CENTRO AMERICA
Il "caos" della situazione salvadoregna, il "mostro" Noriega ed infine il "satanico" cartello di Medellin sono stati gli alibi attraverso cui l'imperialismo mondiale ha giustificato la sua aggressione contro il proletariato e le masse diseredate dell'area centro-americana.
A novembre, in Salvador, interi quartieri popolari venivano rasi al suolo dai cacciabombardieri dell'aeronautica americana.
A dicembre gli Usa invadevano Panama.
A gennaio l'Amministrazione statunitense imponeva il blocco aereonavale della Colombia.
Il coro degli aruspici di pace del "nuovo ordine mondiale" tace sui morti del Salvador e di Panama.
L'antimperialismo non va più di moda. E tanta tiepidezza di quegli animi invece sensibili alla "ferocia" del "crudele conducator Ceausescu", è il segno che i ceti medi occidentali hanno un sacro terrore del fuoco della rivolta indomabile del terzo mondo, seria minaccia alla tranquillità del neo-benessere promesso dalle vittorie di Pirro dei capitali nostrani. E di tale segno è anche l'"antimperialismo" sciovinista che consegna la sorte delle masse sfruttate del terzo mondo alle democratiche cure degli stati padrini dell'Europa,
Ma anche se isolate nella loro battaglia per l'esistenza, divise e disarmate dall'inconseguenza delle proprie borghesie o represse nel sangue da quest'ultime, le masse dell'America Latina continuano a lanciare i loro segnali di rivolta. La ferocia imperialista degli Stati Uniti, confortata dagli accordi di Malta e dal sostegno degli alleati occidentali, non è che il segno tangibile del trascrescere della loro lotta, e dell'impossibilità di contenerla con soluzioni intermedie e conciliatrici.
L'impossibile stabilizzazioneDalla metà degli anni '80 alla fine del 1989 si è consumata un'esperienza emblematica della profondità dello scontro sociale in CentroAmerica.
Il "patio di casa" è stato sconvolto da attriti un tempo impensabili proprio tra i regimi più fedeli e sicuri a Washington. I regimi dei "caudillos" sono stati obbligati dal peso schiacciante dello sfruttamento imperialista ad intessere una politica di concertazione comune (accordi di Contadora e di Esquipulas) per ricontrattare con Washington spazi di autonomia e frenare la marea montante della lotta delle masse che rischiava di travolgerli. Sul piano interno una serie di cambi di regime e di proposte di pacificazione nazionale hanno sancito questa necessità. Ma nel giro di pochi anni, in qualche caso di pochi mesi, questi tentativi si sono rivelati inadeguati e, nonostante l'attivizzazione di parte dei settori borghesi sponsorizzati dal capitale europeo ed i cedimenti politici dei movimenti guerriglieri, nessun piano di "conciliazione nazionale" ha potuto approdare ad alcun risultato di vera "stabilizzazione".
Anche la concertazione reciproca degli Stati non ha prodotto nessun effetto sia nello spegnere la rivolta sociale sia nel garantire una gestione pacifica dei rapporti con l'imperialismo.
Da una parte, infatti, ha acutizzato l'arroganza statunitense e dall'altra ha rinfocolato le aspirazioni antimperialiste delle masse sfruttate, che i vari Cerezo, Hoyo, Arias e Noriega speravano di sfruttare come arma di ricatto contro Bush e di controllare con propri mezzi.
Ben presto la più spietata repressione ha sostituito le offerte di conciliazione nazionale ed i piani di cooperazione, e gli Stati "ribelli" più intraprendenti si sono trovati di fronte gli elicotteri ed i paracadutisti americani.
I regimi centro-americani, dunque, sono stati costretti ad evocare "soluzioni" più radicali e drastiche di quelle previste dai piani di normalizzazione dei loro "peace loving presidents".
