Dossier: "La crisi dell'Est"

La "estrema sinistra" davanti ai fatti di Cina

VIENI AVANTI, INTELLIGENTE...

I recenti avvenimenti cinesi hanno una volta di più messo in luce lo stato di crisi pre-agonica in cui versa un'"estrema sinistra" costituzionalmente incapace di intendere l'abc di quel marxismo in nome del quale pretende di parlare. In quest'ultima circostanza essa ha superato se stessa, propinando corbellerie sempre di natura riformista e idealista, talora francamente spassose. Ne forniamo qui una rapida rassegna che al di là dello stile di necessità semiserio, rimanda a due questioni di fondo: 1) la concezione del socialismo e della transizione al socialismo; 2) il fatto che la sola classe rivoluzionaria della società capitalista è il proletariato.

Leggiamo su un "periodico marxista": "Certo, per chi ragiona in base al criterio che "uno è ciò che afferma di essere ("un cretino che dice di essere intelligente, è intelligente"), è davvero difficile raccapezzarsi in quegli avvenimenti...".

Non possiamo che condividere incondizionatamente questa affermazione, subito suffragata dalle cose "intelligenti" che i nostri periodisti si affrettano a sciorinarci dinanzi, in ottima compagnia.

Lucciole per lanterne, in linea di fatto...

Quali schieramenti di classe hanno evidenziato gli avvenimenti della Tien An Men?

"Da un lato operai, studenti, strati popolari; dall'altro i quadri direttivi dell'apparato di stato e dei monopoli "pubblici", i proprietari e i dirigenti delle imprese private, le gerarchie degli organi repressivi e delle istituzioni culturali" ("Officina", giugno '89). Ora, senza prendersi la briga di andare in Cina a fare "interviste", è possibile rendersi perfettamente conto che dalla parte del "movimento studentesco" (o, se si vuole, dalla parte della punta politica organizzata e trainante di esso) c'erano proprio i manager di stato e, tanto più, i big e aspiranti big del settore privato, cioè i rappresentanti del capitale interno ed internazionale. I due milioni di dollari di Hong Kong sequestrati (di cui parliamo in altra parte del giornale) sono solo la punta d'iceberg del generoso sostegno provveduto tramite collette, statene ben certi, non tra gli operai di questo centro infernale, ma tra i boss capitalistici interessati a spostare a proprio favore i rapporti di forza in vista dell'integrazione futura con la Cina di Deng, che pur promette "una patria, due sistemi". E Taiwan? E gli USA (gialli d'importazione e bianchi doc)? Notizie di sottoscrizioni per Deng, "ovvero la più grande, matura e compiuta (!!!) espressione del capitalismo cinese", davvero non ce ne sono. D'altronde, basta dare una scorsa alla pubblicistica di questi paesi, a cominciare dal "Wall Street (nota bene!) Journal" di Hong Kong, per rendersene conto. Si trattava, e si tratta, di un investimento in piena regola, e se si è investito sui "democratici" di Piazza Tien An Men una qualche ragione - che sfugge agli "intelligenti" - deve pur esserci.

"Prospettiva Socialista" (LSR) fa eco: "Tutto il potere alla Tien An Men" si legge in uno "special" (veramente special!) uscito a ridosso degli avvenimenti. "Le masse, studentesche in primo luogo, ma poi operaie e impiegatizie, urbane in generale, avevano cominciato a ribellarsi agli effetti delle riforme economiche di Deng... Lottavano per l'uguaglianza, per difendere le conquiste più elementari della rivoluzione, chiedendo democrazia... Questa dinamica che il compagno Trotskij (!) e noi con lui chiamiamo di rivoluzione permanente...". Così abbiamo la rivolta delle "masse urbane in generale" e questa, poiché rivendica la "democrazia in generale", sarebbe la "rivoluzione permanente"! Qui s'ignora semplicemente il vocabolario marxista "in generale". E (a parte la mistificazione di mettere tutto il proletariato nello stesso brodo, dopo e alla coda degli studenti) dove stanno di casa quei tre quarti ed oltre di masse contadine da cui dipendono le sorti della Cina in un senso o nell'altro?

