Dopo gli eccidi in Azerbajgian

Armeni, Armenia, URSS…


Quello armeno è un popolo - caso tutt'altro che infrequente nell'area medio-orientale - alla cui unità etnico-culturale ha da tempi lontani corrisposto l'assenza di un proprio stato e lo sparpagliamento su territori diversi (la Turchia in primis) dominati da altre popolazioni, talora ostili alla presenza armena.

Le origini dell'Armenia attuale si devono all'incorporazione di questa fetta di territorio da parte dell'impero zarista a spese della Persia nel 1828: evento considerato positivamente dalla popolazione armena in quanto passaggio, pur senza il conseguimento di un proprio Stato, ad una situazione più vicina alla propria realtà culturale, a cominciare da quella religiosa. Nel diciannovesimo secolo, però, gli armeni debbono scontrarsi con gli sforzi di russificazione di Alessandro III, mentre nel territorio sottomesso alla Turchia si profila minaccioso contro di essi il nazionalismo turco. Ed è proprio quest'ultimo a fare del popolo armeno la vittima principale del suo conflitto con la Russia. Il 24 aprile 1915 ha luogo uno del più spaventosi genocidi della storia contemporanea: in breve, sotto la furia del "patrioti" turchi, un milione e mezzo di armeni vengono massacrati e mutilati, coi superstiti ridotti ad una disperata diaspora.

Tra il maggio 1918 ed il novembre del '20 l'Armenia orientale (vale a dire l'Armenia sovietica attuale) diviene indipendente, sotto il governo di una coalizione di partiti nazionalisti. E una situazione instabile, stretta tra una Georgia "indipendente" a sua volta, retta da un governo menscevico protetto dalla Germania in funzione antisovietica, e l'area azerbajgiana che spera di venir "liberata dalla Turchia". In più vi è il grave peso della situazione economica: in un paese che già prima della guerra dipendeva per un terzo del beni di consumo dall'importazione si accalcano ora le migliaia di profughi da altri paesi, a cominciare proprio dalla Turchia. Nel settembre del '20 l'esercito turco di Kemal pare prossimo a cancellare lo stato armeno. L'avanzata dell'Armata Rossa blocca l'avanzata turca, offrendo agli armeni una prospettiva di salvezza.

Il fronte del partiti nazionalisti accetta di costituire un governo coi bolscevichi.

Di lì a poco la direzione passa interamente nelle mani di questi ultimi. I nazionalisti armeni tentano di rovesciare la repubblica sovietica ed ancora nel febbraio del '21 ottengono del provvisori successi ad Erevan, ma la ribellione è rapidamente stroncata e, mentre buona parte del nazionalismo armeno si considera pago del posto riservato al proprio popolo nella Repubblica del Soviet, un ultranazionalismo anticomunista sopravvive solo, o principalmente, nella diaspora.

Sotto Stalin gli armeni subiscono, come tutti gli altri popoli dell'URSS, le conseguenze della collettivizzazione forzata e delle grandi purghe, rese più pesanti dal proposito di battere il "nazionalismo borghese" armeno. Non si può dire, tuttavia, che la condizione armena sia stata comparativamente peggiore di quella di altre repubbliche. Il territorio armeno continua a godere di una propria compattezza etnica e, in certa misura, di una qualche autonomia effettiva (nel '26 gli abitanti armeni rappresentano 1'82% della popolazione residente, che è una cifra percentualmente molto alta per l'URSS). Questo spiega come nel corso della seconda guerra mondiale gli armeni si siano spontaneamente stretti sono le bandiere dell'URSS nella lotta antinazista.

