18° Congresso del PCI
IL "NUOVO CORSO" DI OCCHETTO VA ALLA PROVA DELLE ATTESE E DELLE NECESSITÀ DELLA CLASSE OPERAIA
Il recente congresso del PCI ha confermato, né poteva essere diversamente, la via del "nuovo corso" già in precedenza tracciata.
E
un ulteriore passo del PCI in una direzione che è forse esagerato per difetto
chiamare social-democratica.
Senza essere stata parte attiva nel determinarlo, la "base" proletaria
del PCI mostra di condividerla in virtù
di aspettative di riscossa anti-capitalistica che sono, viceversa, destinate ad
entrare con esso in rotta di collisione.
La nostra debole (a)periodicità, ma, soprattutto, la nostra linea d'orientamento politico ci esimono dall'aggiungere la nostra voce al coro dei cosidetti commentatori politici in merito a quel che si è "discusso" e "deciso" nel 18° Congresso del PCI. Non che non ci interessi quel che sta accadendo nel PCI, e nei rapporti tra quel partito e la classe operaia. Tutt'altro. Proprio di questo, semmai, intendiamo più che mai parlare come affar nostro. I Congressi, e questo congresso in particolare, sono però altra cosa. In questa sede nulla si è deciso che non fosse già stato sanzionato per l'innanzi e, persino, di nulla si è sostanzialmente discusso, né di nuovo né in più, rispetto alle fasi che l'hanno preceduto.
Non solo la relazione di Occhetto non ha aggiunto nulla di nuovo alle tante, "discontinuità" precedenti, ma nessun contributo alla chiarificazione dei problemi sul tappeto (e dio sa se ce ne sono!) hanno offerto i vari relatori di destra, sinistra e centro del partito, più che mai indistinguibili tra loro ove si stesse alla pura lettera delle dichiarazioni verbali di "principio" e persino un Cossutta si è sentito in dovere di smussare alquanto la punta della sua lancia di opposizione "estrema". Poiché si trattava, dopo aver consumato preliminarmente il trionfo del "nuovo corso", di far sentire che il partito è "più che mai" vivo ed unito, il Congresso si è ridotto ad una plebiscitaria ed ordinatissima sfilata di rassicuranti bandierine, con l'occhio quasi esclusivamente rivolto all'imminente nuova prova elettorale (le europee), dai cui esiti si attende un "chiarimento" ulteriore.
Prendiamo a caso un "campione" degli interventi congressuali, e non dei più sprovveduti, e sfidiamo chiunque a spiegarci quali contenuti concreti ne emergano. Parla Zangheri: "Noi vogliamo dare agli italiani il senso di una realtà che può cambiare. Vogliamo diffondere la convinzione con la nostra opera che è in campo un partito riformatore, capace di iniziative vincenti, non dedito a compromessi e cedimenti, un partito capace di animare la passione e la speranza, perché si ispira ad una visione onesta e nobile dell'agire politico, che si propone di riportare una politica rinnovata fra la gente comune, nella quale deve risiedere la sovranità e quindi il potere di decidere il suo destino". La dicitura e la scatola del "cacao meravigliao" ci sono; manca solo la dichiarazione del contenuto che ci sta dentro...
Per le stesse ragioni di cui sopra, non siamo interessati a commentare le note di colore su cui tanto si sono affaccendati i "politologi", a cominciare dal "gran rifiuto" di Craxi. Occorre proprio essere dei rincoglioniti (e rincoglionenti), in barbetta bianca o senza, per desumere dalla coreografia congressuale l'apertura di una "nuova fase" di scontro tra PCI e PSI e titolare "Occhetto sfida Craxi", "Occhetto contro Craxi" (come, poco tempo prima, non si è esitato a titolare persino: "Cariglia mostra i muscoli a Craxi") o per prender per buone le "nuove prospettive" di "dialogo costruttivo" tra PCI e polo laico, con quel bel campione di Pannella in prima fila. L'onda decisiva non va nella direzione dei piccoli spruzzi superficiali, ma agli esperti" della mistificazione va bene far credere che così non sia, e, pertanto, si può prendere per buoni i "muscoli" anticraxiani di Occhetto (o quelli antiocchettiani di Craxi) e dar credito di "orientamento politico" all'elegante calembour di Elle Kappa, che si rivolge a Craxi con un accondiscendente "Mafai schifo" (!), ignorando che l'"alternativa" di Occhetto sta più che mai, a Congresso consumato, nelle mani dell'"odiato" Craxi.