Il livello dello scontro ha dimostrato quanto sia impossibile fronteggiare l'imperialismo attraverso il mantenimento di quel quadro economico ed istituzionale in cui sopravvivono le borghesie locali e gli accordi tra Stati. Ogni battaglia che esse intraprendono richiama la necessaria e radicale rottura con l'ordine imperialista, la forza dirompente delle masse sfruttate e la loro unificazione al di là dei confini nazionali.
Di fronte a questo pericolo vacillano le intemperanze anti-imperialiste dei capi di Stato. E le soluzioni diventano: o il veloce riallineamento ai diktat dell'FMI con le relative misure di repressione sociale; o la parola delle cannoniere americane.
Osservando sommariamente gli avvenimenti centroamericani si ha la conferma di questo quadro.
In Salvador, nel 1984, si dà avvio al cosiddetto processo di distensione promosso da Duarte. In Guatemala, nel 1986, sale al potere il "democratico" Cerezo. In Honduras, sempre nel 1986, è la volta del "governo democratico" di Hoyo. Contemporaneamente continua la discesa catastrofica delle economie di questi paesi e con essa il peggioramento delle condizioni di vita delle masse.
In Salvador, per esempio, la disoccupazione raggiunge il 50%; il prezzo del caffè crolla sui mercati internazionali e le poche industrie non ancora controllate dalle multinazionali passano sotto la proprietà diretta di imprese giapponesi ed americane.
Di fronte all'acuirsi della tensione che ne deriva, Duarte lancia la proposta di una riforma agraria, che pur essendo una farsa, mette in allarme il cartello delle "14 famiglie" latifondiste. Propone, inoltre, un processo di distensione con la guerriglia (che non sarà mai in grado di offrire concessioni reali).
In Guatemala la chiesa si fa promotrice di un processo di conciliazione nazionale proprio mentre cresce vertiginosamente la pressione delle masse che costringe Cerezo nel marzo del 1988 ad un accordo con i sindacati ed al riconoscimento delle associazioni contadine.
In Costarica, il presidente Arias si fa promotore di un piano di pace in centro-america che sarà il canovaccio degli accordi di Esquipulas. Si intensificano i contatti con il Nicaragua, sostenuti da Panama e dai paesi del gruppo di Contadora, a cui si prospetta lo smantellamento delle basi dei "contras" del sempre più insofferente Honduras.
Ma sotto i colpi della rinnovata pressione sociale e del boicottaggio USA, sempre meno tollerante verso qualsiasi forma di concertazione tra i suoi "caudillos", le linee di politica interna si adeguano velocemente alle imposizioni della finanza imperialista ed alla necessità della repressione sociale.
Durante il 1988 sono gli "squadroni della morte" a riprendere la danza, non avendo peraltro mai cessato di essere attivi e di rappresentare, insieme all'esercito, le vere risorse istituzionali di quegli stati.
In Salvador si rinnovano gli attentati e la repressione delle organizzazioni sindacali. Le reazioni dei latifondisti non si fanno attendere e la proposta di riforma agraria viene definitivamente boicottata. Il governo respinge a marzo del 19891a proposta di partecipazione alle elezioni dell'FMLN. E dopo gli incontri di settembre ed ottobre tra il Fronte Farabundo Martì ed il nuovo governo Cristiani si interrompono le trattative.
In Guatemala, dopo un tentativo di golpe militare, Cerezo si rimangia ogni concessione ed anche qui si interrompono i negoziati con la guerriglia. Una nuova ondata di misure restrittive si abbatte sul proletariato guatemalteco e con essa una repressione spietata.
In Honduras la rabbia contro gli yankee, incoraggiata in qualche modo dalla "nuova" politica estera del governo, trasborda i limiti consentiti. A Tegucigalpa viene circondata l'ambasciata USA per protestare contro la presenza americana nel paese. L'esercito spara.
