Una serie dl infami episodi, ultimo dei quali l'assassinio di Jerry Essan Maslo, ha riportato al centro della pubblica attenzione la questione del razzismo e delle condizioni di vita sub-umane in cui sono costretti a vivere i lavoratori immigrati. Qualcosa si muove anche sul fronte della lotta al razzismo e al supersfruttamento. Quali problemi si pongono perché questa lotta possa andare avanti e svilupparsi? |
Non si può negare che il governo Andreotti, per bocca di Martelli, abbia dichiarato apertamente quale è, in questa materia, la sua priorità: creare una sorta di "numero chiuso" di lavoratori "di colore", "programmando gli ingressi" in Italia. È esattamente quanto è nell'interesse dei padroni. Né i capitalisti di casa "nostra", infatti, né il loro governo hanno la minima intenzione di chiudere del tutto le frontiere e, tanto meno, di rispedire a casa gli immigrati già residenti nella penisola. Essi intendono, invece, limitarne la presenza allo stretto necessario per le esigenze del capitalismo italiano. Il punto di riferimento, per costoro, non sono certo le "ragioni morali", sbandierate con vomitevole ipocrisia da chi ha come unica morale quella dello sfruttamento del lavoro salariato; sono, invece, le reali esigenze del mercato e dell'accumulazione di profitti.
E non è una questione di pelleUna significativa esperienza di lotta è avvenuta a Lavello (Potenza) e ne parla "L'Unità" del 14 settembre. Un gruppo di braccianti di Altamura, non potendone più della "contrattazione selvaggia" con le cooperative di produzione e i proprietari terrieri della vicina zona di Lavello, è entrato in sciopero con la Federbraccianti ed ha conquistato un accordo che ha "chiesto ed ottenuto" che venisse esteso "anche ai lavoratori di colore che come noi vivono questo indegno mercato delle braccia". L'accordo è stato siglato, così, anche dai rappresentanti dei lavoratori immigrati. Ne è nata una esperienza di lavoro in comune in condizioni di parità tra bianchi e neri purtroppo estremamente breve: una sola giornata, perché il padrone, approfittando della difficoltà dei neri a tener dietro al ritmo dei "locali", non li ha riassunti il giorno dopo. "In quella giornata - dichiara uno dei braccianti - di lavoro gomito a gomito, ho capito che a questi lavoratori bisogna dare tutta la nostra solidarietà. È indispensabile per non scatenare una guerra tra poveri Cristi. (...) Certe volte mi arrabbio con qualche mio compagno. Non capisce che bianchi o neri, siamo tutti sfruttati". In questo stesso senso si esprime anche il copolega della Federbraccianti di Altamura: "È il sindacato che dovrebbe muoversi con più nettezza. Solo in questa zona saremo più di 5000 stagionali. Noi siamo i più fortunati: abbiamo il contratto. E gli altri? Ci sono braccianti pensionati assunti tramite gli emissari del padrone che sono costretti a chiedere di non essere assunti regolarmente per non superare il reddito necessario all'esenzione dei ticket. Ci sono i piccoli padroncini dei pullman che trasportano i lavoratori guadagnando 9 mila lire a persona. E ci sono i mediatori che prendono mille lire per ogni bracciante avviato nei campi. È la nostra condizione, altro che le chiacchiere. Il lavoro è nero per tutti. E non è una questione di pelle". Infatti. |
Ebbene, di forza-lavoro a basso costo e super-discriminata i padroni hanno bisogno. Ce n'è bisogno anzitutto come arma di ricatto contro la classe operaia, per impedirle di rialzare la testa dopo un decennio all'insegna dei sacrifici e della produttività. Ce n'è bisogno per l'area in continua estensione del lavoro nero, per introdurre un altro elemento di divisione nel campo del proletariato e per non privarsi di una risorsa interna di sovra-profitti nei confronti degli altri paesi europei che a questa risorsa hanno, negli scorsi decenni, abbondantemente attinto.
Dopo avere contribuito in maniera decisiva a creare in Africa e nel Medio Oriente (e in tutto il Sud del mondo) condizioni di miseria, di oppressione, di distruzione, i ''nostri" padroni ne approfittano una seconda volta afferrando per la gola tutti coloro che, per sopravvivere, per disperazione, sono costretti a fuggire da queste aree.
Questo afflusso, però, deve rispettare, e non eccedere, le esigenze del mercato, né, usiamo le parole del braccio destro di Craxi, creare "nuove emergenze", situazioni di acuto confitto sociale, perché, se così fosse, la immigrazione di forza-lavoro, invece di essere un fattore di "pace sociale", finirebbe per dare problemi di "governabilità".
"Le periodiche esplosioni di interi quartieri nelle metropoli inglesi e l'endemica resistenza di cui sono portatori gli immigrati in questo come in altri paesi del MEC (la Germania, anzitutto) costituiscono un monito di cui i "nostri" governanti intendono tener conto. .
