LA LOTTA DEI DISOCCUPATI

A NAPOLI:

potenzialità e rischi

 

Chi ha avuto la fortuna di andare in ferie da Napoli si è potuto accorgere al ritorno che il movimento di lotta per il lavoro non si è concesso pause estive.

Agosto, infatti, è stato utilizzato, oltre che a tener viva la vigilanza, per abbellire l'intera città con vistosi e variopinti striscioni. Sui tretri muri cittadini anneriti dallo smog, i colori delle scritte risaltavano con un piacevole effetti vivificante.

Ma, il tutto non è piaciuto, ovviamente, agli amministratori locali, ai quali il rientro in città deve essere andato di traverso.

vedere denunciate a caratteri cubitali le proprie manovre clientelari nei punti nevralgici della città li ha fatti andare in bestia.

Ancora di più li ha preoccupati questo "sconcio", nel momento in cui si preparano a lanciare al paese l'immagine di una nuova Napoli al passo con la modernità; meritevole quindi di richiedere e di gestire le enormi quote di capitali, che, per svariati canali e provvedimenti legislativi, dovrebbero affluire in città.

Avendo però gli amministratori la "botta in corpo", ecco che si incarica il solito bertoldo radicale di scagliarsi contro il presunto obbrobrio alla città e di segnalare ai tutori dell'ordine l'impunità e la tolleranza di cui, a suo parere, sembra godere il movimento.

I consensi che la lotta dei disoccupati si sta guadagnando nei quartieri più proletari della città, non consigliano, allo stato attuale, un uso dispiegato e generalizzato della repressione.

Ci si limita perciò a defiggere gli striscioni, ma si prende anche atto che la giunta non può più far finta di ignorare questo movimento e che è costretta ad accettarlo come interlocutore da consultare sulle questioni di avviamento al lavoro che competono al governo locale. A denti stretti si ammette che l'infaticabile lavoro di propaganda e mobilitazione messo in piedi dai disoccupati organizzati, ha creato un tale clima di attenzione sulle modalità di avviamento al lavoro, per cui le più grandi operazioni clientelari messe in cantiere dai partiti che promuovono la giunta sono di fatto congelate.

Si tratta di risultati che aumentano la credibilità del movimento e fanno affluire nuovi aderenti che vanno ad ingrossare le file delle manifestazioni.

A questo punto non è da escludere che nelle forze politiche della maggioranza cittadina cominci a farsi strada l'idea di trovare il modo di liberare la città di questa "ingombrante" presenza.

Nonostante le dichiarazioni ufficiali circa il rifiuto di voler ripetere le precedenti esperienze di trattative con liste di lotta, è evidente che per molti assessori sarebbe auspicabile la trasformazione dell'attuale movimento in una, sia pur grande, lista di lotta.

Ciò consentirebbe di bloccare l'ulteriore crescita del movimento, farebbe diminuire la sua credibilità e le simpatie di cui gode in città, e soprattutto avvierebbe quel tortuoso, e già sperimentato, percorso punteggiato da continui ricatti, dalla nascita dal nulla di nuove fantomatiche liste con le quali contendersi l'osso, agitato sotto il muso dai partiti di governo.

Una strada che il movimento non ha nessuna intenzione di percorrere e il cui rifiuto sta alla base dei suoi atti di nascita.

L'ipotesi su cui è ripartita la nuova stagione di lotta dei disoccupati a Napoli era quella di creare un unico movimento capace di rappresentare tutti i senza lavoro, ma anche di creare un'organizzazione stabile nel tempo, per poter intervenire con continuità sulle questioni del mercato del lavoro.

Nessuna di queste due condizioni potrebbe essere mantenuta se si accettasse di entrare nella logica della lista di lotta, e, meno ancora quella di estendere il movimento al di fuori dell'area napoletana.

Non si tratta quindi di astratto purismo ideologico, ma di una semplice acquisizione dovuta alle esperienze precedenti, che se pure hanno approdato a risultati "concreti", hanno però avuto l'effetto di meteore ciclicamente ricomparse sullo scenario politico cittadino senza lasciare sedimenti organizzativi capaci di incidere su di un mercato del lavoro privo di qualsiasi normativa reale.

Il tentativo attuale deve fare i conti con uno scenario politico nazionale e locale non proprio effervescente e ciò ha le sue conseguenze sulle potenzialità del movimento, che, al di là dei risultati ottenuti nei rapporti con le istituzioni e le forze politiche, stenta a trovare interlocutori sociali capaci di dare un'impronta generale alla lotta in atto.

La disponibilità formale della Fgci e di alcuni settori del Pci non si è concretizzata in un'attivazione di energie alla base tale da dare un sensibile contributo alla crescita del movimento sia in città che all'esterno.

L'atteggiamento di perdurante diffidenza da parte del sindacato non ha consentito di stabilire un contatto permanente con gli operai di fabbrica, ai quali i disoccupati continuano comunque a rivolgersi direttamente, ritenendoli i più diretti alleati naturali.

Questa stridente contraddizione tra effervescenza del movimento, peso politico acquisito nel panorama cittadino, e relativo "freddo" che caratterizza gli altri settori di classe, potrebbe avere conseguenze negative sulla tenuta del presente livello di mobilitazione e degli stessi capisaldi programmatici.

Risulta obiettivamente difficile mantenere in piedi una costante e martellante mobilitazione per obiettivi come un piano straordinario per il lavoro, o, meglio ancora, per un salario ai disoccupati, quando non si riescono a mobilitare forze sufficienti per poter imporre lo scontro su questi obiettivi.

Il rischio del riaffacciarsi del "concretismo" nelle file stesse del movimento diventa notevole con tutte le conseguenze di avvitamento su se stessi che ciò può comportare.

Probabilmente lo sforzo ulteriore che la direzione del movimento deve affrontare consiste nell'apertura di una discussione che permetta di individuare strade nuove alla lotta dei disoccupati evitando di essere schiacciati nella secca alternativa tra obiettivi generali vissuti come una prospettiva quasi irraggiungibile e trattative che si concludono inevitabilmente con la morte dei movimenti.

Il patrimonio di esperienze e di potenzialità espresse da questo movimento vanno invece preservati, perché ne hanno fatto l'unico soggetto attivo in città che si sia sforzato in maniera irriducibile per stabilire contatti non occasionali tra i vari settori del proletariato nella prospettiva di unificare l'opposizione di classe contro i padroni e il governo.

I compagni che danno il loro contributo alla militanza e alla direzione di questo movimento devono continuare a lavorare affinché questo patrimonio non si dispersa attraverso fughe per la tangente o rigurgiti "concretisti".