FIAT: ACCORDO DA GETTARE,
ESPERIENZA DA VALORIZZARE
Il 18 luglio FIAT da una parte, FIM e UILM dall'altra, raggiungevano un accordo sulla vertenza aperta con la contrattazione aziendale. I punti-chiave di questo accordo separato, raggiunto contro il parere della FIOM, che pure rappresenta la maggioranza dei lavoratori FIAT, sono i seguenti:
1) Salario: è previsto un milione (lordo) per 1'88, mentre solo la metà di esso è garantita per l'89; per il '90 le parti si industrieranno ad inventare "un nuovo istituto retributivo collegato agli andamenti aziendali".
2) Parte normativa: se si eccettuano le 20 ore di riduzione annue, tutto il resto (mensa, prestazioni lavorative, formazione lavoro) è lasciato nel vago, senza alcuna garanzia di applicazione della mensa fresca, per es., ma con la possibilità accordata all'azienda di assumere "squadrette" di operai per lavorare il sabato e la domenica.
Quanto ai soldi concessi, è chiaro che la proposta di Agnelli, fatta propria in seguito e fino alla chiusura della vertenza da FIM e UILM, non solo rappresenta poco più della metà delle richieste della originaria piattaforma sindacale, ma si sostanzia in un aumento effettivo del salario nominale del 7%, a fronte di un aumento di produttività in FIAT del 70% negli ultimi 8 anni. A monte di questo Agnelli ottiene: 1) l'acquiescenza, se non la condiscendenza, dei due sindacati che hanno firmato l'accordo, ad una politica aziendale che punta a nuove ristrutturazioni per incrementare ulteriormente carichi e ritmi di lavoro; 2) il via libera, di fatto, ad un pesante attacco all'organizzazione sindacale di fabbrica, ed in particolare a quella parte di essa (delegati della FIOM) non più disposta a subire passivamente la politica dei sacrifici in nome del "bene" dell'azienda.
L'accordo in sé rappresenta una specid di cambiale in bianco lasciata nelle mani dell'azienda in attesa che essa venga a riscuoterla quando e come meglio crede, mentre lascia completamente insoddisfatti i lavoratori su significativi punti (mensa, orario) delle loro richieste. Esso rappresenta, in definitiva, la prova di come il padronato (e non solo esso - basti pensare ai "balletti" di Craxi in occasione del convegno nazionale della CGIL in luglio) sia pronto a sfruttare a proprio favore le contraddizioni che dilaniano le tre confederazioni e che non possono non avere influenza sulla stessa classe operaia. Per questo, se ci chiediamo come esce l'operaio della FIAT da questa vicenda, non possiamo che dire: anche se con qualche spicciolo in più, non ne esce di sicuro rafforzato nella sua forza e nella sua organizzazione, ma semmai, soprattutto negli stabilimenti più deboli come Mirafiori, ulteriormente disorientato ed indeciso sulla via da intraprendere.
La ripresa operaia presenta, necessariamente, difficoltà e contraddizioni
Proprio per questo la vertenza FIAT, prima ancora della sua conclusione a tavolino, va analizzata ed interpretata alla luce del suo andamento complessivo. Nelle sue altalenanti fasi vi sono tre elementi che vengono alla ribalta:
a) il contrasto tra i vertici delle tre federazioni metalmeccaniche (che riproducono quelli tra le tre confederazioni) in tutte le più significative svolte della vertenza: dalla stesura della piattaforma, alle azioni di lotta, fino alle trattative e all'accordo;
b) i contrasti tra la base operaia, in primo luogo quella sindacalizzata con i delegati in prima fila, ed i vertici, compreso quello della FIOM, pur meno propenso a cedimenti con magrissime o nulle contropartite;
c) una linea apparentemente concessiva della FIAT che ha teso ad evitare il più possibile lo scontro, con una scelta che privilegiava qualche concessione salariale per far fronte alla ripresa di organizzazione e di fiducia nella lotta da parte degli operai.
E evidente che questi tre elementi, combinati, hanno reso più difficile il percorso di lotta dei lavoratori. Dopo anni di sacrifici e di contratti più attenti alle esigenze padronali o governative che a quelle operaie, sarebbe illusorio pensare ad una ripresa priva di difficoltà e di contraddizioni. Anzi, proprio il fatto che, malgrado gli alti e i bassi, si sia imboccata la via della ripresa, è dimostrato dalla presenza di quei tre elementi.