La previsione, dunque, è che l'afflusso di "vu' sfruttà" , prosegua e, in certa misura, si accresca, ma sotto il controllo delle autorità di governo. La politica del "numero chiuso" o "programmato" (di cui le leggi sono l'ultimo strumento) dovrà servire appunto, nelle intenzioni del governo, a regolamentare e compartimentare per nazionalità (e sub-nazionalità) le forze di lavoro immigrate ed a dare legittimità agli interventi, ai ricatti, ai soprusi della polizia (e dei "privati" naturalmente...) nei confronti di questi lavoratori. E, soprattutto, ad impedirne l'organizzazione per la lotta e la coalizione con la classe operaia "di qui". Non è nulla di sostanzialmente diverso da quello che è avvenuto sinora. L'unica "novità" è che il governo ha compreso ancora meglio che deve prestare molta attenzione a non farsi sfuggire di mano la situazione.
Ci riuscirà? È poco più di una pia illusione. Il processo di impoverimento del "Sud" del mondo è devastante e niente affatto momentaneo. Ad esso va ad aggiungersi il dissesto profondo dell'Europa dell'Est. Sicché anche questa contraddizione appare, in prospettiva, motto difficile da controllare. Ma per intanto, con la tematica del "numero chiuso", il governo ha conseguito alcuni risultati: 1) ha presentato a tutte le classi come una minaccia l'"eccessivo" afflusso di immigrati, alimentando così in modo strisciante una sorta di "razzismo a tempo"; 2) ha ricacciato del tutto in secondo piano la tematica fondamentale della parità delle condizioni di lavoro e di vita tra lavoratori immigrati e lavoratori italiani che, sia pur timidamente, si stava facendo strada; 3) ha acuito la concorrenza e la corsa tra i paesi esportatori di manodopera a svendere braccia al "nostro" paese alle migliori condizioni per l'acquirente.
Per questi motivi ci vuole lo stomaco di ferro di certi dirigenti del PCI alla Napolitano per trangugiare gli orientamenti del governo come se si trattasse di primi assaggi, magari non del tutto soddisfacenti, di un pasto che, però, si annuncia buono.
Il PCI (dal cui interno sono partite anche forti denunce delle condizioni brutali in cui i "neri" sono costretti a vivere) si è dichiarato contro il principio del "numero chiuso", ma ha immediatamente contraddetto se stesso pronunciandosi, con varie sfumature a seconda delle sue varie posizioni, per "regolare l'immigrazione", per "sistemi di quote" per "filtri", e così via. È veramente difficile, per noi, comprendere dove sta la differenza sostanziale con l'impostazione del governo (all'interno del quale, ben lo sappiamo, nessuno mai parlerà con "linguaggio" alla Dacia Valent...). Ci si potrebbe rispondere: soprattutto nel mettere l'accento sulla necessità di coinvolgere "i paesi d'origine" nella regolamentazione consensuale e "democratica" dei flussi. Ma, ancora una volta: quale più forte tutela degli immigrati ne deriverebbe? Non è forse vero che già esistono, intorno a questo traffico di "schiavi", rapporti informali e formali tra Italia e paesi esportatori e che questi rapporti non sono, né possono essere su piede di parità?
Inoltre, cosa succederebbe se la "programmazione'' o i "filtri" o gli "accordi consensuali" dovessero saltare? Quale dovrebbe essere la sorte dei lavoratori che sono immigrati qui, per fame o per persecuzione politica (non si emigra per nessun'altra ragione) violando la disciplina di accesso? Sarebbe legittima la loro espulsione, o no? E, se si risponde no, perché – allora - prevedere "le quote"?
Il fatto è che il PCI ha problemi non di poco conto con settori di classi medie a cui non intende rinunciare, che, già sono in prima fila nell'attivizzazione razzista o nel covare sentimenti filo-razzisti (cosa che non è affatto in contrasto con il proliferare in vario modo dei proletari immigrati). Mettiamo la mano sul fuoco che tra la canaglia che ha "schedato" gli ambulanti senegalesi a Rimini qualche commerciantuccio "rosso" c'era di sicuro e, se non c'era (sarebbe stranissimo), ci sarà la prossima volta, per questa volta avrà "soltanto" applaudito di cuore. Per inseguire questi settori il PCI non può rifiutare il principio del "numero chiuso" che in astratto, e non può affermare la "parità di diritti" che sempre più in sordina.
La stessa proposta del "governo ombra" di gestire la "politica degli aiuti" ai paesi di provenienza degli immigrati in un modo "radicalmente diverso" e tendendo a limitate, la fuga da queste aree, è qualcosa di diverso che demagogica? Possono i "ministri" del PCI ignorare che proprio gli "aiuti" ed i prestiti ai paesi poveri da parte dei paesi usurai (tra cui l'Italia) sono serviti ad immiserire i paesi destinatari? Possono ignorare che la natura generale degli "aiuti" è quella ben espressa dai rapporti tra BNL e Iran e Iraq dall'accordo tra Italia ed Argentina (che commentiamo in altra parte del giornale)? Possono ignorare per davvero che non esiste da nessuna parte un "capitalismo buono" pronto a concludere con un "partner" alla propria mercè altro tipo di accordi che accordi imperialisti?