Contemporaneamente, sul fronte esterno, i 5 di Esquipulas si vedono nel febbraio 1989 a Costa del Sol ed in agosto a Tela. L'argomento degli incontri diventa sempre più pressantemente la stabilizzazione interna. Finché per garantirla, a metà dicembre a San Josè, i sandinisti voltano definitivamente le spalle anche all'FMLN. Subito dopo gli Stati Uniti calano in Salvador e questa volta insieme ad i consiglieri militari inviano elicotteri e cacciabombardieri.
Perfettamente parallela ed integrata la vicenda di Panama e degli Stati a sud del canale: Colombia. Perù, Equador e Bolivia.
Ormai il Centro America è un unico paeseLe vicende dei singoli Stati sono naturalmente legate dal comune strangolamento operato su di essi dall'imperialismo. Ed è per questo che, al di là del vitale interesse economico di Panama (le cui vicende sono illustrate dalla scheda in margine) o della Colombia, gli Stati Uniti non possono permettersi la più labile intemperanza da qualsiasi paese di quest'area. Ad essere intrecciati sono i destini di milioni di struttati la cui lotta rischia di far vacillare l'impero americano.
E dunque: non può essere tollerata alcuna forma di contrattazione che metta in relazione i vari paesi dell'area e le loro relative tensioni sociali. Soprattutto se nell'area è ancora accesa la miccia del Nicaragua. Emblematica la sorte di Noriega, reo tra l'altro di aver consentito ai sandinisti di aggirare l'embargo Usa attraverso il canale di Panama.
L'imperialismo non può concedere alcuno sconto nemmeno sul debito. Il famigerato piano Brady promette tagli contabili solo in cambio di una totale subordinazione agli Usa e della completa svendita del patrimonio industriale dei paesi centro-americani. Il decadente impero statunitense deve succhiare fino all'ultima goccia di sangue e per questo affonda i canini. Ma se l'imperialismo mondiale può segnare dei punti a proprio vantaggio nella repressione delle masse in Salvador, a Panama, nella divisione del "fronte del rifiuto" centroamericano, la sua azione normalizzatrice si colloca nel contesto di un'instabilità sociale di un intero continente, in cui l'odio antimperialista viene continuamente alimentato dal rinnovato e feroce sfruttamento. È questa la radice dell'instabilità del CentroAmerica. E le martoriate masse contadine, il debole numericamente, ma sempre più decisivo proletariato delle città, sono inevitabilmente attratti dall'organizzazione e dalle lotte della più forte e determinante classe operaia dei paesi del Cono Sud e del Messico, nonché dall'esperienza rivoluzionaria del Nicaragua. È per questo motivo, e non certo per le dimostrazioni di "buona condotta" dei sandinisti, che è a tutt'oggi impossibile per gli Stati Uniti sbarazzarsi, in maniera semplice e diretta, del "problema Nicaragua".
L'oggettiva riunificazione della lotta delle masse centro e sud americane è posta nei fatti.
L'instabilità del Centro-America e la nuova "distensione internazionale"Mentre il fuoco del vulcano dell'America Latina continua a ribollire ed a polarizzare lo scontro di classe, la politica di concertazione internazionale, alimentata con il vertice di Malta, ha dato una notevole mano al polo imperialista nei suoi progetti di normalizzazione armata.
Gli Stati Uniti hanno vissuto, dalla metà degli anni '80, un forte momento di impasse nella gestione del "problema centroamericano". Impegnati nella guerra del Golfo, messi in crisi dagli esiti negativi della guerra strisciante dei "contras" e dalla crisi economica, non hanno potuto aprire un secondo fronte in America Latina. Il valido contributo fornito dal pompiere Gorbaciov nello spegnere i focolai di ribellione nel terzo mondo e la momentanea vittoria imperialista nella guerra Iraq-Iran, hanno invece aperto ampi spazi all'intervento militare americano.