I nostri interlocutori vicini e "lontani"
Il nostro commento al Congresso del PCI, ovvero al corso attuale del PCI che il Congresso non ha fatto altro che registrare, lo faremo in modo diverso; a modo nostro. Non scoprendo novità sconvolgenti che da questa assise sarebbero uscite, ma riconfermando tutto quello che abbiamo scritto in precedenza in materia, ed a cui puntualmente rimandiamo i lettori.
Seguendo un'inveterata abitudine andiamo per punti sintetici: a, b, c... In ciò che vi è uno scopo dichiarato: ogni punto della nostra "riflessione" si collega per noi, indissolubilmente, a tutti gli altri, in un unico, coerente discorso; non crediamo che una singola nostra affermazione sia dissociabile dalle altre; ma il lettore potrà focalizzare la propria attenzione sui singoli "spezzoni" e prendere posizione su di essi prima, e come condizione, per arrivare ad un apprezzamento complessivo delle nostre posizioni. Come sempre, siamo disposti ad una franca, aperta discussione con chiunque ne sia interessato da un punto di vista rivoluzionario, di classe. Sull'insieme del nostro discorso, ed anche su singoli punti (il che, per noi, fa lo stesso).
A chi intendiamo rivolgerci? Questa la domanda preliminare.
Come sempre, la finalità della nostra battalgia è diretta alla grande massa, a quella che, tuttora, nelle sue punte più avanzate (in quanto massa), continua a "riconoscersi" nel PCI. D'altra parte, sappiamo benissimo che a questa massa, così com'è oggi, non riusciamo a pervenire direttamente, se non in trascurabilissima e parzialissima misura, né lo potremmo fare neppure aodttando le migliori "tecniche" dialogiche di cui vorremmo esser provvisti. La nostra riflessione, pertanto, in questa sede almeno, è rivolta a punte d'avanguardia, forzatamente esigue, del PCI, o gravitanti verso di esso, o ad esso esterne, in grado di porsi politicamente i problemi che stanno sul tappeto in relazione all'insieme degli svolgimenti politici italiani (e non solo del PCI) ed internazionali. Non stupisca, perciò, il nostro deliberato proposito di parlare innanzitutto ai compagni ed alla cerchia dei nostri lettori stretti, allo scopo di orientare le nostre file in primissima istanza. Lo facciamo, però, o almeno cerchiamo di farlo, non smarrendo il punto d'orientamento "finale", e cioè quelle vaste masse proletarie "riformiste" senza le quali ed al di fuori delle quali non avrebbe neppure ragione d'essere la nostra "separata" esistenza di organizzazione.
Dev'esser chiaro, pertanto, che non siano affatto solleticati dalla "nuova" frenesia di alcuni, riscopertisi all'occasione "estremisti", che, avendo constatato la "completa e irreversibile degenerazione" del PCI di Occhetto, si danno di bel "nuovo" da fare per costituire "nuovi" poli alternativi tra micro-organizzazioni di "avanguardia" sulla base di programmi "alternativi"... da inventare o, per quel che esistono, tanto "radicali" alla superficie quanto sottoriformisti nella sostanza. "Esperimenti" di questo genere ne abbiamo già registrati a iosa sin nei nostri dintorni. L'ultimo, per ora, ci è offerto dalla LCR, in passato "entrista" nel PCI per "rigenerarlo" e... "conquistarlo", oggi in procinto di confluire in DP per "costituire un punto di riferimento" per coloro che "ancora credono al marxismo", che il PCI avrebbe lasciato orfani di esso. Come dire: mettiamo insieme due cadaveri e vediamo se ne vien fuori un moribondo.
