SEGNALI ALLARMANTI
Il comunicato del Comitato Estero del Partito comunista d'Iran che qui pubblichiamo costituisce un accorato appello a "rompere il silenzio" intorno alla nuova ondata di feroce repressione borghese che, per mano del regime khomeinista, si sta abbattendo sui prigionieri politici iraniani.
Facciamo nostra, incondizionatamente, questa necessità, a cominciare dalla pubblicazione dell'appello stesso e dall'invito che rivolgiamo ai nostri lettori a denunciare questa repressione davanti alle masse lavoratrici come primo avvelenato frutto anti-proletario, in Iran, della "pace" imperialista nel Golfo.
Gli infami architetti di questa "pace" imposta dalle flotte belliche occidentali vorrebbero che sulla "questione del Golfo", e specialmente sulla guerra appena sospesa, calasse il sipario. Magari tra gli appalusi ai "nostri" democratici governanti, quegli stessi che la guerra l'hanno incessantemente alimentata, per avere ricondotto alla "ragione" i contendenti. È il momento dei grandi affari, della "ricostruzione"! Ci sarà benessere e "pace" per tutti, si vuol far intendere, per "noi" che vendiamo e per "loro" che ricostruiscono. È il momento dei brindisi, non delle denuncie.
I comunisti internazionalisti schifano questi abbracci "di pace" tra capitalisti sulla pelle degli sfruttati! Ci lega indissolubilmente alla lotta del proletariato e degli sfruttati d'Iran, come di quelli di tutto il mondo, il destino unitario e indivisibile della rivoluzione.
Ieri, oggi, domani la lotta anti-imperialista ed anti-capitalista in Iran, in Iraq, nel Kurdistan, in Palestina, è la nostra lotta. Tanto più tale, quanto più il silenzio e la passività della classe operaia metropolitana la lasciano al momento isolata e alla mercè dei "pacificatori" di oggi che sono i criminali di guerra di ieri. Sappiamo bene che la denuncia della esecuzione di massa dei prigionieri politici da parte del regime khomeinistan, la denuncia dei bombardamenti chimici sui curdi del regime iracheno, sono, al fondo, atti di denuncia e di lotta contro i "nostri" Stati, le "nostre" borghesie imperialiste, che dell'Iran e dell'Iraq sono i soprastanti e i protettori.
Piena solidarietà, quindi, ai prigionieri politici iraniani ed ai compagni del Partito comunista dell'Iran.
Ma, proprio per la natura della nostra solidarietà rivoluzionaria, non possiamo tacere che l'appello del Comitato Estero del PC d'Iran ci appare sbagliato per i destinatari a cui è rivolto e per la stessa impostazione di fondo.
Chiaro destinatario dell'appello è il cittadino europeo o occidentale dotato di una certa sensibilità morale ed umana, capace di qualche sia pur piccolo passo, come nel caso degli aiuti all'Armenia (cui si fa implicito, ma evidente riferimento), pur di salvare "esseri umani". Non a caso il titolo del comunicato: "Live Aid" for Iran! A questo cittadino democratico si domanda di far sentire la sua voce di protesta e di "chiedere" al suo governo di "mettere sotto pressione politica ed economica la Repubblica Islamica".
C'è, in questo, una duplice enorme svista (se è tale) che non potrà portare giovamento nè alla causa rivoluzionaria in Iran, nè alla causa della libertà dei prigionieri politici iraniani.
Quale tipo di solidarietà "all'Iran", infatti, possono dare i cittadini "democratici" delle metropoli (di cui, tra l'altro, i sottoscrittori per l'Armenia non sono neppure il più "avanzato" esemplare)? La risposta non è difficile; c'è una lunga esperienza che ci aiuta a trovarla. In dieci anni di "governo islamico" sull'Iran lo avete forse visto uscire dal suo "silenzio" e protestare a sostegno della classe operaia iraniana ricacciata indietro dal khomeinismo, angariata dalle nuove leggi sul lavoro, privata dai suoi organismi di lotta, oppure protestare contro la repressione ai danni dei contadini del Turkman Sahra o della resistenza di massa del popolo kurdo? Lo avete mai visto protestare contro le industrie e i governi occidentali per avere soffiato sul fuoco di quella guerra reazionaria che ha martoriato le carni dei lavoratori iraniani ed iracheni?
Certo, le forze "democratiche" ed i cittadini "democratici" delle metropoli imperialiste possono anche far proprio l'invito a schierarsi contro il khomeinismo, ma, se parliamo della massa borghese o piccolo-borghese di costoro, in un senso ben diverso da quello che possono sperare dei rivoluzionari iraniani. Queste forze si tennero in disparte, apparentemente ed apparentemente neutrali, negli anni scorsi. Hanno cominciato ad agitarsi, invece, negli ultimi anni, quando i bagliori dell'incendio anti-imperialista nel Golfo Persico e nel mondo arabo si sono levati minacciosi sin qua. Allora hanno "ricordato" di avere "valori", e cioè interessi materiali, da difendere. E quando le borghesie ed i governi dell'Europa li hanno chiamati contro la "barbarie" del "terrorismo arabo", della "rivoluzione islamica", etc., anche a sostenere l'invio delle flotte da guerra imperialiste, lo hanno fatto, non per sdegno morale contro il "barbaro e dispotico" regime islamico, ma perché vedevano in esso la bandiera dei veri "barbari" di cui hanno paura: gli sfruttati arabi ed "islamici".
