Due articoli sull'est europeo
e una nota d'introduzione
In questo numero del giornale il nostro osservatorio sull'Est europeo si focalizza su due aspetti particolari, relativi a due realtà nazionali e statali alquanto diverse fra loro (URSS e Jugoslavia).
Date le nostre risorse attuali, che non ci permettono ancora di uscire con studi più sistematici (ciò cui miriamo per tempi ravvicinati) e ci obbligano all'aperiodicità dello stesso giornale, ci troviamo forzatamente esposti tanto sul piano di un lavoro teorico in profondità portato all'esterno quanto su quello della puntualità nel seguire (ed inquadrare) l'attualità. Di qui il carattere alquanto "ibrido" della nostra stampa. Date le congiunture, oggettive e soggettive, della situazione non possiamo farci nulla al momento; possiamo solo lavorare a preparare le condizioni di un superamento su gambe marxiste di questi limiti effettivi.
Abbiamo, tuttavia, la presunzione di aver detto e di dire sulla realtà in evoluzione tumultuosa dei paesi dell'Est delle cosucce fondamentali, decisamente a controcorrente rispetto alle analisi ed alle prospettive propugnate non solo dal "movimento operaio" ufficiale, ma dalla quasi totalità del cosidetto "milieu rivoluzionario ".
I nostri lettori devono fare lo sforzo di inseguire il filo unitario dei nostri interventi "frammentari" in materia, raccogliendo e sistematizzando il materiale sin qui prodotto (di cui diamo qui a parte un'indicazione bibliografica precisa). Ci rendiamo conto di chiedere molto, ma ciò è necessario per ricomporre il quadro complessivo entro cui si collocano i nostri singoli interventi sul tema e per promuovere, sulla base di esso, quella partecipazione al lavoro da parte dei lettori che non ci stanchiamo mai di sollecitare. (Il nostro giornale è da sempre aperto al contributo, alle osservazioni, alle contestazioni -se del caso- dei lettori su una materia come questa, di per sè bollente e che ha messo in ebollizione idee ed orientamenti un pò in tutto il "movimento").
In questo numero scriviamo dell'URSS in riferimento "particolare" alla colossale menzogna gorbacioviana di una nuova era di pacifica interdipendenza tra due sistemi vantati come "diversi" ed alle reali conseguenze della politica che ne consegue (di cui, qui in Italia, si fa portavoce sotto-gorbacioviano un PCI proiettato di slancio verso un modello planetario di "nuove relazioni" capitalistiche "razionali", "umane", "di progresso" e verso la conseguente ridefinizione del proletariato come "una classe tra le altre" in seno a "tutto il popolo" e quella del "suo" partito come "moderno partito democratico" -neppur più socialdemocratico nel senso classico- alla stregua di quello statunitense).
Sulla Jugoslavia torniamo ad intervenire, modificando la precedente scaletta, rimasta in arretrato rispetto all'evolvere della situazione interna, per evidenziare gli aspetti fondamentali che sta prendendo nel paese la lotta proletaria di classe, indipendente ed antagonista. È una lezione, che traiamo dalla materialità dei fatti, che ben può attagliarsi -in quanto tendenza inerente al movimento di classe- ad altri paesi dell'Est. Essa si ricollega, in effetti, ad una tendenza già largamente manifestatasi, ad esempio, in Polonia e si proietta irresistibilmente in direzione dell'URSS stessa. In questo preciso senso, i due articoli vanno letti e colti assieme e con tutti quelli che li hanno preceduti in quanto tasselli di un discorso unitario, come mai ci stanchiamo di ripetere.
Si può aggiungere qualche parola su quel che sta bollendo attualmente in pentola ad Est.
Ovunque la "grande riforma" va avanti vediamo le difficoltà che essa incontra in campo economico e le contraddizioni che suscita ad ogni passo in avanti in questa direzione ed allo stesso modo le difficoltà e contraddizioni politiche. La "democrazia economica" borghese incontra, sulla strada della sua realizzazione, l'"imprevisto" ostacolo rappresentato dalle condizioni disequilibrate e disequilibranti insite nel processo di "pacifica integrazione" sul terreno di un sistema capitalista mondiale "combinato e diseguale" e che ha, per di più, esaurito le risorse dello sviluppo precedente.
In quanto retti da economie già di per sè capitalistiche, i paesi dell'Est non hanno altra strada (l'unica alternativa essendo quella comunista rivoluzionaria internazionale, che non pare sia in agenda...) che por fine al proprio isolamento "autarchico" (con gli annessi aspetti "burocratico-amministrativi" di conduzione economica) per "integrarsi" nel mercato mondiale. Storicamente non c'è altra via, anche e proprio in vista del proprio sviluppo. Ma è chiaro che le resistenze parassitarie del vecchio sistema, incrociandosi con le conseguenze laceranti sul piano sociale cui porta un'integrazione del genere, costituiscono all'immediato un'ingonita che pesa sulle sorti stesse dei "riformatori". Non si dimentichi mai di tener presente che se la tendenza generale di cui parliamo è legge essa non va disgiunta da controtendenze immediate da essa stessa covate e suscitate che si devono ben mettere in conto nell'analisi del presente.
