Dopo le amministrative parziali

UN PCI SENZA ZOCCOLI

E così un altro pezzo di "zoccolo duro" se n'è andato in fumo e il PCI rischia di rimanere definitivamente scalzo. Risultato prevedibile e previsto, salvo che dai "rinnovatori" del Partito, cui era parso possibile riguadagnare parte dei territori perduti attraverso un'operazione di cosmesi anagrafica e di abbondante funo senz'arrosto (il "ricambio" dei gruppi dirigenti, l'enunciazione della necessità di un "nuovo corso" tutto da "inventare", un ritrovato attivismo "operaio" subito spentosi entro le mura della Conferenza delle lavoratrici e dei lavoratori comunisti...).

Come abbiamo più volte scritto, il processo di polarizzazione sociale è ancora a metà strada: per le classi piccolo e medio-borghesi è scoccato da tempo il momento della fuga dal PCI (partito interclassista e borghese toto corde, ma oggettivamente gravato da una presenza operaia irrinunciabile per esso), mentre il proletariato, dal lato opposto, si trova ancor provvisoriamente privo di una sua linea di riscossa ideologica ed organizzativa (cui nulla offre il PCI e la cui "sciagurata" presenza verrebbe a significare uno sconquasso all'interno del partito stesso). Le congiunture internazionali concorrono allo stesso risultato "locale": la dichiarazione di fallimento da parte del "socialismo reale" si rovescia contro il PCI, nonostante tutti gli "strappi", perché non basta strapparsi vecchie vesti, ma occorre indossarne delle nuove (e sul mercato c'è chi già da tempo "nella sinistra" l'ha saputo fare a modo); allo stesso modo, i focolai rivoluzionari che scuotono il Terzo Mondo non vanno ad accrescere il potenziale di un PCI impegnato a dichiararvisi slavatamente solidale, ma da lontano e con mille riserve (Nicaragua, MedioOriente...), senza alcuna strategia d'intervento rivoluzionario per unificare il campo internazionale della lotta anticapitalista - questo va da sé -, ma anche senza alcuna efficace strategia d'intervento in nome del "nostro" Paese, del "nostro" Occidente, col risultato di restar battuti dall'attivismo dei Craxi e degli Andreotti (con tanto di riconoscenza da parte delle borghesie nazionali "rivoluzionarie").

L'ennesima batosta elettorale non ha introdotto ulteriori elementi di novità nel PCI, ma è servita soltanto ad aggravare gli elementi di confusione e differenziazione interna in tutte le direzioni, salvo che in quella di un (impossibile) riorientamento di classe. Si fa gran parlare della "priorità dei programmi" sulla "logica degli schieramenti", ma pare proprio che il "prioritario" tra tutti i "programmi" sia, per il PCI, quello di rientrare nel gioco degli schieramenti, andandosi ad infilare negli spazi di manovra lasciati in essi dai due protagonisti DC e PSI. Buono, allora, il PSI a Milano, e buona la DC a Palermo. A Milano non si ruba più, a Palermo non si traffica più con la mafia, c'è da giurarlo.. Martelli è irriso per i ponti gettati a quegli integralisti di CL, ma sarà poi vero che sono meno integralisti i padri gesuiti di "Civiltà Cattolica" e i "sinistri" della DC che "aprono" al PCI in funzione antiCraxi?

Se la partita ormai si gioca al centro, come ammette anche il PCI, pare proprio che le manovre elettoralistiche e di potere di un Craxi siano più adatte di quelle del PCI ad aprire la strada all'"alternativa". Si dirà: ma, a queste condizioni, non si può nemmeno più parlare di una reale "alternativa". Giustissimo, se le cose si guardano dal punto di vista proletario. Ma è esattamente quello che il PCI ha dichiarato ormai morto e sepolto, salvo il ricorso alla demogogia "operaista" per Conferenze preliminarmente destinate a restar limitate ad "una categoria" di "popolo" (tra le tante, e neppure la più importante...) e senza conseguenze concrete neppure a questo miserabile livello corporativo.

