Tra i risvolti della "perestrojka"

GORBACEV,

"POMPIFRE INTERNAZIONALE"

L'URSS garante della "pace" internazionale; Gorbacev "pompiere" intento a spegnere l'incendio anti-imperialista nel mondo. La borghesia mondiale deve esser grata al "nuovo corso" sovietico e ricambiare ad esso il favore. Questa è 1'"interdipendenza planetaria", di cui tanto si parla. Soccorrendo l'imperialismo occidentale aiutiamo noi stessi, si proclama dall'URSS. Soccorrendo la perestrojka è a noi stessi che diamo una mano, si proclama in Occidente.

E il proletariato? E i "popoli oppressi"? Rimasti privi del retroterra sovietico (con relative sabbie mobili) accetteranno di subire il nuovo ordine borghese internazionale che gli si prospetta, o...?

Si deve ad A. Jacoviello su "La Repubblica" la definizione gratulatoria di Gorbacev come "pompiere internazionale" cui l'Occidente è chiamato a restituire il favore perché "siamo tutti sulla stessa barca".

Non si poteva dir meglio, da parte borghese. E trascuriamo pure il "dettaglio" per cui questa ritrovata "pace" non sarà tale neppure dal punto di vista dei rapporti inter-borghesi. (Alla vigilia dell'89, dei commentatori televisivi italiani, una volta tanto acuti, hanno evocato una "strana" analogia tra l'anno che s'è aperto all'insegna della concordia universale tra capitalismi e quello di cinquant'anni fa -1939!-, marcato dalle stesse tamburate su una nuova epoca di pace e benessere "per tutti"; ci si è dimenticati appena di ricordare come Hitler fosse stato seriamente proposto per il Nobel della pace da parti che l'avrebbero poi dipinto come il Diavolo del XX° secolo in persona).

Noi sappiamo come 1'"anti-imperialismo" di Stalin fosse, nella sua sostanza ultima, una colossale menzogna. Per i marxisti l'anti-imperialismo equivale ad una lotta strategicamente unitaria delle classi e dei paesi oppressi in direzione del socialismo e sotto la guida di un partito comunista internazionalmente uno. La "costruzione del socialismo in un paese solo" e le conseguenti "vie nazionali" indipendenti e sovrane, anche sotto l'ombrello della "Patria del socialismo" quale "faro" di tutti e ciascuno, è l'esatto opposto della formula e della pratica staliniane.

Nondimeno, quella che noi marxisticamente definiamo come la costruzione di un moderno capitalismo in URSS, vantata per "socialismo", ad opera di Stalin era compito rivoluzionario che, per tradursi in pratica, implicava una lotta a fondo contro le aggressioni aperte e i condizionamenti indiretti del cuore metropolitano dell'imperialismo. Esso, perciò, trovava una coincidenza d'interessi con la lotta del proletariato delle cittadelle imperialiste e delle masse oppresse dei "popoli di colore"; da essa traeva linfa per i propri interessi e ad essa, di conseguenza, dava il proprio appoggio nell'ottica del vicendevole aiuto e del reciproco interesse (tipico linguaggio da bottegai!), a condizione, beninteso, che fosse esclusa ogni tentazione di mettersi sulla strada di una autentica rivoluzione comunista internazionale.

Gli anni di Stalin sono copiosi di esempi in questo senso. In Europa come in Oriente l'URSS è "a fianco" della lotta anticapitalista, salvo a pugnalarne le tendenze e le possibilità di affermazione comunista autentica. Per dirla con Trotzkij, lo stalinismo è insieme (altra volta ne abbiamo chiarito il senso) una "corrente legittima del movimento operaio" ed un "organizzatore di disfatte". La seconda constatazione non può oscurare il fatto che lo spazio occupato dallo stalinismo tra le masse degli sfruttati è affatto particolare rispetto a quello della socialdemocrazia, perfettamente e definitivamente social-sciovinista nelle metropoli ed assente od ostile dinanzi alla sollevazione dei colonizzati. I (pochi) rivoluzionari rimasti saldi sulle posizioni marxiste in questo periodo hanno, non a caso, qualificato lo stalinismo come "centrismo" (controrivoluzionario, certo!), senza assimilarlo alla socialdemocrazia classica od alla borghesia tout court. Dalla Germania alla Cina s'è avuto modo di vedere tre correnti all'opera: quella borghese sans phrase, quella socialdemocratica e quella "centrista". Tutte da battere e seppellire per i rivoluzionari, ma, per favore!, senza unificarle nell'indistinto buio di una stessa notte in cui "tutte le vacche sono nere". (Se poi qualcuno dirà che, ciò affermando, facciamo l'apologia dello stalinismo, gli diremo solo che "siamo in buona compagnia", con Bordiga e con Trotzkij, cioè i due massimi campioni -se altri ve ne sono stati- dall'antistalinismo marxista conseguente).