Il PCI, con la sua politica, semina illusioni a destra e a manca, senza fare un solo passo nella direzione dell'organizzazione dei lavoratori immigrati intorno ad un programma di lotta contro il supersfruttamento e contro il razzismo montante e per avvicinare e unire classe operaia e sfruttati "di colore".
Questo è il problema centrale, che però quasi tutte le forze che sono per la tutela dei "diritti" degli immigrati continuano ad eludere. Da quelle religiose ed a fine puramente assistenziale ed umanitario (spesso capaci, tuttavia di far impallidire, con la loro appassionata denuncia dell'imperialismo italiano, certi dotti disquisitori "di sinistra" sul "divario" tra "Nord" e "Sud") fino allo stesso sindacato. La CGIL ad es., per bocca di Pizzinato, tiene fermo, per il momento almeno, il rifiuto di qualsiasi limitazione all'immigrazione, ma ha finora concentrato il suo intervento da un lato sull'assistenza, dall'altro sulla pressione di vertice verso le istituzioni, senza fare i passi necessari all'organizzazione della lotta. La stessa iscrizione degli immigrati alla CGIL, che sembra raccogliere crescenti adesioni (ed è un buon segnale), è lasciata sul terreno della pura "consulenza" e non viene capitalizzata come disponibilità alla lotta.
Alla CGIL si devono, è verissimo, anche prime iniziative di lotta quali la recente manifestazione a Villa Literno o accordi come quello di Lavello che commentiamo qui accanto, ma esse appaiono tuttora il frutto di iniziative occasionali o locali, che non è possibile vedere come primi passi di una organica linea di difesa di classe dei proletari "di colore".
Certo, grandi sono le difficoltà ad organizzarsi che ha questa forza-lavoro supersfruttata, ricattata, ancora frantumata per nazionalità, dispersa in prevalenza nei circuiti dei "servizi" e verso cui la classe operaia indigena è assai di rado solidale, più spesso indifferente e talvolta apertamente ostile. Ma proprio per questo c'è bisogno della massima nettezza delle prospettive, altrimenti queste difficoltà, di per sé superabili, possono ritorcersi contro gli immigrati e contro la classe operaia.
Che siano superabili sono i fatti stessi a provarlo. Se si guarda agli ultimi anni, si può vedere come il processo di organizzazione e, perciò, di presa di coscienza da parte dei proletari "di colore" è stato incessantemente in salita ed è arrivato oggi alla soglia non scontata dei "coordinamenti interetnici" ed alle porte non sempre ospitali delle sedi sindacali e "di sinistra". Ma che si muovano gli immigrati non basta, se è ferma la classe operaia.
Battere supersfruttamento e razzismo, impedire che gli immigrati siano usati come arma di ricatto contro il proletariato si può solo chiamando alla lotta congiuntamente proletari "neri" e bianchi. La forza degli uni fa la forza degli altri, e l'unità da più forza a tutti. Questa è l'esperienza che già si è vissuta in una serie di paesi europei e dalla quale bisogna imparare.
Naturalmente, il primo passo deve essere la contrapposizione ad ogni politica di chiusura e di discriminazione, aperta o mascherata, verso i nostri compagni di classe immigrati ed il massimo di solidarietà con la loro battaglia per il riconoscimento di quegli "elementari diritti"; la cui mancanza rende il proletario immigrato diverso dal proletariato di qui, non per il colore della pelle o la cultura o la lingua, ma perché supersfruttato. Questa battaglia noi comunisti internazionalisti la consideriamo a tutti gli effetti nostra, sapendo che ogni ulteriore avanzamento sia dei lavoratori immigrati che di quelli "bianchi" passa di qui.
Agli operai, ai lavoratori, ai disoccupati che vedono nella presenza degli immigrati un pericolo per le proprie faticate conquiste o per le proprie speranze di trovare un lavoro, noi diciamo: non sono gli immigrati a minacciare le vostre "conquiste", sono i padroni che tentano di privarvene; non gli immigrati ad aver creato la disoccupazione di cui sono, anzi, vittima; non fatevi fregare dal colore della pelle: che c'è in comune tra il "bianco" Cipputi e il bianco Agnelli? Viceversa, c'è tutto un mondo in comune tra voi e i lavoratori immigrati: c'è la necessità di lavorare per vivere e la necessità di difendersi dai padroni e dal governo, che vivono senza lavorare sulle nostre spalle. Uniamoci quindi contro i "nostri" comuni sfruttatori, sul piano sindacale come su quello politico. Avremo tutto da guadagnare!
Contro ogni forma di chiusura totale o parziale delle frontiere per i lavoratori "di colore"!
Per l'organizzazione e la sindacalizzazione di massa degli immigrati!
Per la lotta unitaria tra proletari "bianchi" e "di colore"!
Perché la manifestazione del 7 ottobre non rimanga una protesta isolata, ma sia l'inizio di questo cammino di lotta!