DAGLI USA ALLA GERMANIA
CON... VELENO
Alla sfrenata esaltazione del preteso "boom" economico, si accompagna, di questi tempi, la propaganda sull'apertura di una nuova fase di distensione internazionale. In realtà, coprendosi sotto questo schermo di parole ipocrite, il capitalismo va verso conflitti sempre più aspri perfino tra "tradizionali alleati". Eccone un esempio.
"Newsweek" del 5 dicembre scorso dedica la copertina e il suo servizio-chiave alla "Europa dopo la guerra fredda" ed a Genscher, il ministro degli esteri della Germania federale, indicato come l'ostinato architetto della cooperazione tra Est e Ovest.
E' sufficiente la freddura all'arsenico con cui si apre l'articolo per intendere la schietta simpatia di cui Genscher gode oltre Atlantico: "Sembra che due aeroplani, entrambi appartenenti alla aviazione tedesca occidentale, siano entrati in collisione sopra l'Atlantico. Gli investigatori hanno scoperto che il ministro degli esteri tedesco, Hans-Dietrich Genscher, era a bordo di entrambi gli aerei. C'è di più: egli è sopravvissuto all'incidente".
Dopo un'ouverture da CIA e una melliflua ed acida sviolinata al "più influente ministro degli esteri europeo", s'arriva presto al cuore del problema: la messa sotto accusa della sua "politica fondamentale, edificare un accorto ma stabile accomodamento con l'URSS". Il pericolo, per iredattori di "Newsweek", non è tanto e soltanto nella "orgia" di contratti conclusi da Kohl a Mosca, cosa di cui si guardano bene dal rallegrarsi, ma nella "Genscherizzazione" di tutta la politica dell'Europa occidentale.
Genscher va preso sul serio, molto sul serio, dicono. "È la figura politica più popolare in Germania". Il suo programma viene così sintetizzato: "in nome della distensione... moltiplicare il commercio con l'URSS e l'aiuto all'URSS". Non è cosa da poco, dal punto di vista americano!
Il "genscherismo" è, in sostanza, la convinzione che "l'Ovest, nel suo stesso interesse e nell'interesse dei cittadini del blocco sovietico, deve esplorare ogni possibile via per (accrescere) la cooperazione tra Est e Ovest. Stando a Genscher, la testarda ricerca di una base comune tra est ed ovest (che noi leggiamo: tra borghesie dell'Est e dell'Ovest n.) è pienamente compatibile con una Alleanza Atlantica forte e con una crescente coesione della Cee. Ma (qui sta il vero problema di concorrenza tra briganti -n.) egli vede l'Europa, dall'Atlantico agli Urali, come una sola entità culturale (è delitto di lesa Jalta, cioè di lesa America -n.). E (peggio ancora! -n.) è convinto che la Germania, in quanto potenza-chiave dell'Europa centrale ed in quanto aggressore nella 2a guerra mondiale (il biforcuto Genscher... -nn.), porta una speciale responsabilità (interesse -n.) nell'edificare un futuro pacifico (di lucroso sfruttamento a proprio vantaggio -n.)".
Da questa prospettiva gli USA si sentono doppiamente minacciati.
Il mondo intero, a sentire Giorgio Napolitano, è percorso da una "benefica ansia di pace". I governanti di Tokio sono, evidentemente, un po' distratti. Il loro bilancio di spesa militare per l'89-'90 infatti, prevede per esse un + 6% almeno, "probabilmente il maggior aumento tra le varie voci di spesa" ("Il Sole 24 Ore", 20 gennaio '89). Non è una novità di oggi. Da almeno un decennio, il Giappone è percorso da una "benefica ansia di .." spese belliche, come si può vedere dal grafico. L'aumento è stato di almeno il 140-150% in dieci anni, nettamente superiore a quello del prodotto nazionale. Ufficialmente, non è stato sforato il tetto dell'1 % del PNL. Nei fatti "gli stanziamenti reali sono molto superiori. L'esercito giapponese è (già) considerato il terzo al mondo per quantità e qualità di armi convenzionali" (ivi). |
Che cos'è, infatti, questo "futuro pacifico" se non, prima di tutto, "il sogno di riunificare la Germania dell'Est e dell'Ovest" senza curarsi di "quante mai concessioni siano richieste (a tale scopo) dal blocco sovietico"?