Con la seconda guerra mondiale, il ciclo controrivoluzionario dello stalinismo fa un ulteriore passo in avanti. Il Komintern, già precedentemente ridotto ad una larva alle dipendenze dello Stato sovietico, è sciolto anche formalmente, con tanto di giustificazione ideologica della peggior specie ("Lo scioglimento dell'Internazionale Comunista è giusto e tempestivo, perché facilita l'organizzazione dell'attacco comune di tutte le nazioni che amano la libertà sul comune nemico: l'hitlerismo" Stalin alla Reuter, 28 maggio 1943) (1). A Jalta si sanzionano le "reciproche sfere d'influenza" tra i due "blocchi" in cui sono divise le "nazioni che amano la libertà".

L'est europeo è "bolscevizzato" da Mosca coi carri armati della propria forza statale. Ai partiti "comunisti" dell'Europa occidentale si suggeriscono le "togliattiane" vie pacifiche della "democrazia progressiva" e a chi si aspetta che "addavenì Baffone" si assicuraa che Baffone se ne starà a casa sua e che nessuna rivoluzione comunista addavenì. Al compagno Mao, impegnato per la Cina sulla stessa via che era stata percorsa da Stalin -senza passare per l"`incidente" di una rivoluzione proletaria-, si raccomanda di non rompere l'alleanza col Kuomintang, stanti le disposizioni di Jalta e gli interessi ad esse legate della "patria del socialismo" sovietica. Se qualcuno (come i "comunisti" greci) non capisce l'antifona avrà ben presto modo di ricredersi: l'informe tentativo rivoluzionario sarà fatto abortire colaggiù col diretto concorso di Mosca.

Con tutto ciò, la politica di Mosca continua a rivestirsi di panni anti-imperialisti (borghesi, ma non fittizi). "Per eliminare l'inevitabilità delle guerre è necessario distruggere l'imperialismo... Si dice che la tesi di Lenin secondo cui l'imperialismo genera inevitabilmente le guerre deve considerarsi superata, perché attualmente si sono sviluppate potenti forze popolari, che agiscono in difesa della pace, contro un nuova guerra. Questo non è vero." Questo scrive nel '52 Stalin, in un residuo barlume di marxismo -come dirà Bordiga - affogato nella melassa controrivoluzionaria della "costruzione del socialismo" in URSS e del blocco dei paesi "fratelli" unificati nel... "mercato socialista". "E nella guerra -ribatte Bordiga-, non potrete o dovrete entrare anche voi, come produttori di merci, il che in lingua marxista vuol dire come capitalisti? Sola differenza tra voi russi e gli altri è quella che quei paesi industriali di pieno sviluppo sono già oltre l'alternativa di "colonizzazione interna" di sopravvissute isole premercantili, e voi siete impegnati in questo campo ancora a fondo." (Dialogato con Stalin, 1953).

Il carattere preimperialista dell'URSS, anche quando annette paesi interi al proprio "impero" (secondo l'assurda equiparazione dell'URSS allo specifico imperialismo occidentale in quanto "fase suprema del capitalismo" o addirittura della sua assunzione a "primo" e "peggiore" imperialismo, sulla base di una concezione metastorica della categoria-imperialismo) sta tutto qui (2). E stanno anche tutte qui le ragioni che spiegano la collocazione "anti-imperialista" dell'URSS nei confronti del capitalismo d'Occidente. Una collocazione tutta borghese e quindi, per sua natura, inconseguente, va da sè (ovvero: conseguente solo contro la prospettiva rivoluzionaria comunista).

In questo quadro va capita la saldatura (sciagurata, lo ripetiamo, se rapportata al nostro programma) tra blocco "sovietico" e lotte del proletariato e degli oppressi nelle metropoli e fuori.