La LSR offre anche al movimento un adeguato programma, i cui "presupposti sono adamantini": "Le fabbriche agli operai, le terre ai contadini, le università agli studenti". La spazzatura agli spazzini, ci verrebbe da aggiungere. È il tipico programma, se così si può dire, della gestione consiliarista, aziendale, senza un piano collettivo, per forza di cose disposta sulla trama del mercato. Ognuno padrone della "sua" parcella da portare al mercato "generale". Qualsiasi borghesia è più progressista di queste minestre tipiche del piccolo-borghese reazionario flagellato da Marx nel "Manifesto".

E Deng? "Questa volta non si tratta di reazione, ma di controrivoluzione armata totale, con elementi fascisti...". "Stato operaio degenerato" che si trasmuta in "fascismo", come da insegnamento della Collotti. Ma se il "post-capitalismo" genera fascismo, c'è ben poco da lamentarsi poi di chi "approfitta" dei fatti per dimostrare il fallimento del comunismo.

Altre amenità. "Fino al 4 giugno una semi-insurrezione pacifica si è sviluppata". Finora, non eravamo edotti della possibile esistenza di "semiinsurrezioni", tanto più "pacifiche". Chissà che le insurrezioni al 100% non possano esserlo altrettanto. Ci sembra di sentire qualche eco nota, di togliattiana memoria: la "rivoluzione democratica, pacifica", la "democrazia progressiva", naturalmente disposta a prender le armi solo in presenza della "minaccia fascista" (questo anche se la LSR accusa il PCI di avere "la stessa matrice stalinista di quello di Deng", quindi, sotto sotto, fascista...).

"Un uomo solo, disarmato, in piedi in mezzo alla strada ferma per mezz'ora una colonna di carri armati: in questa immagine sta tutta la potenza della rivoluzione". Confidiamo sinceramente che, nelle insurrezioni a venire, non si tenti di usare questa "potenza"! Neppure l'incredibile Hulk avrebbe potuto fermare una colonna di corazzati se questi avessero avuto l'intenzione e l'ordine di schiacciare gli ostacoli sul proprio cammino, figuriamoci un magrolino studente cinese! L'apologia della "potenza della rivoluzione" si ritorce qui in apologia involontaria della "ragionevolezza" del regime denghista che, fin dove ha potuto, ha evitato lo scontro diretto fidando su una possibile convergenza tra richieste "patriottiche" della massa studentesca ed interessi del partito al potere.

Omettiamo la selva di panegirici sui giovani che cantavano l'"Internazionale" ed agitavano le bandiere rosse. Su questa immagine coreografica i più hanno fondato la conclusione che si trattava di una lotta "per il comunismo" contro il Deng capitalista. Neppure l'ombra di un dubbio che si trattasse, inizialmente, di una "mossa tattica" per incunearsi profittevolmente nella lotta al vertice tra denghisti ed "ultrariformatori" e per legittimare comunque la protesta dinanzi a quella parte di "opinione pubblica" (operaia e contadina) che mal avrebbe visto agitare le insegne del liberalismo al 100%. "Bandiera Rossa" (n. 7/8, luglio-agosto) arriva a commentare un passaggio dell'appello dell'"Associazione per la democrazia in Cina" in cui si dice che "il compito più importante per gli intellettuali cinesi è quello di operare alla costruzione di un partito in grado di affrontare il Partito Comunista" in questo modo: "Il partito, cioè, che usurpa quel nome, al quale bisogna contrapporre un vero partito comunista". E tutto quadra. La "classe" intellettuale del "popolo" cinese che, perlomeno, apertamente si dichiara per la costituzione di un partito anticomunista, è promossa nei ranghi del "trotzkismo".

