Dopo gli eccidi in Azerbajgian

La questione nazionale in URSS
e le discussioni nel Partito Bolscevico


Il dissidio sulla questione nazionale del PCb comincia assai presto, nel '18. Atteggiandosi a campione di "antiliberalismo", Stalin si pronunzia contro la formazione di un governo ucraino realmente indipendente dalla Russia e riduce l'idea di "autodeterminazione" ad "uno strumento della lotta per il socialismo" che appartiene alle masse operaie e non alla borghesia e quindi (poiché le masse operaie "naturalmente" si autodeterminano per il socialismo e non in quanto nazione), come sinonimo di assimilazione nell'unica "patria sovietica" (come si dirà poi).

Lenin replica che il diritto all'autodeterminazione dev'esser concesso proprio, in particolare, alle nazioni in cui la frattura tra borghesia e proletariato non è ancora apparsa in maniera tranciante, perché solo così il proletariato russo può evitare di essere accusato di "sciovinismo grande-russo dissimulato sotto il nome di comunismo" e svolgere, al contrario, una reale opera internazionalista, di unità, nell'eguaglianza di diritti e dignità, tra i proletari delle diverse nazioni. Rivolgendosi proprio all'elemento proletario grande-russo, Lenin ammonisce: "Il proletariato delle nazioni che ne hanno oppresse altre dev'essere particolarmente prudente e dedicare un'attenzione speciale alle sopravvivenze di sentimento nazionale presso le masse lavoratrici delle nazioni oppresse e non sovrane. Soltanto con una simile politica sarà possibile creare le condizioni di un'unità realmente durevole, volontaria, tra gli elementi nazionalmente differenziati del proletariato internazionale.

Momentaneamente messo a tacere, Stalin torna all'attacco nell'estate del '22 propugnando un progetto di federazione delle "repubbliche autonome" sovietiche non russe con la Russia equivalente di fatto alla loro subordinazione al governo centrale granderusso. Lenin insiste per una federazione di repubbliche dotate di effettivi eguali diritti. La polemica di Lenin, cosciente dalla posta in gioco, è violentissima:

"Quello che noi chiamiamo il nostro apparato - scriverà a fine dicembre del '22 -, in realtà ci è ancora profondamente estraneo"; esso "rappresenta il filisteismo borghese e zarista, la cui trasformazione in cinque anni, mancando l'aiuto di altri paesi e prevalendole "occupazioni" della guerra e della lotta contro la fame, non è assolutamente possibile". In tali condizioni è perfettamente naturale che la `libertà di uscire dall'Unione' con la quale ci giustifichiamo si riveli un inutile pezzo di carta, incapace di difendere gli allogeni della Russia dall'invasione di quell'uomo veramente russo, da quello sciovinista grande-russo, in sostanza vile e violento, che è il tipico burocrate russo… Abbiamo noi preso con sufficiente sollecitudine i provvedimenti necessari per difendere gli allogeni dal Diergimorda (figura tipica di poliziotto zarista in Gogol, n.) veramente russo? Penso di no, sebbene avessimo dovuto e potuto farlo".

E qui, riferendosi alla "funzione nefasta"di Stalin ed al suo "odio contro il famigerato 'socialnazionalismo' " (di cui - stando a Baffone - lo stesso Lenin sarebbe infetto), Lenin afferma che, dietro questo problema, sta la "questione di principio": "Come intendere l'internazionalismo?".

La risposta è bruciante: "Ho già scritto nelle mie opere sulla questione nazionale che non bisogna assolutamente impostare in astratto la questione del nazionalismo in generale. È necessario distinguere il nazionalismo della nazione dominante dal nazionalismo della nazione oppressa, il nazionalismo della grande nazione da quello della piccola. Nei confronti del secondo nazionalismo, noi, appartenenti ad una grande nazione, ci troviamo ad essere quasi sempre, nella prassi storica, colpevoli di infinite violenze… Perciò l'internazionalismo da parte della nazione dominante, o cosiddetta "grande nazione"… deve consistere non solo nell'affermare la formale eguaglianza tra le nazioni ma anche una certa ineguaglianza che compensi da parte della nazione dominante, della grande nazione, l'ineguaglianza che si crea di fatto nella realtà. Chi non l' ha capito, non ha capito l'atteggiamento realmente proletario verso la questione nazionale, ed è rimasto, in sostanza, su una posizione piccolo-borghese, e perciò non può non scivolare ad ogni istante nella posizione borghese".

"Una certa ineguaglianza "significa, quindi, la pianificazione di un eguale standard di vita sia per le grandi che perle piccole nazioni, al di fuori del calcoli economici di "redditività" del "singoli" comparti nazionali e, sul piano culturale, la difesa delle lingue nazionali contro l'arbitrio grande-russo. Lenin prospetta addirittura l'ipotesi di un possibile passo indietro nell'integrazione pansovietica degli apparati di potere (che pure è un problema di vitale importanza per i destini dell'URSS) e lo fa, in riferimento - in particolare - all'area "asiatica", partendo dal punto di vista degli interessi internazionali del proletariato rivoluzionario: "Il danno che può derivare al nostro Stato dall'assenza di apparati unificati con l'apparato russo è incommensurabilmente minore, infinitamente minore del danno che deriverebbe non solo a noi, ma a tutta l'Internazionale, a centinaia di milioni di uomini che compongono i popoli dell'Asia, a cui tocca entrare sulla scena della storia nel prossimo futuro, subito dopo di noi… Sarebbe inescusabile opportunismo se noi, alla vigilia di questa entrata in scena dell'Oriente e all'inizio del suo risveglio, minassimo la nostra autorità tra i suoi popoli, sia pure con la minima grossolanità e ingiustizia nei confronti del nostri stessi allogeni". Lenin non esita a parlare di "atteggiamenti imperialistici verso le nazionalità oppresse" in seno all'apparato di potere sovietico ed a mettere vigorosamente in guardia contro di essi.

È facile constatare la continuità tra questa linea "all'interno dell'URSS "e quella "esterna" ad essa del Congresso del popoli d'Oriente di Bakù (1920): entrambe obbediscono all'unico imperativo, degli interessi della rivoluzione e del socialismo internazionale, segnacolo di liberazione di classi è popoli oppressi.

Il "socialismo in un solo paese", rovesciando quest'impostazione, scivolerà "ad ogni istante ", e per sempre, nella pura posizione borghese. L'URSS staliniana e post-staliniana avrà sì assicurato lo "sviluppo", nei termini propri del capitalismo, ma a patto di rappresentare una "moderna" prigione di classi e di popoli.