IL PROLETARIATO POLACCO
RILANCIA LA SFIDA AL
"PROPRIO" REGIME
"COMUNISTA"
E ALL'INTERO SISTEMA
CAPITALISTA
Dall'80
il proletariato polacco sta mettendo
in scena le prove generali della propria autonomia di classe rivoluzionaria, ed ogni volta il copione ci appare
più ben limato e meglio interpretato,
con gli improvvidi suggeritori ad esso estranei (e storicamente avversi) ricacciati dalla scena.
Non siamo,
certamente, all'ultimo atto, e ciò facilmente spiegabile se si tien
conto delle condizioni interne ed internazionali
entro le quali questa lotta è costretta a svilupparsi, e principalmente
se si valuta nel suo giusto peso l'assenza
di un'azione internazionalmente coordinata, sul piano economico immediato e tanto più su quello politico,
della parte restante dell'esercizio proletario,
ad Est come ad Ovest. Rimane,
quindi, abbondante spazio per le manovre di istituzioni e classi "solidali"
con questa lotta al solo fine di castrarne
gli obiettivi e piegarli ai propri interessi particolari (Chiesa, riaffiorante
borghesia, contadiname... all'interno,
forze economiche e politiche richiamantisi alla "libertà" borghese all'esterno,
dal "riformismo" nostrano al FMI, via Reagan). Mettiamo tutto nel conto,
questo è certo, ma per sgombrare,
ideologicamente e materialmente, per quel che ci è lecito, il campo dagli ostacoli,
non già per chiudere gli occhi di fronte
ad un imponente movimento di classe in atto
che chiede "soltanto" di
essere riconosciuto, appoggiato e liberato
dai lacci che tuttora lo tengono avvinto.
Ed ecco, allora, i punti essenziali che devono
essere tenuti ben fermi nell'affrontare
da rivoluzionari il
"caso polacco":
1) I cicli
di lotta si vanno facendo sempre più stretti. La conflittualità è diventata
ormai "cronica". Questa continuità
sta, di per sé, a
dimostrare che il
proletariato polacco può riuscire sì battuto
nelle singole scaramucce, ma, dopo ognuna
di esse, resta compatto e si riproietta in
avanti. È questa la modalità che
prepara la "vittoria finale", indissociabile da tutta una
serie di esperienze
di lotta attraverso le quali non si affronta
soltanto il nemico "esterno" palese,
ma si bruciano le illusioni e gli equivoci
al proprio interno.
2) Rimangono in piedi e "si fortificano"
i bastioni reazionari del "riformismo"
e del clericalismo, nonché di un inveterato nazionalismo? In realtà, questi
bastioni, dal momento che devono
misurarsi non solo o principalmente con le proprie ideologie, ma con i libri
contabili del capitalismo cui obbediscono,
si stanno sempre più ritirando dal
blocco solidale indistinto attorno alla
classe operaia e, come abbiamo mostrato
a proposito del recente "referendum" sulle "riforme",
piega sempre più verso un compromesso
conflittuale coi
tradizionali istituti di potere. Si può
ben dire che un Glemp od un Walesa
temono più le "incomposte" reazioni del proletariato che la "morsa dittatoriale" del
regime. E questo vale, allo stesso
titolo, per le forze del libero Occidente
schierate, a parole, "a fianco di Solidarnosc". Non è un caso che Spadolini
vada a spiegare al meeting riminese
di CL che "non c'è alternativa a
Jaruzelski" e che una sua caduta per
mano degli operai significherebbe
la destibilizzazione della Polonia,
della "perestrojka" sovietica, dell'intero ordine
capitalista mondiale...