A1 contrario di quanto propagandavano i "democratici" d'occidente la "pacifica distensione" tra USA ed URSS, invece di approdare alla "distensione mondiale", partoriva guerre e massacri. Proprio mentre, con il vertice di Malta, si giungeva al punto più alto della "concertazione internazionale", il Centro-America dimostrava le finalità ed i risultati di questa concertazione. A Malta, veniva sancita la definitiva smobilitazione dell'URSS nei confronti dei movimenti di resistenza antimperialisti. La visita di Gorbaciov e di Shevardnadze all'Avana ed a Managua l'avevano preparata. Corbaciov ha contrattato con gli USA la loro benevola neutralità nei confronti delle aspre contraddizioni che la perestrojka si trova a fronteggiare e in cambio ha lasciato mano libera agli yankee nel loro "cortile di casa". Le grida delle masse centroamericane non dovevano turbare il processo di ristrutturazione economica del capitalismo russo.
Ma se la concertazione internazionale ha funzionato efficacemente per concretizzare il progetto antiproletario degli Stati Uniti in America Latina, non ha prodotto -invece- una "tranquilla" divisione dei compiti e dei dividendi tra le potenze imperialiste internazionali. Mentre in Europa la guerra dei predoni si acuisce per effetto dell'apertura dei mercati dell'Est, proprio davanti alla soglia di casa l'imperialismo nord-americano sente il fiato dei propri alleati-concorrenti. La penetrazione dei capitali giapponesi ed europei in Sud America è ormai fortissima. Anche senza contare la strapresenza nipponica e prendendo come esempio proprio l'Italia si rilevano dati "interessanti",
In Guatemala per esempio l'Italia ha programmato investimenti per 150 milioni di dollari ed è il secondo partner commerciale dopo gli USA. In Salvador l'Italia ha fatto investimenti attraverso la Fiat con la Cogefar, costruendo la più grande diga del paese ed una serie di cantieri ad Opopa (occupati dai lavoratori per una protesta sindacale repressa nel sangue) divenendo il secondo paese investitore dopo gli USA. Gli Italiani e gli Europei si sono spinti fino ad occuparsi negli affari politici dei propri partners. Ne è testimonianza l'interesse dell'Internazionale Socialista e di Craxi nel progetto di rinconciliazione salvadoregno e l'attività dell'Internazionale Democristiana presso i "fratelli" centroamericani. L'esistenza di tale terreno di concorrenza è dimostrata dalle reazioni italiane all'invasione di Panama. Da una parte la massima solidarietà all'azione normalizzatrice ed antiproletaria nei confronti della "variabile impazzita" Noriega. Dall'altra la campagna critica all'inconseguenza giuridica nei confronti del generale panamense e soprattutto alla volontà degli USA di gestirsi in proprio ogni vantaggio dell'operazione.
È il destino della nuova concertazione mondiale, segno più acuto della crisi del capitale internazionale e degli equilibri sanciti nell'ultimo conflitto mondiale.
"Non c'è più una nazione guida", è il motivo degli europei. Ogni normalizzazione, perfino quella nelle aree più tradizionalmente affidate alla tutela ed allo sfruttamento yankee, va contrattata con gli alleati.
Il mondo "pacificato" non trova pace e concordia nemmeno quando l'imperialismo segna un punto a suo favore nella repressione delle masse del terzo mondo.
Negli ultimi anni in Centro-America la mobilitazione delle masse contadine si è radicalizzata. Ma il fatto nuovo nella lotta di classe in quest'area è stato l'incremento della mobilitazione all'interno delle città. Ciò ha posto le basi per una congiunzione della lotta dei contadini con quella delle masse diseredate e del proletariato urbano e per superare una divisione sulla quale per molto tempo si è rafforzata la repressione ed il controllo statale. Non a caso sia in Salvador che a Panama la repressione nordamericana ha preso soprattutto di mira i quartieri popolari delle città. Sempre sul piano delle potenzialità oggettive questa nuova situazione pone premesse migliori per l'evoluzione dello scontro di classe e per far sì che l'opposizione sociale superi le caratteristiche del fenomeno "endemico guerrigliero" incapace di sovvertire le sorti della battaglia. È stata questa novità a permettere all'FMLN di scatenare quell'offensiva di novembre che sul piano militare ha portato i guerriglieri ad agire fin dentro la capitale.
