I PROLETARI IMMIGRATI
COMINCIANO AD ORGANIZZARSI
LA CLASSE OPERAIA
DEVE SOSTENERLI.
Negli ultimi mesi abbiamo assistito ai primi timidi e difficoltosi tentativi di organizzazione dei lavoratori immigrati. Questa spinta nasce dalla loro necessità di difendersi dalle aggressioni e dalla repressione dello stato, dal brutale sfruttamento di padroni e padroncini, dalla crescente ondata razzista.
Negli ultimi mesi ne sono andate infittendosi le espressioni:
a Roma centinaia di etiopi hanno manifestato contro l'uccisione da parte della polizia di un loro compagno, freddato durante un controllo di documenti.
La scena si è ripetuta a Milano in giugno: un gruppo di nord-africani ha protestato davanti alla questura perché un loro compagno è stato fermato e malmenato. ("Accusano la polizia di ricorrere sistematicamente ad insulti e botte durante i controlli, ha scritto "L'Espresso" del 3.7.88.)
A Cervia, sempre in giugno, un giovane senegalese si difende a morsi e calci dall'aggressione dei carabinieri che gli avevano sequestrata la poca merce, alla cui vendita è legato il suo unico panino giornaliero.
Nella provincia di Caserta, dopo i primi tentativi di autodifesa individuale, i lavoratori immigrati provenienti dall'Algeria, dall'Angola, dalla Costa d'Avorio, dal Ghana, dal Marocco, dal Senegal, dalla Tunisia e dallo Zaire si sono organizzati per rivendicare i loro "diritti" e per conbattere contro chi li sottopone a inumane condizioni di vita e soprusi di ogni genere. Hanno fondato il "Coordinamento degli africani (organismo non nazionale, dunque -n.) dell'area domizia", che ha nella sua piattaforma l'impegno a lottare per: la tutela dei lavoratori dagli episodi di violenza; misure urgenti per una "giustizia più equa", ivi compresa la istituzione di un servizio di traduzione nei tribunali; l'applicazione della legge sul collocamento; la predisposizione di un centro di accoglienza per gli immigrati con containers, dotato di servizi sociali; l'assistenza sanitaria e il miglioramento dei trasporti; corsi di italiano e la istituzione di corsi scolastici per i loro figli che subiscono anche l'emarginazione nelle scuole.
A Rimini, durante la crociata razzista dei bottegai della zona, un centinaio di ambulanti (i cosidetti "Vu Cumprà") si sono riuniti in una sede CGIL per discutere come organizzarsi contro i commercianti, i vigili urbani, i poliziotti e gli affittuari strozzini.
Nell'ultimo anno, inoltre, si sono date una struttura organizzativa nuove comunità "straniere", come quella dello Sri Lanka e dell'America Latina.
Gli ostacoli
Questi primi e significativi tentativi di organizzazione, o quanto meno di resistenza organizzata, si scontrano con enormi difficoltà.
Anzitutto, il ricatto dei padroni: "uno di noi è stato licenziato dal padrone quando questo ha saputo che stavamo formando il Coordinamento e intendevamo chiedere una tutela", ha raccontato un lavoratore del casertano.
Quindi, il ricatto e la repressione da parte dello Stato: la spada di Damocle dei fogli di via è un potente deterrente contro la volontà di organizzazione e di lotta dei proletari immigrati. Quando il deterrente non sono i fermi, gli arresti, le botte e.. gli omodici. Ma l'intervento dello stato non si limita a questo, mettendo in atto molteplici manovre per dividere e contrapporre tra loro le varie "comunità straniere" ed i lavoratori immigrati di ogni singola comunità. La legge n. 943 - per esempio - fa intravvedere la possibilità di "integrazione" per la esigua minoranza di coloro che hanno un "regolare" contratto di lavoro, che si cerca - nei fatti - di contrapporre al (o per lo meno di staccare dal) resto dei "non-garantiti". E cioè quella stragrande maggioranza dei lavoratori "clandestini", al nero, per i quali le affermazioni di eguaglianza e di parità enunciate nella legge sono pure petizioni di principio. Il bastone e la carota! Sotto entrambi gli aspetti lo stato e il governo si fanno direttamente carico dell'interesse della borghesia e del padronato di disporre di una riserva di manodopera di colore a buon mercato e perennemente ricattabile, da usare contro una classe operaia già indebolita dai pesanti attacchi a cui è stata sottoposta.