Ci può ben essere e c'è un "anti-khomeinismo" più reazionario dello stesso khomeinismo. È 1"`anti-khomeinismo" imperialista. Ci mettiamo le virgolette perché non è vero anti-khomenismo, quale può essere soltanto, nel senso degli interessi di classe dei lavoratori, l'anti-imperialismo e l'anti-capitalismo coerente. L'anti-khomeinismo dei Bush, dei De Mita, e dei partiti "democratici" d'Occidente è tale solo a pro degli interessi di sfruttamento dell'imperialismo. È quest'"anti-khomeinismo" che ha prodotto quella "pace" in conseguenza della quale la Repubblica islamica può intensificare la sua criminale repressione all'interno, senza che i mass media occidentali rompano su di essa il muro del silenzio.
La "democrazia" è una bandiera che, all'occorrenza, esso ha agitato contro i Khomeini o gli Hussein. Ma in che senso se non mistificante? Il dispotismo dei regimi dei paesi dominati (gli Andreotti e i Craxi lo sanno molto bene) è l'altra faccia della medaglia della democrazia dei paesi imperialisti.
Questa si regge solo se quel dispotismo assicura super-sfruttamento dei lavoratori, materie prime a basso costo, e così via.
"Ci chiediamo come è possibile che si parli di pace in Iraq mentre il popolo curdo subisce un (...) genocidio da parte del governo iracheno. Negli scorsi mesi di agosto e settembre, proprio durante le trattative di Ginevra, sono morti per l'uso di armi chimiche oltre 30.000 civili inermi, mentre altre centinaia di migliaia di profughi curdi, donne, bambini, vecchi, fuggivano terrorizzati verso i Paesi confinanti" (da una lettera di studenti curdi in Toscana, pubblicata su "L'Unità", del 2 dicembre '88). |
È perciò del tutto illusorio pensare che le forze e i cittadini "democratici" dell'Occidente possano essere di aiuto a quella lotta, lotta di classe (o no?), che è necessaria per fermare la repressione khomeinista. E lo è ancora di più credere e far credere che basti che costoro "chiedano" ai "propri" governi un passo in questo senso, quasi che questi avessero solo bisogno di essere spinti a farlo, mentre sono proprio loro che, vestiti da "pacifici democratici", lucrano montagne di profitti per mezzo dello sfruttamento dispotico che si realizza attraverso i Khomeini, i Saddam Hussein, etc.
Nè è possibile stare nel mezzo tra fanti-khomeinismo imperialista (o subordinato in toto all'imperialismo, com'è quello dei Mojahedin di Rajavi, non a caso sponsorizzati, almeno fino a quando ha fatto comodo, dai "democratici" occidentali) e fanti-khomeinismo di classe che conta, in Iran come nelle metropoli, sugli sfruttati. Vediamo anzi nella ricerca di questa "terza via" della solidarietà internazionale le tracce di possibili errori capitali da parte dei compagni iraniani.
Quanto abbiamo letto nel n. 13 di "Bolshevik Message" è francamente allarmante. Vi si pretende di giudicare la guerra e la "pace" nel Golfo "dal punto di vista della classe operaia iraniana", ma si stacca questo punto di vista da quello del proletariato e della rivoluzione internazionali. Par quasi che la guerra sia andata tanto avanti per le mire "espansioniste" del regime khomeinista. E si capisce, tra le righe, che qualunque sconfitta del khomeinismo è un bene per il proletariato iraniano, magari anche se arriva per mano dell'assai più reazionario e dispotico imperialismo occidentale. Il silenzio più completo sulla sorte durissima dei fratelli di classe iracheni, lo stemperarsi dell'appello alla lotta contro l'imeprialismo, la quasi-scomparsa (nel comunicato che pubblichiamo: la scomparsa totale) del riferimento al proletariato metropolitano come il naturale referente qui del proletariato iraniano: sono altrettanti segni di un più complessivo processo a ritroso in direzione della nefasta collocazione teorica e politica del "socialismo in un solo paese".
Se ciò dovremo tornare con calma e ampiezza adeguate. Qui ci basterà dire che se si fosse per il Partito comunista d'Iran, bloccato e finanche invertito quel cammino "in ascesa" verso una completa acquisizione del marxismo di cui abbiamo più volte parlato, in nulla ne verrebbe inficiato il nostro impegno di solidarietà con la rivoluzione in Iran e di denuncia della repressione borghese-imperialista che si abbatte sull'avanguardia degli sfruttati iraniani. Anzi, esso dovrà venire ancor più potenziato in direzione della massa proletaria perché è l'ossigeno proletario e rivoluzionario delle metropoli che è drammaticamente mancato in questi anni a sostenere il coraggioso cammino del "giovane marxismo" iraniano.