Ieri come oggi, noi restiamo fronteunitari rispetto alla massa proletaria e, proprio perciò, antiunitari non solo rispetto alle organizzazioni ed ai programmi dei riformisti classici, ma delle stesse (pretese) "organizzazioni d'avanguardia".
Il ricongiungimento tra massa e programma ed organizzazione rivoluzionari (che ci guardiamo bene dal far "coincidere" con l'OCI tout court) si dà attraverso un duplice percorso: dalla massa al programma ed all'organizzazione, e da questi alla massa. Certa "contestazione radicale" al PCI "da sinistra" ha il difetto di astrarre duplicemente tanto dalla massa quanto dal programma. Non se ne caverà un sol ragno dal buco.
Il rapporto tra PCI e classe operaia è profondamente cambiato rispetto al passato...
Punto primo. Dove si trova, e come, la classe operaia? Limitandoci qui all'Italia, ma non senza avvertire che il problema va posto ed è comprensibile solo entro una più ampia dimensione internazionale, riconfermiamo alcune cosucce:
a) ben lungi dall'aver perso peso sulla scena storica in quanto fattore sociale oggettivo (il che è la premessa immediata del fattore politico soggettivo), essa ha accresciuto la propria "centralità" nel processo di produzione e riproduzione economico e sociale, ovvero nella produzione e riproduzione dell'antagonismo di classe insito nella società capitalista e destinato nel corso del suo sviluppo a estendersi ed intensificarsi anziché a restringersi;
b) questa classe, più che mai portatrice in sé dell'istanza oggettivamente determinata del socialismo, via rivoluzione, ha soggettivamente subito negli ultimi anni tutta una serie di colpi alle proprie postazioni materiali e spirituali (le due cose procedendo dialetticamente assieme), ma si ritrova oggi a riprendere la propria iniziativa dentro un ciclo che vede ormai definitivamente alle spalle i lunghi decenni di rilancio capitalista imperialista in economia e dell'influenza micidiale dello stalinismo che l'ha accompagnato (e favorito);
c) è vero che questa ripresa si dà ancora per scoppi isolati, attraverso lotte di categoria e di settore slegati e talora persino in contrapposizione le une con le altre, e rimane tuttora ad un livello immediato, "prepolitico" (persino - ideologicamente - "antipolitico") ed è anche vero che questo gap risulta più drammaticamente incidente nelle nuove generazioni di proletari privi di una continuità, quale che sia, di "tradizione". Ma questo bassissimo livello è un livello di ripartenza, non di regressione, e costituisce l'anello materialmente formidabile per i passi successivi. Il "riformismo" di questa nuova ondata proletaria in arrivo non potrà, pertanto, adagiarsi semplicemente e "naturalmente" nell'alveo del riformismo delle organizzazioni "operaie" tradizionali, ma dovrà cercare e saprà trovare, cozzando contro ostacoli esterni ed interni, la propria via rivoluzionaria.
Punto secondo. La parte di massa più avanzata di questa classe aderisce tuttora al PCI. Ignorarlo significherebbe ignorare la finalità stessa per cui si muove un'organizzazione rivoluzionaria, inibendosi la conoscenza stessa del "luogo" in cui e verso cui autonomamente operare.
Tuttavia, il tipo di rapporto che lega questa parte della classe all'organizzazione riformista è tutt'altro che immutabile, sempre eguale a se stesso. Di fatto - oggi - esso si è profondamente modificato rispetto al passato. In un duplice senso e, in quanto tale, astrattamente, aperto a due opposte ipotesi.
Per tutta 1' "era togliattiana" (e "staliniana"), per così dire, ed anche un bel pezzo dopo - per l'inevitabile forza d'inerzia di processi storici a lungo accumulatisi -, il proletariato aderiva al PCI con l'assoluta dedizione che gli derivava dal riconoscersi in esso come forza centrale e centralmente rappresentata nel suo antagonismo alle forze borghesi e nella prospettiva di un socialismo (lasciamo stare quanto l'uno e l'altra subalterni di fatto al sistema capitalista) che si vedeva solidamente portato innanzi dal "mondo socialista". L'adesione al PCI era vissuta con senso militante e, all'occorrenza, militare, di classe.