In primo luogo si tratta, infatti, di fare i conti con una politica sindacale che ha fatto dell'azienda-Italia, e poi di tutte le altre aziende vere e proprie, il referente a cui subordinare ogni rivendicazione operaia. I contrasti tra le tre confederazioni, lungi dal rappresentare conflitti inconciliabili sulle prospettive generali dell'azione sindacale (su cui i tre vertici sono largamente in sintonia, auspicando tutti l'ammodernamento ed il rafforzamento dell'economia italiana (leggi: capitalista) non sono che lo specchio della difficoltà di esse a continuare a disciplinare i lavoratori, ovvero sono lo specchio delle pressioni, non lievi in alcuni casi, della base sindacalizzata. Non è un caso, allora, che sia il sindacato riformista quello più esposto alle pressioni dei lavoratori e che debba, pur con tergiversazionim ritirate o bluff, assumere maggior rigidità di fronte a padronato o governo. Questi ultimi, a loro volta, stanno operando per bloccare in qualsiasi modo una possibile ripresa delle lotte: la carota di pochi spiccioli, magari cercando di attizzare contrasti e divisioni tra i vari settori dei lavoratori; e il bastone, per ora in pochi casi, quando la lotta si fa più dura (denunce per blocchi, picchettaggi, etc.) ovvero in previsione di lotte più dure (regolamentazione del diritto di sciopero nei servizi).
Nella vertenza FIAT ritroviamo via via tutti questi elementi. Ripercorrere le varie fasi di essa, non solo permette di capire le cause che hanno portato all'accordo di luglio, ma anche di trarre primi elementi di bilancio e di riflessione.
Fin dalla presentazione delle piattaforme delle tre federazioni metalmeccaniche, vi sono i segnali di come i contrasti tra le tre siano evidenti. In quelle di FIM e UILM è elemento distintivo lo scambio tra salario e produttività, mentre la FIOM, pur assumendo generici impegni sulla produttività, richiede aumenti di salario slegati da essa. Non è affatto un caso che questa bozza segua un questionario ed una serie di riunioni ed attivi in cui gli operai avevano affermato senza mezzi termini di non essere più disposti ad accettare la "filosofia" dello scambio. Ciò nonostante, la direzione nazionale della FIOM, in marzo, al termine dei confronto con la FIM e la UILM, sembra disposta ad ammorbidire alquanto la propria "intransigenza" iniziale. È in questa occasione che il coordinamento dei delegati FIOM della FIAT sconfessa l'operato della direzione, riaffermando la indisponibilità ad ogni forma di scambio tra salario e produttività. Rimane questa una delle più significative esperienze dell'intera vertenza, una esperienza che resta fondamentale, un passaggio obbligato sulla via della ripresa, malgrado i tentennamenti e gli errori che hanno contraddistinto la stessa azione dei delegati - in particolare a Mirafiori, "ventre molle", al momento, della classe operaia FIAT - nella fase successiva, in cui, per il timore (in sé giusto) di veder sfumare, con l'ulteriore rinvio dell'apertura della vertenza, la disponibilità alla lotta dei lavoratori, essi accetteranno quegli stessi compromessi al ribasso che avevano clamorosamente bocciato un mese prima.
Di quale unità c'è bisogno
Questa esperienza, alla luce dei successivi sviluppi della vertenza (FIM e UILM da una parte, la FIAT dall'altra, hanno - e come! - tratto spunto da queste difficoltà operaie per preordinare la loro successiva strategia) deve essere seriamente meditata da parte delle avanguardie operaie. A noi pare implicito un insegnamento: è inutile ricercare una unità sindacale puramente di facciata o di sigla; essa, per realizzarsi davvero, non può essere ricercata che tra gli operai e sulla esclusiva base dei propri interessi di classe. Nessuna unità fittizia dà più forza al movimento di lotta, anzi lo indebolisce, prepara successivi arretramenti, favorendo, oggettivamente, l'azione di divisione intrapresa dal padrone.
La piattaforma che a maggio verrà sottoposta a referendum è, così, molto più possibilista sullo scambio salario/produttività che non la precedente bozza. Ma, ciò nonostante, era pur sempre vero che dopo 11 anni era di nuovo in piedi, alla FIAT, una vertenza aziendale; da questo momento, questa lotta e la stessa piattaforma dovevano essere appoggiate fino in fondo. È in questa fase che un secondo, serio, ostacolo si para dinanzi al dispiegarsi unitario della lotta. Di fronte alla piattaforma che accetta lo scambio, all'Alfa di Arese comincia a farsi strada la tentazione di "fare da sé" (o "con chi ci sta") su una piattaforma alternativa che ripropone gli obiettivi su cui si erano pronunciati a suo tempo i delegati del coordinamento FIAT della FIOM. Il pericolo evidente era quello di arrivare ad una ulteriore spaccatura del fronte di lotta che, non solo avrebbe abbandonato gli stabilimenti più deboli alla loro sorte (indebolendoli ulteriormente), ma, con l'isolamento, avrebbe favorito un ulteriore e deciso attacco della direzione agli stessi operai più combattivi degli stabilimenti "forti". L'aver superato questa tentazione e ricercato nel modo più chiaro e diretto l'unità con gli altri lavoratori, attraverso - per esempio - un esemplare volantino del Consiglio di fabbrica di Arese distribuito ai cancelli di Mirafiori, rappresenta un significativo passo compiuto dagli operai dell'Alfa. È una chiara dimostrazione di ciò che deve essere la ricerca di una effettiva unità al di sopra di interessi di bandiera e di etichette: un esempio che deve essere ripreso e generalizzato all'insieme del movimento operaio.