Solo degli inguaribili cretini si sentiranno nella necessità di stabilire, a corroborare il proprio "antistalinismo" D.O.C., che la posizione dei partiti "comunisti" staliniani nelle metropoli sia la stessa cosa di tutte le altre forze borghesi indistintamente o che sia la stessa cosa l'attitudine dispiegata dall'URSS e dalle sue locali appendici rispetto al movimento di liberazione nazionale dei paesi colonizzati rispetto a quella di USA, Inghilterra e soci (Algeria, Egitto, Congo, Medio Oriente, India, America Latina...).

(Per i suddetti, anzi, lo stalinismo rappresenta in tali casi il top dell'imperialismo, oltre il quale si spingono semmai gli ultra-imperialisti in armi per la propria liberazione nazionale...).

A noi non serve tanto per sentirci ed essere antistalinisti -in quanto anticapitalisti- da cima a fondo.

Persino con Khruscev e i suoi successori non arriviamo all'identificazione di cui sopra, e vediamo invece in atto un legame concreto tra la politica "sovietica" e le lotte di proletari ed oppressi, fermo restando che sempre più la prima funge da "organizzatrice di sconfitte".

Con Gorbacev un ulteriore e decisivo passo si compie nel cammino politico a ritroso verso la piena omologazione capitalista.

Il senso della pax gorbacioviana

Naturalmente, questo passo era inscritto, come già il precedente di Stalin, in tutto il corso della storia dell'URSS. Ne è la logica, estrema conseguenza, non una improvvida inversione di rotta.

L'URSS di Stalin, dopo essersi (sanguinosamente) affrancata dal programma politico rivoluzionario, ha portato a termine l'obiettivo economico che si era prefisso: la costruzione di un paese "moderno", capitalista aggiungiamo noi, lasciando di ciò agli eredi compiti supplementari "residuali". Più decisamente nel dopo-Stalin, attraverso le "riforme" khruscioviane "bloccate", ma non abbandonate per l'essenziale negli anni della cosidetta "stagnazione" brezneviana, ed oggi con maggior decisione attraverso quelle di Mister Gorby, l'URSS ha costituito il proprio "mercato interno" venendo a trovarsi sempre più, di necessità -per il modo stesso d'essere del capitalismo- dentro quello mondiale. La forza di quest'ultimo, mille volte più potente di quella di qualsiasi gas supercompresso, sta letteralmente "esplodendo" al presente, abbattendo d'un soffio le "cortine di ferro" senza bisogno di nessunissima armata di "guardie bianche". L'URSS entra così, con tutti e due i piedi, nel girone infernale del capitalismo mondiale, sottoposta "alla pari" al suo percorso anarchico, "alla pari" esposta alle sue crisi (alla sua crisi storica). Si compie così una vecchia "profezia": "Nel 1929 il nascente e supergiovane capitalismo sovietico non aveva canali di comunicazione con il capitalismo e il mercato internazionale. Essi ricominciarono in misura apprezzabile dieci anni più tardi, con la guerra del 1939. Questo spiega come la crisi (successiva al '29, n.) non si comunicò alla Russia, che era in grave fase di sottoproduzione... Tra il 1926 e il 1939 la chiave della politica russa, che la forza della storia detta al "dittatore", è quella del sipario di acciaio.  Goda il vecchio mondo a Occidente che non ne passino fuori le fiamme della rivoluzione: godrà la Russia, neonata ad una rivoluzione comunista senza precedenti, che non vi possano passare le fiamme dell'incendio anarchico dei capitalismi troppo maturi... Ma (oggi) se crisi verrà, come verrà, non avrà solo vinto il marxismo... Per il sipario, divenuto un'emulativa ragnatela, la crisi mercantile universale morderà al cuore anche la giovane industria russa. Ciò sarà il risultato di aver unificato i mercati e resa unica la circolazione vitale del mostro capitalista! Ma chi ne unifica il bestiale cuore, unifica la Rivoluzione..." (3).