Successivamente, "qualcosina" ha scalfito questo muro granitico: la corruzione materialmente indotta dall'impetuoso sviluppo imperialista del paese, e dell'Occidente in generale; il tracollo del "modello alternativo" cosidetto sovietico; l'opera di disarmo messa in atto dallo stesso riformismo "di ferro", inabilitato ad offrire una prospettiva storica vincente.
Al presente, il proletario che aderisce al PCI è la larva di quel che era un tempo. Il senso fisico di appartenenza ad una classe antagonista, il senso fisico della milizia di classe sembra svanito nel nulla. L'ideologia borghese, propiziata dai sovrapprofitti imperialisti e dalla "linea" stessa del riformismo, ha fatto ampia breccia su questo soggetto. Il mito interclassista del "cittadino", del "popolo", dell'"economia nazionale" si è fatto prepotentemente strada in esso.
Fin qui, la strada sembrerebbe aperta alle più fosche ipotesi. E come non registrare il fatto mostruoso che siano gli stessi proletari a plaudire ad un personale politico che li martella con l'affermazione inequivoca che, di qui in poi, non si farà più "ristretta politica di classe", che il proletariato è solo "una componente" accanto alle altre del "popolo" e che per il "popolo", col suo corollario dell'"economia nazionale", ci si dovrà muovere, all'occorrenza anche contro le "spinte corporative" dei "singoli settori" operai?
Sì, lungo questa china (non creata, ma certamente favorita dal riformismo), il proletariato è rinculato rispetto al suo stesso esser riformista precedente.
Però... Però, questo stesso proletariato non ha cessato per questo di vivere e sentire la propria condizione di classe inassimilabile nel calderone di "tutto il popolo". Costretto dai suoi stessi dirigenti a trangugiare l'amaro boccone dei sacrifici, esso ha dovuto constatare sulla propria pelle che quei sacrifici sono stati inghiottiti voracemente dal capitale senza contropartita alcuna. Creatore dell'insieme della ricchezza sociale, esso è stato costretto a riconoscere di aver foggiato per sé solo delle catene, e sempre meno dorate.
Di qui il suo tornare a bussare alla porta del "proprio" partito per la difesa dei propri interessi - orrore! - di classe, "corporativi". Solo che, a questo punto, esso non ha trovato nell'attuale PCI un punto d'approdo cui tranquillamente, naturalmente attraccare. Non poteva trovarlo, perché all'attuale "riformismo" mancano tutte le premesse di affermazione su lungo ciclo del periodo precedente, a misura che esse mancano all'alter ego capitalista. Di qui ricomincia il purgatorio della ricostituzione di un senso, di un'organizzazione, di un programma militanti, di classe nel proletariato. Nel corso di esso vedremo un tipo di rapporto sempre più tendenzialmente mediato, conflittuale tra proletariato ed organizzazione riformista e sempre più tendenzialmente assisteremo ad una ripresa di autonomia classista destinata a "fuoriuscire" dall'alveo delle compatibilità proprie del riformismo.
Questa è l'altra faccia della medaglia, quella per noi più promettente e, storicamente, l'unica certa alla distanza.
... Ma proprio questo rapporto renderà difficile al PCI portare la nuova "svolta" alle estreme conseguenze
Punto terzo. Ma perché il PCI di Occhetto non potrebbe ritornare a stabilire col proletariato il tipo di rapporto precedente? Per la semplice ragione che un partito revisionista ("agente della borghesia in seno alla classe operaia", per dirla con Lenin) non può, dopo esser cresciuto per decenni nell'ambito della società borghese, diventata l'alfa e l'omega del suo essere, non può rinnegarne gli imperativi essenziali, materialmente diventati i suoi stessi imperativi e, nel ciclo di crisi catastrofica del capitalismo che va ad aprirsi, i margini per una gestione capitalista "dal punto di vista operaio" si fanno sempre più ristretti ed irti di insanabili contraddizioni.