3) Questa crescente emancipazione dai
falsi tutori della causa operaia sta assumendo
crescentemente un connotato "generazionale": se è vero che attorno
all'insegna di "Solidarnosc" si riconosce tutta
l'avanguardia di
classe polacca, è altrettanto vero che i
vecchi arnesi della "Solidarnosc"
walesiana e glempiana trovano sempre
più difficoltà a farsi attribuire
una delega immediata
ed incondizionata da parte delle nuove generazioni operaie. Le nuove leve
operaie non escludono la "trattativa"
col potere, ma sempre meno la poggiano su una "comune intesa riformatrice"
(inevitabilmente basata, tanto per gli
Jaruzelsky che per i Walesa, su ulteriori
"necessari sacrifici" per il proletariato
e i recenti scioperi ci hanno messo
di fronte a un "piccolo" particolare nuovo: alla `trattativa" non si va
né da
semplici "partner" né disarmati, me da
controparte solidamente
organizzata,
cominciando dalla messa in campo di
efficaci strumenti di autodifesa militanti
e, oseremmo dire, (pre)militari,
4) La
crisi economica di un paese già precedentemente ed abbondantemente diviso in classi evidenzia
più che mai del passato
la dissociazione di
interessi ed ideologie
tra un proletariato, unico produttore
della ricchezza sociale, costretto crescentemente a tirare la cinghia e la caterva di classi e ceti borghesi
che su questo sfruttamento
campano ed
ingrassano. E i confini di questo conflitto
si dilatano ben oltre i confini nazionali, chiamando in causa, ad esempio, il FMI "alleato" e sovrastante il
regime del POUP.
5) La "perestrojka" sovietica ha significato, per i proletari polacchi, un'occasione ulteriore per ribadire le comunanza tra la propria causa e quella dei fratelli operai dell'URSS e degli altri paesi dell'Est. La "riforma" della Polonia si intreccia, nella coscienza e negli indirizzi di azione dei proletari polacchi, con quella dell'intiero "impero sovietico". Sotto quale insegna potrà farsi? Quella di una comune rincorsa ai modelli occidentali o non piuttosto, in storica prospettiva, in quella di una comune ripresa di autonomia classista contro un sistema di sfruttamento internazionale, di cui le metropoli occidentali per prime tirano le fila? Al di là di qualsiasi manifestazione immediata, contigente, necessariamente contraddittoria, la soluzione storica va in un unico senso obbligato e non è casuale che già nel proletariato sovietico cominci a manifestarsi un atteggiamento "nuovo", di compoartecipazione con i propri fratelli di classe polacchi, sia pure alla distanza, a livello - per ora - di "sola" opinione o sentimento).
6) La lotta operaia polacca attuale, nella sua indifferenza per i "ragionevoli" calcoli economici del regime e dell'"opposizione" semilegale, non rappresenta un passo indietro, verso l'immediatismo economicista, ma un ulteriore passo innanzi verso la rivendicazione del potere politico. Cosa e come debba essere questo potere è ancora (e non a caso) poco chiaro alla massa che lotta, ma essa lotta per esso e solo attraverso una tale lotta può chiarire a sé stessa il senso politico di una tale rivendicazione.
* * *
Che manca ancora al movimento proletario polacco per elevarsi all'altezza dei suoi compiti? Ci ripetiamo per l'ennesima volta: non quello che esso da solo non potrebbe comunque mai darci, l'integralità di un programma e di un'organizzazione comunisti, ma la giunzione ad esso di un movimento proletario, "diverso" e pur concorrente con esso, ad Est e ad Ovest. È unicamente in assenza di un siffatto presupposto che possono tuttora sopravvivere in Polonia le false sirene "solidaristiche" extra ed anti-operaie. Ma che succederebbe domani, tanto per cominciare, se ai "messaggi di solidarietà" senza polpa dei Craxi, dei Benvenuto o dei Pizzinato e degli Occhetto potessimo sostituire un'effettiva concorde scesa in campo dei proletari italiani (per restare dentro al "nostro" recinto nazionale) e del loro storico partito?
Conosciamo fin troppo bene il dramma dei nostri fratelli di classe polacchi: nella loro lotta per la propria emancipazione essi sono indotti a muoversi in primis "contro il comunismo". Sta a noi mostrare ad essi che contro quel comunismo (e per un comunismo autentico, qualsiasi diverso "ideale" essi possano al momento rappresentarsi) noi soli, marxisti rivoluzionari, siamo schierati, incondizionatamente e fino in fondo, al loro fianco, giacché nessun altro sarà mai in grado non solo di proclamare l'abolizione dell'ordine sociale esistente (com'è nel nostro programma rivoluzionario), ma neppure, forse, di "sognare" un'alternativa a Jaruzelski dentro il sistema, tant'è oscura la sorte d'ogni cambiamento, fosse pure di semplice "personale politico", prodotto dalla lotta proletaria di classe.