzitutto perché il capitale tedesco ha alle spalle alcuni anni di buoni, se non ottimi profitti. In secondo luogo perché può contare sulla... flessibilità della direzione politica prima ancora che sindacale social-democratica (Lafontaine, cancelliere designato in pectore per la SPD, si è segnalato per i suoi attacchi al "corporativismo" sindacale, facendosi alfiere - per usare le parole del presidente del sindacato IG Metall - "di ciò che vuole la Ford"). Ed infine perché, anche qui con il sostanziale accodamento della SPD ai diktat della CDU sui termini dell'unione monetaria con la RDT, la borghesia tedesca propone sempre più apertamente un "patto" ai propri lavoratori teso a scaricare sul proletariato dell'Est la massima parte dei "costi dell'unità", facendo attenzione - evidentemente, e la cosa non è semplice - a non innescare ulteriori e più duri conflitti di classe all'Est.

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La classe operaia tedesco-occidentale arriva a questo difficile svolto politico prima che sindacale con una relativa tenuta, se si fa un paragone con le altre maggiori nazioni europee, della propria forza e delle proprie condizioni di vita. Dal 1980 ad oggi il potere d'acquisto dei salari operai è lievemente aumentato (+2%), benché la disoccupazione (che incide sulla massa salariale totale) resti tuttora abbastanza alta. C'è stato un calo del tasso di sindacalizzazione, ma meno accentuato che in G. Bretagna o in Italia. È stata conquistata, dopo i forti scioperi del 1984, una limitata riduzione dell'orario di lavoro (passato dalle 1698 ore pro-capite in media del 1984 alle 1660 del 1987), benché di rimando i padroni siano riusciti ad imporre, su vasta scala, la regola della completa subordinazione della forza-lavoro alle esigenze aziendali, cosa questa che intacca la capacità di tenuta dell'organizzazione operaia sui posti di lavoro, e degli incrementi salariali alla crescita della produttività.

Questo retroterra immediato contraddittorio, certo, epperò non depressivo (si consideri, anche, che nella RFT il sindacato è praticamente unico, e dunque è risparmiato ai lavoratori il calvario delle trattative preliminari tra sindacati tipico dell'Italia o delle sistematiche divisioni tra sindacati tipiche della Francia), ed il retroterra meno immediato di un ciclo di prolungato ed intenso sviluppo che ha consentito un marcato, progressivo miglioramento del tenore di vita, giustificano una piattaforma contrattuale, quale quella dell'IG Metall, meno rinunciataria di quella, tanto per dire, di FIOM-FIM-UILM: aumenti salariali intorno al 9% (l'inflazione è poco oltre il 3%), settimana lavorativa di 35 ore (attualmente è di 36,5), riconoscimento di principio del sabato e della domenica non lavorativi (da parte sua, invece. il "Consiglio dei saggi" che affianca il governo Kohl ha proposto di escludere da questa tornata contrattuale ogni ulteriore riduzione dell'orario, sia in via di principio che di fatto). Come terreno di scambio il sindacato ha indicato l'allungamento della durata dei contratti, la graduazione per tappe della riduzione di orario e la flessibilità nell'uso degli impianti.

Tutto ciò prima che precipitasse il tema dell'unità con la RdT. E ora? Se la proposta di "sacrifici di solidarietà" in favore (fantomatico) dei disoccupati incontrò due anni orsono una forte resistenza tra i lavoratori. quale sarà la sorte di "sacrifici di solidarietà" avanzati in chiave anti-inflazionistica ovvero a beneficio dei "connazionali dell'Est"? E quale l'accoglienza alla prospettiva assai insidiosa di sottrarsi, in parte almeno, ai sacrifici facendo fronte con i "propri" padroni ai danni della RDT, e perciò dei lavoratori dell'Est, ovvero ai danni dei proletari immigrati?

"Noi non vogliamo che la RDT diventi in Europa il paese dai bassi salari, il prolungamento dei konzerne (monopoli) tedesco-occidentali e l'hinterland politico della RFT", ha dichiarato bellicosamente Steinkuhler, presidente dell'IG Metall. Non prenderemo per oro colato le sue affermazioni, passibili, peraltro, anche di fomentare un sentimento di ostilità nei proletari dell'Ovest verso i proletari dell'Est. Né ci attendiamo immediati e facili abbracci unitari tra essi. Ci è sufficiente sapere che l'anno di grazia 1990 già concretamente pone davanti alla classe operaia tedesco-occidentale il tema del suo rapporto con i compagni di classe di Dresda, di Lipsia, di Berlino. È un salto in avanti obiettivo che scuote una situazione di separazione di fatto che era stata in certo senso introiettata dall'una e dall'altra parte. Vi pare poco?