Relativamente risparmiata dalle devastazioni belliche, l'Armenia ha potuto, nel secondo dopoguerra, decollare molto velocemente sul piano industriale, diventando esportatrice di beni. Dai 780.000 abitanti del '26 si è arrivati ai due milioni (con una percentuale ancor maggiore di armeni: 1'88% circa). (vedi nota)

Il nazionalismo armeno, che neppure sotto Stalin è mai diventato antisovietico, ha potuto così crescentemente appagarsi della solidità e dell' "autorevolezza" del proprio stato. Le frizioni nazionali con Mosca hanno riguardato principalmente due temi: l'opposizione ad ogni riavvicinamento sovietico alla Turchia (nel '66 suscitò un'ondata di preoccupazioni il viaggio di Kosygin ad Istanbul) e la persistente richiesta di una riunificazione all'Armenia degli altri territori contigui nazionalmente omogenei (tra cui il Nagorno-Karabak, "inspiegabilmente" consegnato da Stalin all'Azerbajgian, nonostante una schiacciante maggioranza nazionale armena, ed altri territori, anche in Georgia: complessivamente, un 30% di armeni vive su altri territori sovietici). Le manifestazioni di massa in appoggio a queste rivendicazioni non sono di oggi. Già nel '65 le strade di Erevan erano state invase dalla popolazione armena, ieri come oggi senza alcun spirito secessionista o di contrapposizione all'URSS. Va anzi rilevato come la vetrina dell'Armenia sovietica sia stata in grado di attirare a sé persino una parte della diaspora (100.000 immigrati - secondo calcoli occidentali - tra il '46 e il '66) e come le università del paese siano state aperte a studenti armeni extra-sovietici.

L'avvio di una più decisa decentralizzazione da parte del governo di Mosca in tutti i campi (da quello economico a quello amministrativo) rende oggi gli armeni più attenti e preoccupati verso il problema della riunificazione all'Armenia del territori ad essa "espropriati" e naturalmente più diffidenti verso un possibile ritorno offensivo dell'Islam turchesco degli azerbajgiani. Fatti economici e politici interni ed internazionali (in particolare la questione Afghanistan intrecciata alla riscossa islamica in Medio Oriente) rendono credibile la paura di una stretta ostile al lato sud-est. Di fronte a questa paura, meno che mai gli armeni possono pensare di innalzare la bandiera della secessione dall'URSS, come potrebbe essere invece per altre nazioni, a cominciare proprio - in una prospettiva di lungo periodo ed a determinate condizioni - dal vicino Azerbajgian.

Non è credibile che per far fronte a questo pericolo, vero o supposto, gli armeni possano rivendicare un loro distacco dall'URSS ed una propria azione di stato sovrano in prima persona contro i vicini (a determinate condizioni negative dal punto di vista proletario, questa potrebbe essere piuttosto la tentazione dell'Islam sovietico, forte di una sua identità nazionale che va oltre i confini di stato e dell'URSS e memore di infiniti soprusi subiti da parte del governo "straniero" di Mosca). Una "giusta" soluzione del problema nazionale armeno dovrà vedere-problema non facile - quest'ultimo popolo farsi carico anche delle legittime aspirazioni nazionali azerbajgiane, e musulmane in genere, sobbarcarsi il peso, come dice Lenin, persino di "una certa diseguaglianza" nel trattamento da riservare a questi loro vicini. In caso contrario, tre questioni nazionali sopravviveranno e si incancreniranno: quella armena, quella azerbajgiana, quella (la più insidiosa!) grande-russa.


Nota

Sarà utile un campione comparativo: secondo il censimento sovietico del '59 sui 9.310.000 abitanti del Kazakistan, i kazaki rappresentavano solo il 29,6%, i russi il 43%, gli ucraini 1'8,1%, mentre la restante parte della popolazione apparteneva a 7 nazionalità minori. Con un'aggiunta "istruttiva": il numero totale del kazaki, che era di 4.084.139 nel 1897, si era ridotto a 3.986.289 nel '26 ed a 3.099.000 nel '39. Nell'arco del tredici anni intercorrenti tra queste due ultime valutazioni, si erano "perse", quindi, 887.189unità, senza contare che, per l'incremento naturale di popolazione, se ne dovrebbero aggiungere altri 631 mila.

Un totale di un milione e mezzo circa di kazaki "scomparsi ". All'anagrafe nazionale o…? Inoltre, da dati ufficiali del '48, risultava che i kazaki occupavano sul proprio territorio nei posti amministrativi ministeriali una percentuale da un massimo del 14% (industria alimentare) ad un minimo del2% (industria locale e sanità). Il che può spiegare la "solidarietà" del "popolo" kazako con il proprio ras Kunaev, in quanto - sia quel che sia - rappresentante di interessi nazionali effettivi.