Abbiamo opportunamente virgolettato la dizione "alla pari". In effetti, l'URSS della "pacifica emulazione" non solo s'è dovuta lasciar dietro ogni illusione di superamento degli standard economici occidentali (come s'era promesso per il 1975, data del passaggio al "comunismo pieno" in quanto sinonimo di primo posto nella classifica produttiva capitalista internazionale!), ma è posta in crescente situazione di svantaggio strutturale nella competizione. Stando anche ai soli indici del prodotto nazionale lordo, di per sè non esaustivi, si è dovuto registrare, ad esempio, l'avvenuto superamento in classifica da parte del Giappone. Ma, beninteso, non si tratta solo di questo: con l'esaurimento del ciclo estensivo, l'URSS viene a trovarsi, per il passaggio alla fase intensiva, in una situazione di progressiva dipendenza -e non semplice ritardo- nei confronti dell'Occidente. Lo abbiamo spiegato altrove, ed in ogni caso non mancano di rimarcarlo costantemente gli "esperti" sovietici.

Lo spettro di una "colonizzazione" imperialista dell'URSS, esplicitamente evocata da parte dei cosiddetti "conservatori", la dice lunga in merito. Pericolo reale, ma inerente alle leggi dello sviluppo capitalista dell'URSS nel quadro non esorcizzabile del sistema capitalista mondiale combinato e diseguale e della relativa divisione internazionale del lavoro. Ben a ragione Z. Mlynar ha scritto che "Un ritorno agli ultimi anni del "breznevismo" è davvero impossibile. La sconfitta della politica gorbacioviana, oggi, non significherebbe un ritorno a quel passato, bensì un'aperta svolta reazionaria, la militarizzazione del sistema sovietico all'interno e, all'esterno, il tentativo di mantenere con la violenza un sistema stagnante." (Cfr. Il progetto Gorbaciov, suppl. a "Rinascita", n° 20/'87, pag. 174).

La crisi del "modello autarchico" staliniano, a suo tempo perfettamente consonante agli obiettivi economici propostisi, ha dunque fatto saltare dall'interno il "blocco socialista" (che già aveva conosciuto la dissidenza jugoslava del '48 e la successiva rottura con una Cina irriducibile ad esso). Il "mercato socialista" del COMECON si è dovuto progressivamente aprire (e subordinare di fatto) all'Occidente, con percorso oggettivamente segnato, dalla periferia al cuore dell'"impero". "Libero scambio" (e "libera" subordinazione?), economico e quindi politico:  FMI da una parte, democrazia borghese dall'altra. Polonia, Ungheria... URSS. Anzi, ad un certo punto di questo processo in atto è proprio l'URSS a dover pigiare sull'acceleratore di fronte alle remore "conservatrici" di alcuni anelli periferici che vorrebbero trovare in un'URSS "indipendente" dal girone capitalista in cui rischiano di essere sommersi un retroterra di difesa dei contraccolpi più catastrofici che esso comporta.

La vecchia risorsa del "blocco socialista" ermeticamente chiuso è semplicemente diventato un intoppo, oggi, per l'URSS sul versante economico. L'interesse, e lo sforzo, di tenerlo comunque "politicamente" unito sono perfettamente comprensibili, ma rappresentano una pura chimera. Non a caso Gorbacev ha dovuto spalancare una duplice porta all'Occidente sin dentro l'URSS negli stati baltici, crescentemente ed "autonomamente" esposti ad Occidente in economia e in politica (traffici autonomi e, si va ventilando, persino autonoma moneta convertibile di scambio; autonomia politica direttamente plasmata sui modelli occidentali: le due cose stanno assieme).

Questo è il primo elemento dell'aperturismo gorbacioviano all'Occidente in nome dell'"interdipendenza mondiale", che naturalmente deve svilupparsi in "pace", secondo regole precise che escludano ogni turbativa politica (altro che politica leninista della NEP!).

Un secondo elemento sta nel tipo nuovo di rapporti che il "comunismo" sovietico tende a stabilire col vecchio partner d'un dì, il movimento "comunista" occidentale. Se al tempo di Stalin quest'ultimo rappresentava una cinghia di trasmissione utile, ed utile proprio in quanto in lotta, per quanto "democratico-progressiva", col proprio capitalismo, attualmente ogni cinghia è sciolta e ad esso si attribuiscono i più superlativi complimenti (vedi la recente "riabilitazione" di Berlinguer da parte del "Kommunist", alla faccia di Cossutta!) proprio in quanto essi svolgano una funzione di partiti nazionali dentro e per il proprio capitalismo per favorire 1'"armonico" sviluppo dei "rapporti incrociati" tra stati di cui l'URSS ha bisogno. I veri partner dell'URSS sono gli Agnelli, i De Benedetti, i Gardini; agli Occhetto è riservata, se del caso, una splendida funzione da portaborse.