Un ciclo storico si è compiuto. La vecchia socialdemocrazia tedesca del '19 poteva svolgere il suo compito controrivoluzionario nel nome non fittizio della massa operaia e persino di una "equilibrata" rivoluzione. Lo stalinismo ha potuto svolgere lo stesso compito addirittura brandendo le insegne della "dittatura del proletariato". Oggi non è un caso che queste forze tornino a confondersi insieme, nelle metropoli imperialiste, in un unanime riconoscimento dei sacri principi liberali propri di una rivoluzione... senza rivoluzione borghese. L'era del riformismo della SPD e di Stalin o Togliatti sull'altro versante is over, è definitivamente tramontata.
Solo che mentre il proletariato è potuto cadere nella trappola "operaio"borghese senza poter dimenticare di essere, "in seno al popolo" ed all' "economia nazionale", una bestia particolare, dotata di interessi di classe propri, l'intelaiatura delle organizzazioni cosiddette riformiste si è sempre più e sempre più in profondità staccata dalle determinazioni immediate della propria originaria base classista di riferimento.
Punto quarto. Parleremo allora di "mutazione genetica" (come arriva a dire persino un Cossutta) o di "trasformazione della natura" di classe precedente (come fa, ad esempio, la LCR)?
Evitiamo un grosso equivoco. Dall'inizio alla fine il riformismo con muta natura, se è vero, com'è vero, che la sua natura è propriamente ed esclusivamente borghese. I "geni" del PCI hanno cessato di essere comunisti sin dagli anni venti, così come quelli del PCUS, né possono essere ricondotti ad essere quelli che erano prima che la controrivoluzione li cancellasse. Perciò noi diciamo che Occhetto è figlio di Togliatti e Stalin quanto a natura di classe, così come Gorbacev lo è di Stalin, ad onta dei sincerissimi disconoscimenti degli avi (per quanto essi conservavano di una lontana impronta deformata del comunismo; non certo per il loro esser stati buoni agenti controrivoluzionari).
Nessuna "mutazione genetica", in senso proprio dunque, ma - questo sì - un abbandono nettissimo delle originarie caratteristiche, ideali e materiali, della sussunzione degli interessi del capitale "dal punto di vista operaio". A spiegarlo non servono i cambi di personale politico e di "idee"; lo spiega il corso determinato del capitalismo ed il travaso delle sue leggi strutturali sul piano ideologico. Il segreto della differenza tra Togliatti ed Occhetto, tra Stalin e Gorbacev sta tutto qui, e pazienza se persino tra le "avanguardie" c'è chi non lo capisce ancora.
Attenzione, però. Il venir meno delle condizioni storiche per giocare organicamente alla difesa del sistema "dal punto di vista operaio" non significa che il "riformismo" voglia o possa cancellare dalla propria agenda "popolare" le masse di sfruttati che, comunque, ne costituiscono un decisivo supporto. Fino all'ultimo, anche se in maniera sempre più contorta e contraddittoria, sarà tenuta alta la bandiera dei "diritti" di queste masse. Ciò costituisce la condizione stessa dell'affermazione delle forze "progressiste" (PCI in Italia, laburisti in Inghilterra, socialdemocratici in Germania, democratici in USA...) contro il "blocco conservatore" e, con essa, la condizione stessa per salvare il sistema da un'offensiva di proletari "non rappresentati" all'interno della società borghese.