Ma un fenomeno apparentemente contraddittorio si è accompagnato alla radicalizzazione sociale. La politica dei fronti di liberazione, dall'FMLN al FARC della Colombia, si è indirizzata verso una maggiore "apertura" ad ipotesi conciliatrici con i regimi dell'area. L'FMLN, per esempio, dopo aver ripetutamente rifiutate le trappole e le proposte di Duarte, si è fatto promotore di una proposta di collaborazione e partecipazione alle elezioni del Marzo del 1989 e lo stesso "attaque final" di novembre è stato propagandato più come mezzo per costringere il regime alla trattativa che come un'offensiva rivoluzionaria.
Sono due le ragioni di fondo di questa moderazione anche sullo stesso piano di una radicale politica rivoluzionaria borghese-contadina, sposata almeno teoricamente da una parte delle formazioni del "Frente":
1) l'accentuata pressione imperialista;
2) l'isolamento della lotta rivoluzionaria provocata dal perduto sostegno dell'URSS e del Nicaragua; a cui si aggiunge la micidiale collaborazione del riformismo alla politica di penetrazione nell'area degli Stati Europei.
A questi fattori si somma l'incapacità della guerriglia a base contadina ed a direzione borghese di elaborare una strategia rivoluzionaria internazionalista e di unità col proletariato. L'ottica nazional-borghese con il corollario della subordinazione degli interessi proletari alla "costruzione economica nazionale" impedisce ai "fronti" di assumere nel proprio programma e nella propria azione le esigenze e la forza sprigionata dal crescere della protesta proletaria. Per lo stesso motivo la loro politica internazionale, concepita come supporto tra "Stati e movimenti nazionali amici", risponde all'oggettiva difficoltà dell'isolamento con la moderazione nelle "alleanze" piuttosto che intensificando gli sforzi verso la preparazione -difficile, ma senza alternativa- dell'insorgenza rivoluzionaria di tutte le masse dell'area.
D'altro lato le stesse masse contadine e diseredate sentono il peso della repressione e dell'isolamento. E lo sente il proletariato che sarebbe naturalmente spinto a cercare alleati nella lotta rivoluzionaria degli altri paesi con una condotta nella battaglia antimperialista non condizionata dai conti di mercato. Debole numericamente, anche se fiero nella lotta, esso deve rispondere all'immane compito di darsi armi organizzative e politiche adeguate allo scontro imposto dall'imperialismo. Tutto ciò mentre manca un chiaro referente internazionale di classe a causa della stasi della lotta del proletariato occidentale; assenza che pesa sia come mancanza di un oggettivo e determinante apporto nella battaglia antimperialista; sia come punto di riferimento politico che permetta di risolvere il problema dell'unità con le masse contadine con una direzione rivoluzionaria e proletaria della lotta.
È questo il problema di fondo della rivoluzione in Centro-America: il maturare delle condizioni oggettive rivoluzionarie ed il ritardo dell'indispensabile complemento e guida del proletariato occidentale.
I messaggi che giungono dall'Occidente sono quelli di una politica riformista sempre più legata alle strategie del proprio imperialismo.
Il nuovo Pci si fa protagonista a pieno titolo del rilancio del ruolo internazionale dell'Italia e della "democratica" Europa. Un ruolo naturalmente di "pace, armonia e sviluppo". Ma la "giusta pace", la soluzione indolore dei conflitti mondiali ha bisogno di rispettare le regole (e gli interessi) dei capitalismi democratici, che ripudiano i metodi violenti (quando ad adoperarli sono le masse). La regola prima di questa pace è quella di non sovvertire l'ordine soprattutto laddove un comportamento "irresponsabile" può gettare benzina sul fuoco dell'instabilità sociale e precludere la via dell'armonico e democratico ingresso delle nazioni europee in nuove aree del mercato mondiale.