La "democrazia politica" incontra pari ostacoli. Essa, in quanto borghese, non può edificarsi che sulla base materiale di una sempre più serrata dittatura di fatto sul proletariato, che è, giusta Lenin e Marx, la sostanza profonda di ogni democrazia formale. Ma il "pluralismo" delle opinioni e dei poteri borghesi non può non suscitare la risposta del soggetto antagonista, il proletariato. Questi è determinato a conquistarsi proprie espressioni ideologiche e di potere e ciò comporta la necessità di una rottura ancor più radicale che in Occidente con gli orpelli della democrazia formale, a misura che queste -ad Est- non possono godere nè del radicamento "ereditario" proprio ad una tradizione di vecchia data nè delle condizioni materiali di base su cui questa tradizione si è fondata e si mantiene tutt'ora, non foss'altro che per forze d'inerzia.
Cammino tormentato dello sviluppo borghese, quindi, ed ancor più tormentato sviluppo dell'antagonismo tra le classi.
S'è fatto un gran battage pubblicitario in URSS sulle aperture in economia all'iniziativa privata degli "uomini di buona volontà" e su quelle in politica al pluralismo delle idee. Il proletariato sovietico, nel suo insieme, pare esser rimasto sordo al richiamo di queste sirene. Dietro la facciata degli incentivi all'iniziativa privata individuale ed alla professionalità, esso ha intravisto la realtà di un attacco generalizzato alle proprie condizioni di vita in quanto classe. Il fenomeno dei transughi od aspiranti tali non è riuscito a scomporre il fronte di classe. Egualmente, il proletariato sovietico non ha trovato in alcuna nuova espressione politica legata al neonato "pluralismo" una corrispondenza coi propri bisogni immediati e storici. Orrore!, tuonano alcuni commentatori: il proletariato non riesce ad infervorarsi per la democrazia cara agli intellettuali, ai managers, ai neoproprietari individuali, ai nazionalisti d'ogni tipo! Una ragione dev'esserci...
In Ungheria si è dato l'avvio, sulla scia delle riforme economiche, ad un vero e proprio pluripartitismo. "Tutti possono dire la loro ed essere democraticamente rappresentati". Solo che, intanto, la cinghia si stringe attorno agli stomaci dei proletari, "democraticamente" destinati a sobbracarsi il peso dei sacrifici necessari alla nazione. Un giornale italiano ha intitolato, preoccupato: "la riforma politica lascia indifferenti gli operai." Come sopra.
In Polonia Jaruzelski, forte del sostegno dei Glemp e dei Walesa, ha imposto ai conservatori un braccio di ferro. Sia "legalizzata" Solidarnosc, nei tempi e nei modi opportuni, a garanzia che l'ordine sociale venga mantenuto. Pluralismo? Sì, anche in questo caso come sinonimo di una dittatura reale che lascia esclusi dal novero dei dialoganti "solo" i proletari irriducibili. Lavorate di più e mangiate di meno, e vi daremo la "nostra" democrazia. Anche qui, però, non sembra che il proletariato intenda barattare i propri bisogni e smobilitare la propria forza per il piatto di lenticchie di una "democrazia" ad esso estranea. Walesa e Glemp sono d'accordo, e va bene; ma lo saranno i lavoratori che hanno sin qui fatto di essi dei loro portabandiera nella lotta e per la lotta? Qui sta il punto.
In Jugoslavia molto si è giocato e si gioca sulla carta dei distinti interessi nazionali di ogni "popolo" in seno alla Federativa. Una miriade di "soggetti" sociali e politici s'è schierata in prima linea nel sostenere tale gioco. Il proletariato non si è fatto irretire in esso, manifestandosi, all'opposto, come forza distinta ed antagonista persino quando esso è sceso in piazza accanto (non insieme) al "popolo ". Da ultimo si è aperta la fase di costituzione di nuovi organismi politici indipendenti (un'alleanza democratica, un partito socialdemocratico, un partito dei contadini e via dicendo). Grande concorso di folle ed entusiasmi, com'era logico prevedere. Unico assente, il proletariato. Per quanto confusamente ai suoi primi passi, esso aspira ad un proprio partito politico che, assai poco democraticamente, mirerà a seppellire tutti gli altri, dello schieramento borghese.
Lunga e tortuosa è la via della riappropriazione da parte del proletariato dei paesi dell'Est di un proprio programma e di una propria organizzazione di classe, ma i dati di un tale percorso sono già tutti inscritti in una linea determinata già ricca di tradizioni di lotta: insurrezione proletaria di Berlino-Est nel '53, sollevazioni del proletariato ungherese nel '56 e di quello polacco a riprese sempre più strette ('56, '68, '80...), od anche e "soltanto" la resistenza granitica del proletariato sovietico alle conseguenze delle riforme borghesi dal '56 in qua. Senza dimenticare ciò che si sta verificando nello sterminato continente Cina, dove egualmente le corazzate capitaliste dei "denghisti" non sono intralciate tanto dalle anchilosi conservatrici dei vecchi meccanismi borghesi arretrati quanto dalla modernissima risposta proletaria ai "nuovi modelli di sviluppo" che si vorrebbero giocare sulla loro pelle.
Elemento essenziale per abbreviare le doglie del parto della definizione di un coerente insieme programmatico-politico ed organizzativo proletario resta il concorso del proletariato metropolitano. Al momento, questo è l'elemento che maggiormente difetta. Ad Est arrivano, sulla scia dei padroni del vapore capitalistici d'Occidente che essi rappresentano, i radicali ed ogni altra sorta di ideologi borghesi; non ci arriva ancora il proletariato. Cionondimeno, 1'"interpenetrazione" capitalista che sta allacciando Est ad Ovest postula il riallacciamento tra le diverse sezioni nazionali del proletariato. A questo noi lavoriamo e chiamiamo a lavorare.