Ovvero: determinate formazioni "operaio-borghesi" possono anche cessare del tutto di essere "operaie" (nel PSI questo fenomeno si è verificato tumultuosamente nei primi anni '60); altre (come l'attuale PCI) possono lavorare ad annacquare sempre di più l'originaria componente "operaia", ma lo spazio operaio non viene mai lasciato vuoto dal riformismo, al di là dei destini di questa o quella organizzazione. Del PCI attuale si può dire che esso ha compiuto un suo mezzo MIDAS (se non vi bastano i programmi, date un'occhiata al personale dirigente emergente dai vertici sino ai livelli medio-bassi, in particolare tra i giovani), ma è dubbio che possa andare oltre sino alle estreme conseguenze, perché, come ha avvertito Cossutta, se queste fossero tirate sino in fondo nessuna forza al mondo potrebbe impedire ai lavoratori comunisti di trovare un'altra via per restare comunisti (cioè: "veri riformisti" operai) e l'attuale situazione dello scontro tra le classi non induce davvero a tanto neppure i più spregiudicati "girondini" occhettiani.
Il riaccendersi dello scontro di classe riattizzerà le divisioni nel PCI
Punto quinto. Che ci preparano i tempi del dopo-congresso sotto il profilo sopra indicato?
Una cosa è certa: l'attuale gelatina (sociale prima che politica) per cui nel PCI centro, destra e sinistra si sono potuti tutti "egualmente" riconoscere nel "nuovo corso", al punto che certi sinistri hanno parlato con accenti di destra e viceversa, in omaggio all'unitarietà così acquisita attorno ad Occhetto, non potrà mantenersi indefinitamente intatta. Tralasciando per il momento il caos Cossutta, su cui torneremo noi constatiamo che la fune del PCI è "unitariamente" tirata dai Bassolino da una parte, dai Napolitano dall'altra. Dietro i primi premono, anche soggettivamente, tendenze "operaio"-borghesi spinte a successive radicalizzazioni; dietro i secondi contro-tendenze volte a completare il mezzo MIDAS in vista di quella "realistica" svolta alternativistica "democratica" che sta a cuore a Craxi. La Conferenza Operaia può anche esser stata messa provvisoriamente nel dimenticatoio dai suoi stessi promotori di vertice per quanto attiene alle roboanti promesse di ripresa della lotta sociale, ma le ragioni di essa tornano già oggi ad imporsi, dal momento che la classe operaia sta lentamente riprendendosi dalle batoste subite in tutti questi anni e non pare proprio disposta ad accettarne di altre in nome di ormai inesistenti - anche sul piano puramente demagogico - promesse "a futura memoria".
È certo che fino ad un certo punto la "sinistra" del PCI asseconderà e persino promuoverà questa ripresa di lotte, com'essa sa e può (cioè nel modo disordinatissimo e contraddittorio che si è visto alla FIAT, nei porti, in occasione della vertenza-fisco, a Pomigliano, e via dicendo), così come è certo che essa si troverà a collidere fino ad un certo punto con le spinte più avanzate di queste lotte. Fatto si è che ciò riattizzerà le divisioni in seno al PCI e metterà ulteriormente in moto la dinamica dei rapporti tra proletariato e partito aprendo spazi nuovi alla diffusione di barlumi, se non altro, di coscienza di classe.
(Il contrario potrebbe verificarsi solo nell'ipotesi di un generalizzato rilancio del capitalismo in grado non solo di fare a meno di altre spremiture antioperaie, ma addirittura di concedere ai proletari nuove briciole a cascata. Neppure i più ottimisti tra i borghesi osano metterlo nel conto. Noi non saremo da meno.)
Se in queste lotte i comunisti sapranno essere presenit a tutti i livelli (quello politico in primis, non staccato dal movimento - com'è logico-, ma neppure obliterato col "mettersi a servizio del movimento") un passo in avanti sarà fatto verso la costituzione del partito a venire (ciò che implica una rottura decisiva da parte proletaria con tutte le frazioni riformiste).
Riformismo "duro" e comunismo
Punto sesto. È questa "musica dell'avvenire"? Il magro seguito di Cossutta, l'unico che abbia avuto il coraggio di parlare un linguaggio di classe attaccando da cima a fondo (da neotogliattiano, certo...) le basi costitutive del discorso e delle operazioni politiche occhettiane, potrebbe indurre a crederlo.