Terzo, ed importantissimo, elemento. Per le stesse ragioni sovraesposte, va a frantumarsi il "blocco" di solidarietà coi popoli oppressi. L'URSS gorbacioviana ha di fatto scaricato un Castro già spompatosi ampiamente per conto suo; lascia in brache di tela il Nicaragua sandinista; spinge i palestinesi ad una trattativa ribassista con Israele e, intanto, riallaccia proficui contatti con l'"odiato stato sionista", fornendogli il nuovo ossigeno di un'emigrazione ebraica dall'URSS particolarmente avida di una "propria terra" sul suolo palestinese; nel conflitto Iran-Iraq non fa nulla di più e di meglio degli stati imperialisti; contribuisce allo sbaraccamento della presenza del "campo socialista" in Angola, Etiopia ed altrove; riallaccia i contatti con lo stesso Sud Africa; si dimostra disposta addirittura a creare una leadership "liberal-democratica", magari con iniezioni monarchiche, in Afghanistan; svende il proprio fedele alleato vietnamita alla causa della rinormalizzazione dei rapporti con la Cina... Disimpegno? Sarebbe ancora poco, giacché si tratta precisamente di quell'impegno pompieristico di cui parlava Jacoviello.

Come la socialdemocrazia classica, ben radicata in profondità nel "proprio" sistema capitalista nazionale, si era resa inabile a rappresentare alcunché per la sollevazione dei "popoli di colore" se non il volto "operaio" dell'odiato padrone-schiavista imperialista, così il "comunismo" sovietico, per analoghe ragioni, si sta mettendo sulla stessa strada (ancorché questo percorso non sia attualmente compiuto sino in fondo nè congiunturalmente irreversibile).

Pace imperialista o guerra di classe?

Il senso della pax gorbacioviana sta in questi precisi termini: possa trovare il capitalismo internazionale, entro cui sta l'URSS, il modo di procedere ancora innanzi senza scosse di classe perché da tanto dipendono le sorti della "ristrutturazione" sovietica. Scenda il cappio "pacificatore" dell'imperialismo sui paesi del cosidetto blocco sovietico a soffocarvi l'insorgenza proletaria ed altrettanto faccia nelle proprie metropoli e nell'area in dilatazione dei paesi controllati e/o dominati.

Questa "pace" significa per noi guerra di classe contro il proletariato, contro il socialismo. Ad essa non diciamo che "deve" rispondere, ma che sin d'ora e qui risponde l'insopprimibile antagonismo degli sfruttati, dalle lande dei "dannati dalla terra" sin dentro le metropoli e sin dentro le "patrie" del "socialismo".

La diplomazia e le armate "socialiste" non possono scongiurare questo fatto necessario. Possono solo far sì che esso, per manifestarsi così come è dettato a fare, rompa l'estremo cordone ombelicale residuo con un preteso "retroterra" statalsocialista cui riferirsi in appoggio. Non è poco per la nostra prospettiva.

I proletari polacchi, ungheresi, jugoslavi (e, domani, sovietici) scendono in lotta per sé ripudiando sin dall'inizio la menzogna di un qualcosa da "difendere" del sistema di sfruttamento "socialista" da essi subito. Che essi provvisoriamente ricadano in illusioni ideologiche "più arretrate" è frutto della rivalorizzazione dei "valori" borghesi indotta dallo stalinismo e dal post-stalinismo; ma chi si è materialmente messo in moto contro la macchina capitalista di sfruttamento non si fermerà di fronte a miraggi e fate morgane illusori. Con gli Jaruzelski esso sarà determinato ad abbattere i Walesa ed i Glemp in quanto sodali di uno stesso disengo di perpetuazione del loro sfruttamento.