Vedendosi di fronte uno schieramento operaio ricompattato ma ancora non sufficientemente omogeno in quanto a combattività ed organizzazione, percorso ancora in alcuni stabilimenti da fermenti aziendalistici, in altri (come a Mirafiori) ancora debole e soggetto a numerosi ricatti, la direzione aziendale decide di passare alla controffensiva con la proposta di Agnelli. Tale controffensiva, con il suo successivo corollario dell'accordo firmato da FIM e UILM, ha inoltre maggiore probabilità di successo dal momento che trova nelle due organizzazioni sindacali di cui sopra i veri e propri "cavalli di Troia" per scompaginare le fila operaie. Senza dire che le stesse tergiversazioni della FIOM ed il suo non respingere chiaramente e nettamente la proposta, non hanno certo contribuito a rafforzare il movimento di lotta.
Gli obiettivi di Agnelli e quelli, contrapposti, della classe operaia
Quale è il senso della proposta di Agnelli? Quale la "filosofia" dell'accordo del 18 luglio?
L'iniziativa ha un primo e precipuo scopo: spezzare la ripresa dell'organizzazione operaia in fabbrica che, pur tra molte difficoltà, si sta ricostruendo anche a Mirafiori. Impedire, prevenendolo, quel rafforzamento che ne sarebbe derivato dallo sviluppo di un "ciclo" di lotta generalizzato a tutto il gruppo FIAT. Quale miglior occasione della vertenza integrativa per dimostrare che il sindacato in fabbrica (o almeno, e meglio, un certo tipo di sindacato, quello che rompe i c...) non era più necessario, perché la stessa contrattazione integrativa non era più necessaria! Non è un caso, quindi, che, pur tra rocambolesche corse a rimpiattino, la stessa delegazione della FIOM per le trattative sia stata di fatto esclusa da esse e costretta all'aut'aut di firmare (o no) un accorso che essa non aveva minimamente contrattato.
La nuova "filosofia" contrattuale di Agnelli non conosce mezze misure e non lesina schiaffi in faccia a chi, come gli stessi dirigenti della FIOM, non siano allineati ad essa. Pur dopo avere dimostrato per anni di non essere "irresponsabilmente" contro gli interessi delle aziende, questi stessi vertici del sindacalismo riformista vengono attaccati e ricattati per non essere sufficientemente attenti a questi supremi interessi!
Il primo obiettivo che si è posto Agnelli è stato di carattere squisitamente politico ed è, quindi, su questo terreno, su quello della difesa e del rafforzamento dell'organizzazione operaia, che va impostata la battaglia in questi mesi successivi all'accordo.
Il secondo obiettivo, più propriamente economico, ma che non è possibile raggiungere se non attraverso il primo, è quello di ottenere mano libera (con la garanzia della pace sociale in fabbrica) nella definizione dei livelli di produttivitè in cambio di qualche spicciolo. La FIAT pretende di arrogarsi il diritto di scegliere se, quando e come distribuire, secondo le necessitè dell'azienda, questi spiccioli. D'altro canto, dopo anni di fallimentare politica sindacale, la classe operaia, non solo alla FIAT, si trova ad affrontare la ripresa delle lotte e della necessaria e prioritaria sua organizzazione, in una situazione di divisione e frammentazione. Non c'è dubbio che su queste divisioni, e per evitare il loro ricompattamento, padronato e governo (lo confermano le vicende della progettata manovra economica di Amato) tendano ad agire abbinando all'attacco frontale la tattica di concedere qualcosa o per isolare qualche settore di lavoratori dal grosso della classe (vedi ferrovieri, aeroportuali) o per prevenire ulteriori mobilitazioni.
Malgrado ciò, la ripresa della lotta operaia, anche quando sembra essere stata bloccata come nel caso della FIAT, trova sempre nuovi motivi ed impulsi per manifestarsi e rinforzarsi, non fosse che per le nuove esperienze maturate. Quattro mesi di lotte e di discussioni alla FIAT offrono elementi su cui occorre riflettere per trarre la capacità e la forza per impostare le battaglie che aspettano la classe operaia.
*Massima convergenza ed unità dei lavoratori nelle lotte al di sopra di ogni specificità di settore, gruppo o stabilimento.
*Allargare la partecipazione alle lotte in modo che siano gli operai ad agire in prima persona, ed essere loro, attraverso l'organizzazione di fabbrica, i gerenti dell'indirizzo da seguire.
*Contrastare ogni tentativo di avocare ai vertici la contrattazione.
*Rifiutare ogni politica di "scambio" sulla difesa del salario e battersi contro ulteriori aumenti di produttività, dei ritmi e dei carichi di lavoro.
Che queste non siano chimere irraggiungibili, ma obiettivi posti dallo stesso pratico manifestarsi della lotta, è proprio la vicenda della FIAT a confermarcelo.