Una tale impressione è, però, del tutto ingannevole, Per quale motivo la massa degli operai picisti non ha appoggiato la linea Cossutta? A dire il vero, i motivi sono molteplici. Nell'ordine: la "forza di convinzione" dello sviluppo capitalista precedente da cui la massa operaia ha tratto qualche beneficio relativo immediato e che essa crede ripristinabile a colpi di "democrazia economica" e politica (non lo sosteneva anche Cossutta in un non lontano passato?); il crollo materiale di un credibile punto di riferimento "socialista" (e non ci ha contribuito in proprio anche Cossutta da buon "socialista in un paese solo"?); l'inerzia del passato, dunque, e l'insufficiente maturazione presente di contraddizioni di classe giunte al punto di esplosione. In una situazione oggettivamente e soggettivamente "a metà del guado", la maggioranza dei proletari picisti si è accontentata al momento della musica delle sirene occhettiane e bassoliniane. Della "nuova linea" Occhetto essa, senza leggere i documenti, ha capito quello che voleva capire: l'impegno a ritornare sul fronte di una lotta dura contro 1"`ingiustizia", e la "sfida" a Craxi in questa luce, con in più la garanzia (quanto illusoria!) che a marciare in questo senso sarà un partito unito e compatto.
Dall'altra parte, l'alternativa enunciata da Cossutta risulta estremamente povera proprio quando dai lontani "principi" (figuriamoci!, il "superamento" del capitalismo a colpi di "democrazia progressiva") e dai riferimenti "esterni" ad un mondo "socialista" sempre meno appetibile nella sua realtà effettiva - a cominciare dagli stessi esponenti al vertice di esso - si scende sul terreno concreto ed immediato delle lotte da fare, del come farle e per quali obiettivi, economicamente e politicamente parlando. Affrontare sul serio questi temi da un punto di vista comunista avrebbe significato rimettere in causa qualcosa di più che non recentissime "mutazioni genetiche"; sarebbe stato necessario rimettere in causa precisamente le radici profonde del revisionismo picista, di cui il "mutante" Occhetto non è che l'ultimo legittimo e degenere figlio. Ma un tale discorso non si sarebbe potuto comunque fare all'interno di un PCI cresciuto entro queste dimensioni.
Sta di fatto che, per rilanciare il proprio "togliattismo (quasi) ortodosso", Cossutta ha mirato al presente soltanto a conquistarsi un diritto di cittadinanza (1'"Unità" gli ha concesso volterrianamente la "tolleranza") all'interno dell'attuale calderone del partito sapendolo in pre-ebollizione e destinato a futuri dislocamenti. Ha piantato un primo paletto per il futuro prossimo, da saggio "entrista", e intanto raccoglie già delle prime pattuglie trasversali di attenzione ed aggregazione, dentro e fuori il PCI.
Non ci è dato sapere e non ci interessa stabilire se saranno i "cossuttiani" (comunque oltre gli attuali confini di "frazione") a prendere in mano le sorti della prima consistente ondata di radicalizzazione riformista. L'importante è che vediamo la linea di dislocamento obbligata, per saperla seguire (non inseguire, nota bene) ai nostri fini. Sicuramente essa sarà tanto complicata da non lasciarsi rinchiudere in alcuna formula prefissata o prefissabile.
Per intanto, vada pure avanti la massa più avanzata all'insegna del "nuovo corso". L'importante è che essa esiga che le proprie esigenze siano tradotte sul serio in fatti concreti. Se questo avverrà, ed avverrà, il tallone di Achille verrà allo scoperto, e tutta la situazione si rimetterà in moto.
* * *
Solo dopo aver detto queste semplicissime, ma a molti indigeribili, cosucce potremmo soffermarci un attimo sui contenuti delle relazioni Occhetto e del "dibattito" che esse hanno incorniciato. Ma ci accorgeremmo di averlo già fatto altre volte e a sufficienza, prima ed indipendentemente dal Congresso.