Il "radicalismo operaista" di un Bassolino (qualcuno del suo stessopartito ha parlato di "massimalismo" ed "estremismo" tout court) ha avuto l'onore della scena per pochi giorni, e la vertenza FIAT, di cui parliamo in altra parte di questo numero, ha dimostrato a sufficienza quali siano la capacità e la volontà del partito di mobilitarsi concretamente, "a tutto campo", attorno ad una lotta di portata nazionale, cioè riguardante l'intiera classe operaia nazionale ed il complesso della politica italiana. Il riformismo picista ha disertato il campo in questo caso (e lo diciamo non dal punto di vista rivoluzionario, ma da quello della sua stessa natura, delle sue stesse esigenze riformistiche di agire e pesare).

Qualcuno potrà accontentarsi del pizzico di "sano estremismo" che trapela da certe lettere all'"Unità", piene di protesta dal basso, ma all'insegna del disincanto e dello spirito di sconfitta, e dell'"estremismo" sparso a manciate su "Tango", diventato a sua volta però, salvo lodevoli eccezioni, punto d'incontro di partiti piccolo-borghesi che non lasciano trasparire nulla di buono per coloro che l'hanno covato ed allevato nel partito.

E i giovani della FGCI? Non chiedono essi "maggior iniziativa" e "più lotte"? Già, solo che questo "presenzialismo" non va più in là di un impegno, se e quando c'è, di difesa dei diritti civili, dell'ambiente etc. etc. di volta in volta alla coda degli altri, che si tratti dell'"illuminismo" laicista o del "solidarismo" cristianoide, senza poter ovviamente rinverdire i fasti giacobini (o girondini?) richiamati alla festa nazionale dell'"Unità" e senza poter competere con le forze cattoliche sulla base di una proposta complessiva, di un punto di riferimento "integralista", per così dire, quale solo il marxismo autentico può offrire.

 

Come OCI siamo stati e rimaniamo costantemente attenti e partecipi ad ogni forma di ripresa d'orientamento di classe, marxista, in seno al PCI. Non ci nascondiamo, però, che alla fine di un ciclo, all'esaurimento della "forza propulsiva"... dello stalinismo ed a quello (antegestazione) della sua creatura transfuga eurocomunista, non segue, non può seguire, automaticamente la ripresa di cui sopra. Quella parte, notevolissima e preziosa, di classe operaia che continua a seguire il PCI dovrà passare attraverso una lunga serie di esperienze traumatiche, vissute sulla propria pelle, prima e per poter cominciare a ritrovare la propria via. L'"educazione" (materiale ed ideologica) assorbita nel ciclo precedente, combinandosi con la forza di suggestione (anche qui: ideologica e materiale) del capitalismo egemone, e con la linea immediatistica del minimo sforzo, rende più che mai difficile per i rivoluzionari trovare un'eco nella classe operaia a misura che questa si trincera sulla difensiva, in azioni di ripiego.

E altrettanto vero, però, che mai come in questo momento diventa importante per i rivoluzionari preservare, cementare, allargare - nella misura del possibile - le proprie file riallacciandosi a tutti gli spiragli che l'attuale situazione lascia comunque aperti e che costituiscono, per noi, la premessa di un successivo passaggio da una ritirata ordinata ad una ripresa offensiva in grande stile.

Per questo, meno che mai ci trinceriamo in noi stessi, meno che mai ci disinteressiamo o, peggio, ci rallegriamo del confusionismo e della perdita di posizioni, sin dentro la classe operaia stessa, del PCI: perché in gioco non sono solo o principalmente le capriole dei vari Occhetto, ma i destini della nostra classe, del nostro partito, del socialismo; perché, al di là dei fumi e degli smarrimenti ideologici (forza materiale concentrata della controrivoluzione) resta la sostanza di un antagonismo di classe destinato a riaffiorare prepotentemente nei cervelli e nelle braccia dei "traditi" e degli "illusi" dal riformismo.