Fosse un sogno personale di Genscher, passi. Il guaio è, scrivono Sullivan e Meyer, che tutta la Germania gli si è accodata. Perfino il suo strenuo oppositore, Strauss, arrivò ad adottare un "approccio accomodante" verso l'URSS, sostenendo che "non c'è più bosogno di temere intenzioni aggressive da parte dell'URSS". Fosse ancora propaganda, l'allarme sarebbe minore. Cosa sono costretti a vedere, invece, gli avidi occhi yankee? "uomini d'affari tedeschi (che) si battono per concludere affari con i Russi e i loro alleati", "banche tedesche (che) gli offrono crediti ammontanti a centinaia di milioni di marchi"... E poi, dietro i capifila tedeschi, ecco la Spagna, l'Italia, la pur nuclearizzata Francia di Mitterrand e perfino la Gran Bretagna della rocciosa Thatcher non riesce a resistere all'attrazione fatale che "in una certa misura".
Del resto, nell'intervista concessa al settimanale, Genscher fa finta di credere che "l'Europa casa comune" di Gorbacev ovvero quella che ha in mente lui (e non è certo il primo tedesco a nutrire simili "pensieri"...) siano la riedizione di quella "Europa in pace", sotto chiave di Washington, proposta dai vertici NATO decenni addietro. Ma non ricorre a giochi di prestigio diplomatici quando rivendica che "neppure decenni di separazione sono riusciti a cavar fuori dall'unica Europa due Europe, nè dall'unica nazione tedesca due nazioni tedesche". E quest'unica nazione tedesca ha il "ruolo" di "mettere fine alla divisione tra Est e Ovest".
I portavoce dei capi-banda in declino dell'Ovest replicano sferzanti che "il nuovo interesse della Germania a concludere affari con i Russi" (come parlano chiaro i borghesi quando attaccano i propri concorrenti!) fa scuotere la testa agli USA. Se si sussidia Mosca, ammoniscono, la si lascia libera di continuare ad armarsi. (Parla così un'America che in otto anni di reaganismo ha triplicato la spesa bellica!). Se si vuole dare all'URSS tecnologia sofisticata "che può essere usata per la guerra" (ma non siamo alla "nuova distensione"?), è anche peggio. E se infine gli europei resistono alla modernizzazione dei residui missili americani presenti in Europa - è di nuovo Bonn nel mirino-, tutto ciò "tradisce le profonde e sempre più profonde divergenze tra il punto di vista americano e quello tedesco sui rapporti tra Est e Ovest".
"I tedeschi" in generale, notano i redattori di "Newsweek", "ritengono irreversibili i cambiamenti in corso all'Est" e "deplorano" sia la divisione tra le due Germanie che la permanenza sul suolo tedesco di centinaia di migliaia di soldati "stranieri". Se Genscher è così forte e continuerà ad andare avanti con caparbietà per la sua strada, con i democristiani o con i socialdemocratici, è semplicemente perché è "un genio" nell'esprimere questi sentimenti del "popolo" tedesco. L'ostilità verso il ministro degli esteri è perciò l'ostilità USA verso una Germania capitalista colpevole, ben più che di "aiutare" la Russia, di aiutare... se stessa.
Un tale umore affiora sempre più spesso sulla stampa americana. Commentando la notizia che il 70% dei tedeschi ha un'opinione favorevole di Gorbacev e che pertanto egli è in Germania il più stimato dei "leaders politici", "The Wall Street Journal" scrive: "le città tedesche fanno a gara nel fare gemellaggi con le città sovietiche e anche i politici tedeschi di destra stanno proclamando la fine della minaccia sovietica. I tedeschi ormai mettono sullo stesso piano USA e URSS".