Ci limitiamo ad una semplice ripetizione. Marx parlava del comunismo come del "sogno di una cosa" certa. Anche Occhetto e i suoi hanno una cosa da sognare, del tutto insussistente: il ritorno ad un liberalismo allo stato puro, quale mai è esistito né mai potrà esistere, con tanto di diritti eguali per "cittadini" diseguali, col sovrano rispetto dell'Uomo e della Natura in uno con quello del Giusto Profitto. Fortuna o sfortuna che sia, del 25% degli iscritti che hanno partecipato ai precongressi solo una parte "eletta" di intellettuali e piccolo-borghesi in genere si sarà sentita in grado di affrontare la lettura del polpettone occhettiano e - giustamente - di condividerlo con tutta la propria Testa ed il proprio Cuore. Quella parte proletaria, del 25 e del 75 per cento, che a noi interessa si aspetta semplicemente che sia rimesso in giusta luce quel piccolo frammento del capitolo undici della relazione che parla della classe operaia. Su questo si dovrà ingaggiare una battaglia che non è principalmente di lettura o redazione di testi, ma di messa in campo di forze reali.
Certo, nel documento congressuale i veri temi del presente, del proletariato e con esso dell'umanità, ci sono tutti. Come abbiamo scritto più volte, non ci occorre cercare altrove il terreno della nostra battaglia, essendo esso già tutto indicato dal riformismo. Con l'unica differenza che quest'ultimo inverte l'ordine e la connessione delle questioni, precludendo a se stesso ogni soluzione propria e lavorando però attivamente a precludere quella possibile e necessaria che è propria della nostra classe.
Già oggi settori non insignificanti di proletariato (e persino di strati extraproletari) sono nei fatti oltre l'orizzonte delle "tesi" occhettiane. Persino da certi settori cattolici è venuto un avvertimento: ma davvero pensate, voi dirigenti del PCI, di realizzare le prospettive che dichiarate di voler perseguire sulla base di questa melassa demagogicamente "umanitaria" che mette tra parentesi l'asse centrale costituito dal lavoro salariato, che si guarda bene dal pronunziare una sola volta la parola imperialismo e cita il capitalismo meno di quanto citi Craxi? Ma chi è che crea le ingiustizie, che distrugge l'ambiente, che fa incombere sull'umanità il rischio della guerra? È davvero l'Uomo, l'incosciente Adamo di sempre, vittima del Peccato Mortale? O non è un sistema sociale dai rapporti ben definiti?
Se a chiederselo possono essere dei preti e dei volontari cattolici tanto più dovranno chiederselo i proletari, facendo finalmente i conti con se stessi e col riformismo di cui e da cui sono infettati.
Un congresso coreografico è finito; un altro, silenzioso, lungo, tormentato, ma destinato a scavare in profondità, è cominciato. Proviamo a seguirlo come si deve...
ARTICOLI SUL PCI PUBBLICATI NEI PRECEDENTI NUMERI DEL "che fare"
N. 2 - Dossier: Dove va il PCI pag. 7-10: Anagrafe del PCI. PCI e società. Composizione sociale. La politica economica. La politica internazionale.
N. 3 pag. 14: Il PCI verso il congresso: crescono le difficoltà del riformismo.
N. 11 - Dossier: Dopo le elezioni: PCI, base operaia, proletariato, rivoluzione pag. 7-10: Elezioni '87: quale era la posta in gioco. Che succede nel PCI. Le basi del "migliorismo ": l'esempio Coop. PCI: la voce della destra... della sinistra... della base operaia. Il voto al PCI dal '46 a oggi. La nostra parola al proletariato. I flussi del voto dall'83 all'87.
N. 12 pag. 12-13: II PCI tra "vecchia identità" perduta e "nuova identità "fantasma.
N. 13 pag. 2-3: Alla fine degli anni '80 ha ancora un senso oppure no una critica dell'esistente, della società capitalista? pag. 14: A proposito di Togliatti, di storia, tradizioni e futuro del movimento di classe.
N. 14 pag. 10: Un PCI senza zoccoli. Occhetto ai compagni: vi propongo di proporre. Ma il menù è già fissato: capitalismo oggi e sempre.
N. 15 pag. 12: Ultime dal "riformismo forte": Una esercito di mestiere a servizio del mestiere capitalista.
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