E così il generale Noriega diventa per il Pci un pericoloso destabilizzatore da ammansire (con i metodi democratici, of course) e un "feroce dittatore" da eliminare perché si rifiuta di aderire a capo chino alla nuova concertazione mondiale. Emblematicamente tali "intemperanti" vengono definiti "figli impazziti" del nuovo ordine democratico ed insieme a Noriega finiscono nell'elenco dei cattivi (casomai a pari merito con Bush) Castro, Gheddafi e tutti "i fondamentalismi" ed i movimenti eversivi che rompono le scatole ed impediscono che la questione "Nord - Sud" sia risolta al tavolo della "multipolare" concertazione internazionale.
Ma l'intemperanza di questi ribelli è il frutto della spietata oppressione imperialista, la cui natura antiproletaria e di classe, è senza mediazioni acutizzata dalla crisi internazionale ed omologa tutti i predoni internazionali (anche quelli con la faccia più buona, e mai può darsi il contrario). Ed infatti Andreotti, dal riformismo stimato come operatore di pace in America Latina, si rende perfettamente conto che anche il più ragionevole movimento nazionalistico può divenire esplosivo e che, quando supera i limiti consentiti, va represso. E quindi plaude e giustifica l'invasione di Panama (non essendo -tra l'altro- l'imperialismo italiano capace di sostituire il necessario ruolo di gendarmeria di cui gli Stati Uniti sono ancora i prìncipi mondiali).
Il Pci invece, più realista del re, si impegna ad imbellettare le risorse del capitalismo democratico e di fronte a tale evidente dimostrazione della natura dell'imperialismo italiano ed europeo, strilla e schiamazza perché gli Stati Europei (nella versione di "sinistra" ingraiana: il parlamento europeo) tradiscono la propria missione di pace e si appella ad essi per ristabilirla.
E così la critica dell'invasione statunitense (critica tardiva ed ambigua: la stessa invasione è stata definita dall'Unità: "un'inutile operazione di megapolizia"!!!) scivola velocemente verso la santificazione della cooperazione ed interdipendenza tra Stati democratici, "contrappeso alla supremazia di un unico centro di dominio".
Il pacifismo democratico di questo stampo immobilizza il proletariato metropolitano e sabota la lotta di classe delle masse del terzo mondo.
Mentre esse sperimentano sulla propria pelle la vera natura dell'oppressione di classe del sistema internazionale di sfruttamento, mentre il loro sangue chiama all'appello le forze proletarie d'occidente, il riformismo sciovinista predica ed opera per la rassegnazione e la pax imperialista, consegnandole mani e piedi legati ai predoni al di qua dell'Atlantico ed in ultima istanza alla spietata repressione del bastione e rappresentante più autorevole dell'imperialismo occidentale.
Oggi è più che mai compito dei rivoluzionari e dei comunisti non arretrare nel compito di sostenere l'insorgenza delle masse dell'America Latina; denunciare il ruolo dell'imperialismo europeo e sostenere la necessità di ricongiungere la lotta rivoluzionaria del terzo mondo con quella del proletariato occidentale.
Se i due poli della rivoluzione comunista mondiale appaiono oggi separati, per effetto dell'offensiva del capitale occidentale nei confronti delle stesse masse del terzo mondo e del proletariato dell'Est, è criminale opportunismo controrivoluzionario sperare di affrettare la loro congiunzione (o solo di "aiutare" gli sfruttati del terzo mondo) dando la sponda al pacifismo democratico ed alla "solidarietà" che oggi esprimono i pacifisti ed i ceti medi europei; solidarietà inesistente o direttamente legata alla politica estera dei governi "ombra" e "legittimi" dell'imperialismo italiano.
La ricongiunzione della battaglia dei due poli della rivoluzione comunista internazionale matura e si avvicina a patto che i rivoluzionari in occidente sappiano mantenere ben evidente il filo di classe che li unificherà.