Vent'anni, lavoratore israeliano in divisa da parà dichiara in faccia a Shamir: "Quando mi alzo al mattino, dico a me stesso: ora vado, agguanto un uomo, gli guardo le mani e mi rendo conto che è un lavoratore come me. Ciononostante devo schiaffeggiarlo e devo infliggergli colpi micidiali per indurlo a temermi ". Non sappiamo chi è questo Yotam. Sappiamo però che con la sua voce si è espressa, davanti a tutto il mondo, una prima presa di coscienza dei lavoratori israeliani, un primo, straordinariamente importante, rifiuto di opprimere e reprimere i palestinesi motivato da ragioni di classe. Apprendiamo altresì da "Yesh Gvul" che sono diverse centinaia i "refuznik", gli israeliani, per lo più giovani, che si sono rifiutati di prestare servizio contro l'Intifada. Di essi una cinquantina sono tuttora in carcere. L'unità, la mitica unità dell'esercito israeliano, dunque, "si sta erodendo", (l'espressione è sempre di un altro parà). L'economia di guerra e la disciplina di guerra, da un lato, la lotta degli sfruttati palestinesi dall'altro, stanno spingendo le differenti classi di Israele verso le posizioni più "naturali". La borghesia israeliana, Likud compreso, tende sempre più pubblicamente la mano alla direzione dell'OLP (senza rinunciare a colpire le masse palestinesi). I lavoratori israeliani, sia pure molto più lentamente, iniziano a riconoscere nei palestinesi sfruttati dei propri compagni di classe. Non si combatte in Palestina solo una lotta nazionale, ma insieme una lotta di classe! "Sia pure a fatica - scrivevamo sul "Che fare", n. 13 - la società israeliana va dividendosi, sul piano sociale... e sul piano politico". Avanti, dunque, "shabab" palestinesi, avanti Yotam israeliani contro il comune nemico imperialista e borghese! |
La recente "controversia" sulla fabbrica libica di Rabata ha portato all'acme negli States il bombardamento propagandistico anti-tedesco, nello stesso momento in cui rilanciava la infame crociata imperialista contro la Libia e le masse arabe. In un editoriale del "New York Times" si è potuto leggere perfino quanto segue: "I figli dei nazisti (che sono oggi, beninteso, "fedeli alleati" della democratica America -n.) che mandarono alla camera a gas milioni di ebrei rischiano di essere complici nella costruzione di una fabbrica che consentirebbe alla Libia di uccidere col gas i figli degli ebrei che furono vittime dei lager nazisti" (nella completa indifferenza e complicità delle "potenze democratiche", of course...). Non è certo la sorte degli "ebrei" a scaldare tanto gli animi al "New York Times", ma la sorte del capitalismo imperialista americano. Ciò che inquieta Wall Street non è certo vedere la vecchia "ombra di Auschwitz" nel Sahara, ma vedervi i capitali tedeschi in competizione vincente con quelli propri. È questo che spinge i mass media americani a chiedersi con crescente ansia: "ci si può fidare dei tedeschi?".
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Non ci interessa, qui, discutere sulla realizzabilità o meno dei "sogno" della "riunificazione" borghese della Germania, che le "potenze democratiche", e gli USA in testa, vollero divisa, alla fine della guerra mondiale, prima che per fiaccarne la sua potenza industriale, che viceversa concorsero a ripristinare, per fiaccare strutturalmente la forza del suo proletariato. Lo faremo quanto prima, convinti come siamo che anche per la rivoluzione proletaria è la Germania il campo di battaglia decisivo in Europa. Qui intendevamo mostrare, con un esempio di non secondaria importanza (altri ne faremo nei prossimi numeri del giornale), come la "nuova distensione" tra Ovest ed Est sia destinata ad acuire i contrasti tra USA e Germania (ed Europa), e non soltanto quelli.
Il cd. "genscherismo" ha, naturalmente, come ogni altra versione della politica di "distensione" inter-capitalistica, un chiaro contenuto anti-proletario. "Ovest ed Est - ha scritto lo stesso Genscher su "Die Zeit" del 21 ottobre '88 - sono da tempo molto più interdipendenti di quanto non si creda (1). Non è la negativa, ma la positiva evoluzione economica dei paesi socialisti a creare stabilità (per il capitalismo, democratico o "socialista" che sia -n.) in Europa. Il futuro dell'Europa (capitalista e imperialista - n.) è nella collaborazione e nella concorrenza produttiva e non nella destabilizzazione dell'altra parte". Il capo liberale tedesco ritiene compito dell'Occidente aiutare i regimi "socialisti" ai ri-consolidare lo sfruttamento e l'oppressione capitalistica sul "proprio" proletariato. Così ne uscirà ri-consolidato anche l'Ovest.
Di ciò, altrettanto naturalmente, nè "Newsweek", nè "The Wall Street Journal", nè i loro corrispettivi europei banditori di "libertà", si sognano di dolersi. Al contrario: è materia su cui c'è profonda, sempre più profonda convergenza "tra il punto di vista tedesco e americano" e... russo. La classe operaia ne sta facendo esperienza. Non mancherà di trarne le conseguenze.
1) Quanto alla interdipendenza economica, si consideri che, nel 1951, in pienissima "guerra fredda", RFT e RDT hanno stabilito che le relazioni reciproche "rientrano nella sfera del commercio interno tedesco" e, di conseguenza, non sono sottoposte alle norme sul commercio internazionale. Sicchè la RDT può smerciare i suoi prodotti nella CEE senza pagare dazi doganali, mentre la RFT è libera di smerciare "legalmente" in tutto il mondo manufatti prodotti nell'"altra" Germania a minor costo come se fossero "made in West Germany". La RDT, del resto, è definita "il tredicesimo paese della CEE". Avvertenza: non si traggano da ciò e da quanto è scritto sopra deduzioni superficiali, meccaniche sui riflessi politici e militari, ma "soltanto" seri indizi sul fondamento materiale "molto serio", per dirla con "Newsweek", dei contrasti di interesse in causa.