Né gli ostacoli sulla via dell'organizzazione dei proletari immigrati finiscono qui. Si pensi alle differenze di nazionalità e spesso di continente, ed a tutto ciò che questo comporta, a cominciare dalle barriere linguistiche. Si pensi agli orientamenti che tuttora conservano le strutture di rappresentanza pre-esistenti alla fase attuale (e alla influenza che inevitabilmente esercitano), le cui direzioni - come nel caso della FOCSI, la Federazione delle Comunità Straniere in Italia - sono quasi sempre ammanicate con le forze di governo e tendono a scoraggiare l'avvicinamento degli immigrati alla classe operaia. Si pensi, infine, al fatto che i lavoratori immigrati debbono muoversi in un clima di grande ostilità, da cui, a volte, non è scevro neanche il proletariato.
Nonostante ciò, le dure esperienze pagate sulla propria pelle stanno "convincendo" gli immigrati che non hanno altre armi all'infuori della resistenza e della lotta organizzata. "Fratelli, ognuno di noi, da solo non vale niente; ma tutti insieme possiamo costituire una forza. Occorre realizzare, almeno qui in Italia, l'antico sogno di un'Africa unita", afferma il presidente del "Coordinamento" domizio durante la riunione costitutiva.
Questo processo è alla base del progressivo e contraddittorio rivolgersi dei lavoratori immigrati dai partiti di governo e dalle associazioni "di carità" al PCI ed al sindacato. Nuovo è, oltre il destinatario della richiesta, anche il contenuto: si sta passando, cioè anche se in modo contraddittorio e non lineare, dalla illusione di possibili soluzioni assistenziali ed "umanitarie" dei loro problemi, alla richiesta della scesa in campo della forza organizzata della classe operaia, vista come l'unica parte della società italiana che ha problemi in qualche modo vicini a quelli degli immigrati e che può, per questo motivo, dar forza, con la propria lotta, anche alla loro lotta.
Un percorso di lotta da fare insieme
Alla "Conferenza delle lavoratrici e dei lavoratori comunisti", il rappresentante delle Comunità extracomunitarie in Italia ha ricordato che: "nelle viscere della nave di Ravenna (dove morirono, nell'aprile dell'87, 13 operai) non bruciarono solo ragazzi italiani, morirono anche lavoratori nord-africani, lavoratori anch'essi e tra i meno protetti. Su di essi gravano diffidenze, sospetti, aperte ostilità: ma la strada per un lavoro più sicuro e dignitoso - ha concluso tra gli applausi dell'assemblea - non può che essere percorsa insieme" ("L'Unità" del 6.5.88).
Questa attesa è confermata dai primi riscontri. "Da quando abbiamo aperto il Centro di informazione - racconta il direttore del CELSI (Centro Lavoratori Immigrati della CGIL) di Roma - si sono rivolte a noi oltre 700 persone, di cui 200 si sono iscritte alla CGIL. All'inizio, a febbraio, ci chiedevano solo la possibilità di ottenere il permesso di soggiorno e di lavoro. Adesso le richieste sono più articolate: dall'avviare vertenze, al garantire l'assistenza sanitaria, all'aiuto nel regolarizzare la posizione di lavoro".
La crescente estensione del fenomeno "immigrazione" e, non ultime, queste dirette sollecitazioni hanno concorso a fare assumere al PCI e al sindacato una certa iniziativa: centri di informazione in varie città, assemblee con gli immigrati, le manifestazioni della FGCI contro il razzismo a Roma e Milano.
