FISCO:

una vittoria operaia

senza il bisogno di lottare?

L'accordo del 25 gennaio tra governo e sindacati "assicura" ai lavoratori (se verrà rispettato) il recupero parziale del "fiscal drag" a partire dal 1990. Per questo, i suoi massimi artefici, i Marini, i Benvenuto, i Del Turco lo hanno lodato come una "grande vittoria", dimenticando, peraltro, che fino a non molto tempo fa, tale recupero era considerato un semplice "atto dovuto" da almeno 8 anni.

Ma essi vanno oltre, giudicandolo come "una svolta nella politica fiscale". Questo non risponde al vero. Nessuno dei pilastri portanti del sistema fiscale viene intaccato. E per un sindacato, per un PCI che avevano iniziato la "vertenza fisco" dichiarando di puntare alla riforma di esso nel senso di renderlo "più giusto", non dovrebbe essere cosa da poco.

Dove starebbe, perciò, la vittoria (da consolidare in Parlamento...)? Nell'impegno implicito assunto dal governo De Mita di cercare i soldi a copertura del recupero attraverso un "allargamento della base imponibile", cioè nel campo delle rendire e dei profitti.

Quanto valga un simile impegno lo si è già visto nella prima settimana successiva all'accordo (un accordo, si badi, così limpido che ne esistono due verbali diversi, ci informa "Repubblica"). Pungolati dalle vaghe allusioni del governo, Confindustria, Confesercenti, "quadri", assicuratori, giornalisti e via parassitando sono scesi immediatamente in campo. Preparano mobilitazioni. L'assenza della mobilitazione operaia li sprona e li fa scatenare a campo libero. Naturalmente contro i lavoratori.

Il governo De Mita pare tutt'altro che imbarazzato per questo. Anzi. Con abile gioco e la grande collaborazione di tutto il vertice dei sindacati, può scaricare su questi la responsabilità di qualche lieve ed eventuale prelievo sui ceti medi che si rendesse in futuro necessario, anche per preservare la totale immunità del grande capitale.

In questo modo i partiti di governo, nel mentre incassano le aperture di credito dei dirigenti sindacali, possono servirsi di quel la che lo stesso Trentin ha chiamato "la canea" montante contro l'accordo per legittimare tagli alla spesa "sociale" e provvedimenti anti-inflazione (anti-salari).

Lungi dal dover e poter festeggiare il presunto "grande accordo", la classe operaia viene così a trovarsi in una situazione difficile e pericolosa. La revoca di uno sciopero generale mai seriamente indetto è stata soltanto l'ultima manifestazione di una conduzione completamente verticistica della "vertenza fisco" che, invece di accumulare ed organizzare forze, ha finito per stemperare la tensione che pure c'è nella classe intorno a questi problemi. "I lavoratori sono sospettosi. Lo sciopero si dava per scontato e poi invece è arrivata la revoca", ha affermato un delegato di Mirafiori. In realtà i lavoratori, per la conduzione complessiva della vertenza, sono oggi più confusi e meno organizzati di alcuni mesi fa. Da ciò deriva perfino il rischio che la stessa acquisizione materiale (le circa 300.000 lire annue di "recupero"secondo i calcoli di Trentin) venga rimessa, prima o poi, in discussione, o direttamente - attraverso una messa in mora dell'accordo - o indirettamente, attraverso una partita di giro che faccia uscire sempre dalle tasche dei salariati quanto entra in esse (dovrebbe entrare in esse) i base all'intesa.

La mobilitazione reazionaria che torna a montare sul fisco è l'ennesima riprova che questo è un terreno, niente affatto secondario, dello scontro tra le classi, un terreno su cui la classe operaia non può illudersi di avanzare senza dure ed aspre lotte, tanto più quanto più i percettori di profitti e rendite ritengono storico privilegio l'essere protetti dal "proprio "fisco. Perciò, compagni operai, se vogliamo che questo piccolissimo "recupero" non diventi lo zuccherino con cui tenerci buoni prima di una grande bastonatura, ritorniamo, con più decisione e con più continuità, alla lotta contro profitti e rendite. Prendiamo la lotta nelle nostre mani. Non deleghiamo nulla né alla "lealtà" di un governo che fino a ieri i "nostri" dirigenti definivano "provocatorio" verso la classe operaia, né ad un Parlamento che da 40 e passa anni non ha saputo mutare se non in peggio il sistema fiscale. Abbiamo maggiore fiducia nella nostra formidabile forza potenziale, in quanto unica classe che produce, unica di cui non si può fare a meno pena la paralisi di tutta la società. Non facciamoci intimidire dalle urla dei parassiti che ingrassano sul nostro lavoro. Diciamo NO ai nuovi sacrifici che il governo De Mita e la Confindustria pretenderebbero di imporci!