Per quel che concerne le metropoli, ci basti girare lo sguardo verso casa nostra. Per i proletari italiani nessuna luce viene dall'Oriente e poco vale che un Cossutta cerchi di coniugare l'inconiugabile, la difesa degli interessi di classe (non si sa bene per quale nuova "democrazia progressiva") col referente al "socialismo sovietico". Si potrà dire che ciò non avviene in quanto ci troviamo ancora al di qua di una soglia minima di dispiegata lotta di classe. La bassa temperatura attuale è un dato di fatto; ma lo è altrettanto che quando la fiamma si riaccenderà nulla di più potrà dire al proletariato italiano la "patria socialista" e che l'alleato che esso troverà allora sarà il fratello proletariato sovietico, esso stesso sceso in campo contro il "proprio" sistema di sfruttamento, e non lo "Stato", non la "patria" del "socialismo".

E nelle aree estra-metropolitane? Il pompieraggio di Gorbacev potrà ben mettere in difficoltà supplementari all'immediato la lotta di liberazione anti-imperialista condotta dalle masse sfruttate sotto l'egida inconseguente delle proprie borghesie o piccolo-borghesie nazionali. Non potrà sopprimere la necessità della ribellione di queste masse, tanto più in quanto l'attuale "pace" va ad intensificare le "ragioni di sfruttamento" imperialiste. Anche qui rivoluzione sarà, e più "pura".

I nodi intrecciati dalla controrivoluzione richiamano la necessità che si riannodino i fili della rivoluzione.

"L'ordine regna a Berlino!" (leggi oggi: nel mondo, n.). Stupidi sbirri! Il vostro "ordine" è costruito sulla sabbia. La rivoluzione già da domani "di nuovo si rizzerà in alto con fracasso" e a vostro terrore annuncerà con clangore di trombe:

io ero, io sono, io sarò!"

Queste parole a fuoco di Rosa Luxemburg, settant'anni fa, bastino a segnare il destino dell'"ordine" capitalista attuale che ci stringe alla gola.


(1) Cfr. G. TREVISANI, Piccola Enciclopedia del Socialismo e dei Comunismo. Milano, 1958. Il curatore, del PCI, annota: "Il documento di Stalin aggiunge che lo scioglimento dell'IC era giusto e tempestivo anche perché smascherava le calunnie dei nemici del movimento operaio, secondo le quali Mosca avrebbe inteso immischiarsi nella vita degli altri Stati per bolscevizzarli e i partiti comunisti dei vari paesi avrebbero agito non nell'interesse del proprio paese ma dietro ordini esterni" (pag. 352). Lenin, effettivamente, voleva "immischiarsi" negli affari degli altri Stati, in nome dell'unitaria lotta internazionale del proletariato contro la "propria" e le "altrui" borghesie. La differenza con lo stalinismo (e il togliattismo, che ne è la traduzione in lingua italica) è precisamente questa.

(2) Già altre volte abbiamo bollato a fuoco le teorie sul "superimperialismo" sovietico, non solo messo "alla pari" di quello USA, ma -nel male- al di sopra di esso dato il suo carattere... dispotico, rispetto alla "democrazia" di cui, almeno, godremmo in Occidente. Questa teoria, propugnata da "anti-stalinisti rivoluzionari" piccolo-borghesi passati nel campo della socialdemocrazia o della borghesia tout court (vedi il Castoriadis di "Socialisme ou Barbarie") ha fatto naturale breccia in Italia in ambienti anarchici e di "sinistra rivoluzionaria" tipo DP e persino in certi ambienti "internazionalisti". Per noi è ben chiaro, all'opposto, che persino un intervento politico-militare dell'URSS come quello in Afghanistan sta, in quanto propriamente imperialista - nel senso leninista, cioè marxista, del termine- infinitamente al di sotto delle reali operazioni di dominio e sfruttamento imperialista USA non solo rispetto al Terzo Mondo, ma agli stessi paesi metropolitani ad esso di fatto sottoposti.

(3) La citazione è dal Dialogato coi Morti (1956), scritto da Bordiga in occasione del XX Congresso del PCUS. Col precedente "dialogato", esso chiarisce non solo e non tanto "perché la Russia non è socialista", ma i caratteri strutturali della sua evoluzione borghese, i suoi destini storici e le conseguenze che ne derivano per il nostro campo, per il proletariato internazionale. I due "dialogati" sono disponibili presso la nostra redazione, cui possono essere richiesti.