Sia il PCI che i sindacati hanno bisogno di regolamentare questo "problema" che comincia a costituire per loro, adeguatamente sfruttato da forze di governo e padronato, un ulteriore fattore di contraddizione nel "blocco sociale" riformista (come è già evidente in Emilia-Romagna) o di indebolimento del potere contrattuale di CGIL-CISL-UIL.
Ma questa presa in carico delle necessità degli immigrati avviene pur sempre entro il quadro delle "compatibilità" con gli interessi dell'economia nazionale, che ne inficia in radice significato ed effetti.
Ha detto, bene, Pizzinato: "quante volte, nella storia, si è voluto convincere il movimento dei lavoratori che i contadini, gli immigrati o magari le donne avrebbero finito per indebolirlo? Invece è vero il contrario: solo se saranno più forti e tutelati i lavoratori stranieri, saremo più forti anche noi. Per questo già oggi invitiamo gli immigrati di qualunque nazionalità ad iscriversi al nostro sindacato".
Ora, è di fondamentale importanza che le Camere del Lavoro si aprano ai lavoratori immigrati, sostenendone l'organizzazione e i bisogni di lotta. Ma ci si può fare carico a pieno della loro richiesta di "aiuto", solo se ci si batte perché la classe operaia riprenda a mobilitarsi e lottare in difesa delle proprie condizioni di vita e di lavoro. Altrimenti, una classe operaia debole e disorganizzata, non avendo la capacità di combattere il proprio reale nemico nel capitale, rischia di non essere affatto immune da "sentimenti" razzisti verso gli immigrati. visti come "concorrenti" pericolosi. Ma, appunto, come può ridiventare forte la classe operaia senza rimettere in discussione l'accondiscendenza dei "propri" partiti e sindacati, che hanno accettato di piegarne gli interessi alle esigenze della "economia nazionale"?
E, ancora, come può avvenire quel radicamento della "cultura dell'eguaglianza" al posto di quella della "tolleranza" auspicato dal segretario della FGCI Folena, se non attraverso il materiale sviluppo della lotta che veda schierati fianco a fianco, forti ed eguali, proletari italiani e proletari immigrati?
In questa battaglia comune con i lavoratori immigrati, è fondamentale la denuncia del fatto che a spingerli qui è il loro disperato tentativo di sfuggire alla fame e alle guerre che il sistema imperialista esporta nei loro paesi. Una denuncia che rimane monca se non si "aggiunge" che l'Italia partecipa in prima fila al saccheggio del "Terzo Mondo", sia con i suoi padroni "cattivi" (come i Borletti esportatori di armi) che con i suoi padroni "buoni" (come l'Olivetti, che esporta "soltanto" apparecchiature elettroniche per la schedatura di massa in Sud-Africa). E allora "operare concretamente per lo sviluppo dei paesi di origine" degli immigrati, non può che significare chiamare la classe operaia a lottare qui perché l'imperialismo "nostrano" metta giù le sue mani assassine dalle ricchezza umane e naturali del "Terzo Mondo".
Nonostante la crescente blindatura contro di essa di molte nazioni imperialiste, l'immigrazione di masse di diseredati verso le metropoli è destinata a continuare. Perché questo afflusso rafforzi il nostro fronte, e non agisca invece in esso da fattore di contraddizioni a catane, è necessario che la classe operaia sia guidata a riconoscere nei proletari immigrati il proprio giovane e coraggioso alleato. È solo la forza dispiegata del proletariato in lotta - lo ripetiamo - che può fondere ed inquadrare nei suoi ranghi i fratelli di classe "di colore", offrire le condizioni per il loro riscatto e la loro reale uguaglianza, ricavando essa stessa ulteriore forza per l'unitaria battaglia contro gli sfruttatori.