(Lo statunitense "ex"-maoista "Workers" Advocate" ha toccato con mano, nelle manifestazioni di solidarietà tra la grossa comunità cinese USA, la preminenza delle idee pro-occidentali, con larga presenza di sostenitori del Kuomintang e l'appoggio dei politici e dei businessmen americani. "È un grosso errore", sentenzia, ma si consola lasciando intendere che in Cina le cose saranno andate diversamente. Non lo turba il fatto che il collegamento tra interno ed esterno è stato continuo, prima durante e dopo le manifestazioni, mentre dalla piazza Tien An Men non è uscita alcuna voce che chiedesse collegamento con forze marxiste. Il movimento marxista, si giura, verrà, come "combinazione di operai, studenti radicali e contadini poveri", cioè da un rinnovato "blocco" rivoluzionario.., maoisteggiante.)

La (oltretutto costosa) Statua della Libertà? Alcuni l'hanno rimossa dietro l'"Internazionale", altri non se ne scandalizzano. "La convocazione degli stati generali nella Francia del 1789 non fu forse voluta, proposta e richiesta dalla nobiltà? ("Officina"). Forse non è andata semplicisticamente così, ma lasciamo stare. Resta da chiedersi se gli studenti di Pechino vengono equiparati, come ruolo, alla nobiltà del 1789, cioè come detonatori loro malgrado contro sé stessi. Tutt'altro: essi sono presentati come la premessa sociale e soggettiva della rivoluzione cinese a venire. Se qualche "confusione" c'è tra loro, si può accusare tenuto conto che ancora nell'estate del 'l7 i bolscevichi in Russia erano "un gruppo politico con idee contrapposte sul da farsi, con Lenin in minoranza, un partito confuso e poco deciso" (e privo dei tubi Innocenti per innalzare statue alla libertà imperialista) .

... e antimarxismo sul piano teorico

Queste alcune delle posizioni (minoritarie nel coro antidenghista) che pretendono di parlare in nome del marxismo. In esse si possono rintracciare due filoni fondamentali: quello "trotzkista", che parte da una confusa nozione di "stato operaio degenerato", e quella maoista di ritorno, sia pur critica, che farnetica di un "colpo di stato" denghista che avrebbe sovvertito le buone premesse precedenti, in particolare della Rivoluzione Culturale. Una cosa accomuna comunque questi due filoni: l'ammissione, antileninista, o antimarxista che dir si voglia, che una trasformazione socialista è possibile, magari "in nuce", in un solo paese, per giunta arretrato, a condizione che intervengano fattori quali "una giusta politica" egualitaria, una "mobilitazione delle masse", insomma una "democrazia operaia" o piuttosto "in generale", "di tutto il popolo". I problemi della transizione politica ed economica, nel loro inestricabile intreccio, che Marx e poi Lenin avevano posto alla scala internazionale legandole a rigorose leggi oggettive sono semplicemente capovolti di segno. Per gli uni si tratterebbe allora di costruire il "vero" partito trotzkista, magari nell'ultima versione di "frazione per la ricostruzione o rigenerazione o chealtrodiavolononsisà della Quarta Internazionale", per gli altri di riprendere il filo della "gloriosa rivoluzione culturale". Facciamoli contenti ed ammettiamo che ci riescano e prendano il potere in Cina. Che ne farebbero dell'economia? La trasformerebbero in "socialista" dall'oggi al domani? E come? Con l'"egualitarismo" nella merda? (L'espressione è proprio di Marx; ce ne scusino i palati fini). Col rifiuto di uno sviluppo delle forze produttive "fonte di ineguaglianza"? Hanno mai letto qualche riga degli scritti teorici di Lenin a proposito della NEP? Probabilmente si, e la considerano poco meno che una "resa" o un "tradimento". Orbene, proprio qui sta il punto centrale: la concezione della transizione e, di conseguenza, la concezione stessa del socialismo alla fin fine.